Ricchezza e credibilità politica

Ricchezza e credibilità politica

I dogmi inscalfibili che proteggono i super-ricchi in Svizzera


Silvano Toppi
Silvano Toppi
Ricchezza e credibilità politica

Emerge sempre, espressamente o con farisaiche circonlocuzioni, uno dei dogmi politico-economici che va per la maggiore; è stato risollevato in questi giorni a livello federale e cantonale. Dice che non si può distribuire (ad esempio: permettersi una politica sociale, versare il giusto salario ai dipendenti) se prima non si riesce a creare ed accumulare ricchezza. Si vorrebbe farlo passare come il miglior distillato della logica (o del buon senso), sia perché non si può vivere di debito sia perché, costi quel che costi umanamente, si deve guadagnare in produttività e competitività (produrre sempre di più per unità produttiva e quindi a minor costo, soprattutto salariale).

Anche la logica o il buon senso finiscono in gibigianna politica. Come? Primo, perché prevale sempre l’argomentazione che non si crea mai abbastanza ricchezza per poter distribuire, e dunque saremo eternamente al punto di partenza. Secondo, perché si vuol distogliere l’attenzione dalla ricchezza accumulata per sviarla sulla ricchezza che bisogna invece con tutti i mezzi crescere e moltiplicare se si vuole ancora produrre, lavorare, retribuire, consumare ed anche evitare la povertà.

Ci si intrappola in questo modo in altri tre principi venduti come dottrina inscalfibile: 1) il fisco non deve interessarsi troppo della ricchezza altrimenti i ricchi ci evitano o vanno altrove; 2) solo gli sgravi fiscali (un tempo anche le amnistie) permettono di dare fiducia alla ricchezza e di incrementarla ulteriormente a beneficio di tutti; 3) la povertà non è mai generata dall’accumulo di ricchezza, ma dai mutamenti sociali oppure dal favorire l’irresponsabilità o la pigrizia individuali con sussidi e elargizioni.

Sono i dogmi dominanti, anche tra i cosiddetti “liberali” dell’ultima generazione, nonostante che più di uno studio – ma, soprattutto, la realtà dei fatti – continui a dimostrare (ma non si vuole né analizzarlo né tanto meno ammetterlo) il fallimento delle politiche che praticano quei dogmi.

In Svizzera non si è mai fatto un studio ufficiale sulla ricchezza e sulla sua distribuzione, nonostante sia stato sollecitato con almeno tre postulati in Consiglio nazionale. Forse perché lo si ritiene, se sincero, politicamente esplosivo? Bastano i dati del fisco, si è detto. Ritenendoli quindi pienamente attendibili. Senza pensare all’estrema mobilità fiscale dei super-ricchi. Sembra siano invece più facili gli studi sulla povertà, forse perché si dà una soglia monetaria minima per definire la sussistenza mentre non si riesce a darla alla ricchezza, ritenuta incommensurabile (non è mai abbastanza). Uno studio “esterno” (internazionale, del conosciuto Boston Consulting Group) ha dimostrato che la Svizzera è il paese con la più alta densità di super-ricchi o il paese con il maggior tasso di plurimilionari nel mondo occidentale. Svizzera benvoluta da Dio (Deus providebit, non a caso scritto sulla moneta).

Qualche tempo fa un economista basilese, Ueli Mäder, che si era occupato sino ad allora dei «lavoratori poveri» (lavoratori che dispongono di un reddito insufficiente per acquistare beni e servizi necessari ad una vita integrata; già dieci anni fa erano più di 140 mila) ha pensato bene di dedicarsi ai ricchi e ha pubblicato una delle rarissime ricerche svizzere sulla ricchezza dal titolo già significativo, «Wie Reiche denken und lenken» (come i ricchi pensano e governano). I risultati sono per certi versi più allarmanti delle ripetitive analisi fatte sinora sulla povertà. Infatti non si esita a parlare di una «monopolizzazione delle ricchezze», con un potenziale di conflitto enorme. Quanto a dire che la pentola della ricchezza potrebbe anche scoppiare. Ne va quindi di mezzo anche la democrazia. Ma si sa che interessa di più… la sovranità. Può avere qualche significato il fatto che tra i politici parlamentari nazionali troviamo quasi una ventina di supermilionari?

Forse bisognerebbe partire proprio dal modo dell’accumulo e quindi dalla ripartizione della ricchezza (prima ancora che dal debito pubblico o a maggior ragione dagli sgravi fiscali ai ricchi per incrementare la ricchezza) per diventare politicamente credibili.

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