CH-UE: le imprese svizzere adesso vogliono mani libere
Le responsabilità di un governo a lungo silente, indeciso, pasticcione e incapace di negoziare con tenacia un compromesso
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Le responsabilità di un governo a lungo silente, indeciso, pasticcione e incapace di negoziare con tenacia un compromesso
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“Ed ecco già la prima vittima”, commenta Le Temps. La fine dei negoziati per un accordo-quadro istituzionale tra Svizzera e Unione Europea, significa in automatico il mancato rinnovo dell’Accordo bilaterale di mutuo riconoscimento di tecnologie nel settore medico (ARM), che scadeva proprio ieri, quando il Consiglio federale ha deciso di affossare la trattativa. E, per quanto ci riguarda, nello stesso giorno in cui Daniele Piazza segnalava un rapporto tenuto segreto dai ‘sette saggi’, in cui si elencava una ventina di situazioni che avrebbero subito conseguenze gravi o molto problematiche per l’economia elvetica.
La Commissione europea – segnala il quotidiano romando – aveva del resto lanciato una sorta di preavviso, pubblicando un documento sull’ampiezza delle relazioni economiche bilaterali: scambi di merci e di servizi ammontano a un miliardo di euro per ogni giorno lavorativo. La Confederazione à il quarto partner commerciale dell’UE, dopo Cina, Stati Uniti e Regno Unito. D’altra parte, il mercato dei paesi dell’Unione assorbe il 42 per cento delle esportazioni elvetiche: quindi, “le difficoltà del settore tecnico-sanitario potrebbero essere soltanto un inizio”. Basti pensare che sono ben 120 le intese bilaterali che scadranno nei prossimi anni. Tra le più importanti, l’Accordo sulle norme relative ai macchinari utensili – il sessanta per cento delle nostre esportazioni nel settore finiscono sul mercato europeo – scadrà nel 2023.
Come reagirà Bruxelles dopo il funerale della trattativa sull’accordo-quadro, sollecitato a suo tempo dall’UE ma poi proposto ufficialmente dalla Confederazione? Categorica “Economiesuisse”, che rovescia invece la domanda sul Consiglio federale. “Il quale – ha subito reagito Cristina Gaggini, esponente della direzione dell’organismo padronale – ora può temere delle ritorsioni e quindi deve adottare misure ben calibrate per attenuare i danni relativi”. Non solo: sarà del tutto comprensibile se “poste di fronte all’incertezza, delle imprese svizzere dovessero porsi la domanda se delocalizzare le loro attività nelle nazioni dell’Unione”.
Ma l’affermazione più significativa, e foriera di possibili future tensioni sociali nella Confederazione, è questa: “Più i danni (ndr: per l’economia nazionale) saranno importanti, più dovranno essere prese in considerazione le riforme tese a migliorare la competitività della Svizzera”. Possibile traduzione: le aziende elvetiche dovranno avere le mani più libere. E chi ne pagherebbe le conseguenze? Evidentemente i lavoratori. E sarebbe paradossale. Comprensibilmente preoccupati in particolare dalle possibili conseguenze negative sui salari svizzeri, i sindacati sono stati in prima fila, e probabilmente decisivi, nell’opposizione alla bozza dell’accordo raggiunto dal negoziatore ticinese Roberto Balzaretti. Responsabilità sindacale, dunque? Piuttosto, come sottolineano anche i socialisti, di un governo federale a lungo silente, indeciso, pasticcione e del tutto incapace di negoziare con tenacia un compromesso. Difficile, ma non impossibile.
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