Lugano, capitale delle criptovalute
Il futuro finanziario della città e il genio della “lampada di Ardoino”
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Il futuro finanziario della città e il genio della “lampada di Ardoino”
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Il futuro finanziario della città e il genio della “lampada di Ardoino”
E siccome si aggiunge che bisogna partire da lì per cercare di capire che cosa è successo negli ultimi giorni, abbiamo già la dimostrazione che Lugano dev’essere effettivamente diventata la “city” europea delle criptovalute.
Che cosa è successo? Riassumendo al massimo: un terremoto nelle criptovalute, una buona dose di nuove controversie sulla criptovaluta adottata da Lugano, il Tether, appunto.
Il re delle criptovalute, il bitcoin, rispetto ai primati raggiunti nel novembre del 2021, si è letteralmente inabissato; le altre criptovalute l’hanno seguito. Un massimo esperto in materia (Mads Eberhardt, analista in criptovalute di Saxo Bank) ha cercato di dare una spiegazione: “Quest’anno, considerato come vanno le cose, gli investitori hanno tendenza a ridurre i rischi; le cripto sono tra gli attivi più speculativi e rischiosi, venderle è quindi una ricerca di equilibrio nel proprio portafoglio”.
Dunque, una deduzione e un interrogativo opportuni: le criptovalute sono speculazione ed alto rischio e il tracollo è sempre sull’uscio del portafoglio (della cassa, del bilancio); è quindi giusto o opportuno che un comune, una città, si affidi per le sue finanze ad una criptovaluta o voglia addirittura essere la capitale delle criptovalute?
Tra le criptovalute ci sono però quelle che si agganciano al criterio della “stabilità” e perciò si definiscono “stablecoin”, vantandone questa qualità. Detta stabilità si cerca di ancorarla al dollaro (e sa un poco di assurdo o di singolare contraddizione nei termini). Un’unità di “stablecoin” deve quindi potersi cambiare al tasso fisso di un dollaro. Il crollo è appunto avvenuto, in termini pratici, perché il valore del “coin”, rispetto al dollaro, si è dimezzato. Lo stesso specialista citato, ricorrendo a discorsi più complicati sugli immancabili algoritmi (che non sanno tenere a lungo, in particolare quando le condizioni di mercato sono difficili, perché il bitcoin non può non subire gli effetti collaterali) ammette che “il rischio è sistemico”. Quanto a dire che è nel sistema, come un virus che può sempre esplodere.
Insomma, se avessimo avuto anche solo metà delle entrate fiscali di Lugano pagate in cripto, ci troveremmo nello spazio di pochi giorni con le casse semivuote, ma anche maledettamente incerti su un possibile ricupero. In parole più semplici: le finanze comunali sono diventate una lotteria.
Ma c’è di più, molto di più. Anche la Tether, la cripto di Ardoino, adottata ufficialmente dalla avveniristica città europea o mondiale delle criptovalute, Lugano, in Ticino (in verità è già stata preceduta da San Salvador, dalla Nigeria, dal Ghana e dal Kenya, tutti già criptovalutati alla ricerca disperata della lotteria finanziaria-economica), passa per una “stablecoin” tra le più importanti (80 miliardi di dollari di capitalizzazione) che è finita nella tormenta. Paolo Ardoino ha però continuato a rassicurare e garantire che tutti i rimborsi continuavano comunque ad essere effettuati a un Tether contro un dollaro.
Rimangono però seri dubbi su questa possibilità. Scriveva nei giorni scorsi l’insospettabile “Le Temps”, cui facevano eco anche altri quotidiani finanziari (Financial, Echos): “Sono anni ormai che si dubita che l’emettente detenga veramente l’interezza di riserve in dollari, come pretende. Tanto più che non è mai stato preciso sulla composizione delle riserve e che è stato multato lo scorso anno dalle autorità americane (CFTC) per aver fornito dichiarazioni ingannevoli sullo stato delle sue riserve”.
Commentava domenica (22 maggio, pag. 21) Armin Müller, capoeconomista, sulla SonntagsZeitung: “Le criptovalute sono simili alle catene di Sant’Antonio digitali. Devi fidarti che troverai qualcuno che pagherà un prezzo più alto. Fondamentalmente è però anche meno di un gioco a somma zero, perché distrugge valore”.
L’Ardoino, per rassicurare (alla maniera di Mario Draghi, si dice: ”whatever it takes”, capiti quel che capiti), ha minacciato di riversare sul mercato alcune tonnellate di titoli governativi americani che farebbero parte delle sue “riserve” pur di difendere l’aggancio di Tether alla parità uno a uno con il dollaro. Si può anche credergli, ma chi ha certificato o ha visto ciò che sostiene? Il paradosso è che per qualsiasi società o banca che operi in Ticino una risposta ci dovrebbe essere, e qui non c’è. Ma ci è stato assicurato che è l’avvenire di Lugano, dei suoi commerci e delle sue finanze, ed è quanto basta. Dobbiamo crederci. Come abbiamo appena creduto alla parità dei conti cantonali, senza nessun aumento di imposta, entro tre anni. Purché non sia l’ennesima “sindrome del “Tawanna Rai”, tipica malattia ticinese.
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