Cambiamento climatico, nessun piano B

Cambiamento climatico, nessun piano B

Le conseguenze del surriscaldamento globale impongono di agire


Eleonora Giubilei
Eleonora Giubilei
Cambiamento climatico, nessun piano B

Il cambiamento climatico è una realtà anche per il nostro paese. Se per decenni la politica federale ha temporeggiato, per lassismo o interessi delle lobbies del petrolio, ora la via da intraprendere è unica e improrogabile: diminuire l’impatto delle attività umane sul territorio e all’estero.

Secondo i rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, la Svizzera subisce già oggi gli effetti del drastico aumento di temperatura. Le conseguenze maggiori vanno dallo scioglimento dei ghiacciai alla diminuzione del manto nevoso, dalle estati sempre più secche alle ondate di calore estremo. Tutto questo ha ripercussioni su diversi settori, tra cui agricoltura, bilancio idrico, approvvigionamento energetico, produttività e biodiversità.

Bisogna poi considerare che il commercio elvetico dipende anche dalle importazioni estere: l’impatto della crisi sui paesi in via di sviluppo costituisce un fattore di rischio per la produzione alimentare globale, oltre ad aumentare il fenomeno delle migrazioni forzate.

La comunità scientifica svizzera si dice preoccupata dal possibile scenario futuro e ha pertanto lanciato un appello per la protezione del clima. 118 scienziati e più di 100 organizzazioni ritengono che sia arrivato il momento di agire, intervenendo con misure incisive. In tal senso la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra rappresenterebbe un importante passo per il raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi sul clima.

La Svizzera ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite nel 2017, impegnandosi a intensificare gli sforzi in materia di politica climatica. Nonostante la pressione della società civile e una maggiore sensibilità verso lo sviluppo sostenibile, le emissioni di CO2 nel nostro paese sono lontane dall’ambizioso saldo zero. L’anno scorso ci si è posti nuovi obiettivi, seguendo l’esempio di Unione Europea, Cina, Giappone e Canada; con la presidenza di Joe Biden anche gli USA aderiscono nuovamente all’Accordo di Parigi.

Limitare le emissioni di CO2 è la soluzione più efficace per mantenere il riscaldamento globale sotto gli 1,5°C, fissati a livello internazionale al fine di ridurre significativamente i danni provocati dalla crisi.

Come raggiungere gli obiettivi 2050? Finanziare l’innovazione e sviluppare la tecnologia permetterebbe di ripensare in toto il nostro modello di vita e con esso l’economia. Il Fondo per il clima, ad esempio, stanzia da anni incentivi per un’edilizia maggiormente sostenibile. Ora risulta necessario riorganizzare il settore dei trasporti, altra massiccia fonte di gas serra: la pandemia da Covid-19 ha fermato temporaneamente il traffico aereo dovuto al turismo, ma siamo ancora lontani dall’abbandono progressivo di carburanti e combustibili fossili. Eppure la salvaguardia del clima passa soprattutto dal consumo e dagli spostamenti della popolazione.

Una decrescita felice porterebbe la Svizzera a sganciarsi dalle importazioni estere di petrolio, gas e carbone, incidendo positivamente sulle imprese elvetiche attive in modalità di trasporto alternative e nella mobilità elettrica.

Per Philippe Thalmann, Professore di Economia ambientale alla EPFL di Losanna, che ha sottoscritto l’appello insieme agli altri scienziati, i costi di questa conversione green sarebbero in larga misura bilanciati da una migliore qualità di vita, aria pulita e un ritorno della biodiversità: “la Svizzera può ridurre le proprie emissioni a costi contenuti, ampiamente compensati dai vantaggi ambientali”.

Il cambio di paradigma non sarà sufficiente a invertire la rotta, ma potrà perlomeno scongiurare un ecocidio totale.

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