Lady D, la BBC e le mani della politica
Una brutta storia fa finire il servizio pubblico inglese sotto assedio politico
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Una brutta storia fa finire il servizio pubblico inglese sotto assedio politico
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Una brutta storia fa finire il servizio pubblico inglese sotto assedio politico
Quindi, Martin Bashir, il giornalista dello scandalo (aver ingannato lady Diana per ottenere una clamorosa e intima intervista), consegna loro un trofeo insperato, un piatto prelibato, un’ideale lama: da affondare in un progetto che ritagli una ‘nuova supervisione dell’emittente‘, l’ha definita tempestivamente Robert Buckland, ministro della giustizia di sua maestà. Tradotto: un maggior controllo politico sui programmi. Per consentire al sornione Boris Johnson di vincere la sua guerra culturale: quella delle élite formatesi nelle più prestigiose ‘public school’ (che in realtà – grazie a una buona dose di sfacciata ipocrisia semantica – non sono affatto ‘pubbliche’ bensì college privati e costosissimi per pargoli della ‘upper class’). Un establishment che soltanto i guai della pandemia ha per ora frenato nel suo innato slancio liberista: in nome del thatcherismo che agli inizi degli Ottanta varò la ‘rivoluzione conservatrice’, suo slogan preferito ‘non esiste la società, esistono solo gli individui’, e un bilancio sociale disastroso, magnificamente e dolorosamente descritto da un film di Ken Loach (“Sorry, we missed you”).
Certo, Bashir, giornalista tempestivamente trasferitosi nella redazione che si occupa del mondo religioso (clima ideale di espiazione), 25 anni fa, per ottenere l’intervista del secolo a Lady D sui motivi del fallito matrimonio col fedifrago principe Carlo – segreto di pulcinella in tutto il Regno, e al di fuori – aveva falsato e fatto pervenire a Diana Spencer documenti bancari che dovevano confermarle la regale ostilità che la circondava a Buckingham Palace. Un ‘matrimonio a tre… un po’ affollato’, confessò lei (con riferimento all’eterna amante Camilla Parker Bowles): lo confessò con gli occhi belli e dilatati, la voce sommessa, il collo leggermente inclinato. “Insopportabile”, reagì la regina Elisabetta, non si sa se riferendosi alla vicenda, a sua nuora oppure alla regola monarchica del ‘never explain, never complain’, mai spiegare e mai lamentarsi. E il trono impose finalmente il divorzio al pavido e incapace successore in linea diretta.
Ancora più grave, i vertici di “Beeb” – altro nomignolo popolare per la BBC – fecero a lungo ‘cover up’, in sostanza sapevano che l’intervista era stata estorta ma nascosero i fatti, nonostante una prima inchiesta interna. Metodi deprecabili, giornalisticamente disastrosi. Anche se la principessa aveva semplicemente detto la verità, nulla di quanto affermato poteva essere smentito, sicuramente non dall’erede in perenne e coerente tessuto “principe de Galles”. Lui, lasciò anche intendere la principessa, non aveva doti e temperamento per aspirare alla corona.
Così “auntie”, la zietta, finisce politicamente sotto assedio. Come mai nella sua storia. E la sua proverbiale indipendenza (solo scalfita in qualche precedente) stavolta è davvero a rischio. In verità, negli anni della Thatcher, poi di Blair, quindi delle privatizzazioni, la voglia di mettere le mani sulla BBC, e gli effetti dei new media elettronici, qualche risultato lo avevano già prodotto. Lo ha spiegato bene Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, per il quale “la trasformazione delle fonti di informazioni e la loro partigianeria hanno trasformato l’imparzialità della BBC in neutralità, ossia nel non prendere più posizione su niente”, perdendo così “il ruolo-guida nella lettura dei fatti”. E non è finita. Sul mercato inglese stanno piombando due canali di informazione (GB news e News UK) appartenenti all’australiano Rupert Murdoch, campione dell’ultraconservatorismo, che a lungo in America, con Fox tv, ha retto il gioco ad un certo Donald Trump, ineguagliato re delle fake news. Certo, la BBC sopravviverà alla tempesta. Ma che tipo di BBC?
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