Tanto tuonò che piovve… sul bagnato

Tanto tuonò che piovve… sul bagnato

Raccolte le firme necessarie per l’iniziativa “200 franchi bastano!” che vuole ridurre drasticamente il canone radiotelevisivo


Enrico Lombardi
Enrico Lombardi
Tanto tuonò che piovve… sul bagnato

Dopo un anno e poco più dal lancio dell’iniziativa “200 franchi bastano”, i fautori (Udc in primis) annunciano che sono state raccolte (“molto facilmente”) oltre 100 mila firme, ben prima del termine di fine ottobre. Un successo, insomma, su cui spinge a tavoletta l’edizione del “Mattino” di ieri, che in prima pagina se la canta e se la suona inneggiando alla “valanga di sottoscrizioni” che “travolge la Pravda di Comano”.

La terminologia della prosopopea laurenziana (ben poco magnifica, in realtà) ormai la conosciamo, ma non c’è dubbio che oggi in via Monte Boglia si possa e voglia cantare vittoria, visto che, come viene annunciato dal domenicale, ben un terzo delle firme raccolte provengono dal Ticino, e qui sono state promosse in modo esplicito e pragmatico dal solo fronte leghista.

31.568 firme del solo nostro Cantone, dunque, che dovrebbero esprimere una forte critica verso il finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo (e online), e dire basta al “canone più caro del mondo” riducendolo drasticamente di un 40%; perché, stando allo slogan dell’iniziativa, “200 franchi bastano!” [con classico punto esclamativo, che non può mancare, che diamine!!].

Ora, trascurando lo stucchevole rosario di pregiudizi sommari e strumentali sul presunto chiaro orientamento a sinistra della RSI (e non solo dell’informazione, ma anche dell’intrattenimento – vai a capire in che modo e perché) il successo della raccolta di firme nel nostro Cantone deve indurre tutti, in primis l’azienda RSI, a porsi qualche doverosa domanda. Perché la battaglia, tutta ideologica, contro il servizio pubblico radiotelevisivo ha un tale riscontro? Su quali elementi si fonda?

È chiaro che si tratta di una “battaglia” che già si era manifestata, in modo radicale, nel 2018 con la famosa votazione “No Billag”, in cui l’elettorato svizzero ha indiscutibilmente affermato di volersi tenere ben stretta un’azienda pubblica di comunicazione e informazione che ha una lunga storia quale catalizzatore e reticolo identitario del Paese. Negli ultimi decenni, diciamo dall’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, la “cattedrale SSR” ha cominciato ad essere messa in discussione, sostanzialmente per due ragioni: per i primi segnali di crisi economica, con l’erosione del potere d’acquisto dei cittadini (si pensi poi alla crisi del 2008, ed ora alla situazione di post-pandemia e di crisi energetica a causa della guerra), per cui “Il Canone” è diventato ben presto un facile bersaglio (ed ha già subito un consistente taglio); in secondo luogo per l’affermarsi, un po’ in tutto il Paese, ed in Ticino in particolare, di un populismo genericamente “anti-sistema” che con l’avvento della Lega ha trovato nella Berna federale (e in tutte le sue emanazioni) il principale bersaglio.

Naturalmente in questo atteggiamento sta la semplicistica rivendicazione di presunte “ingiustizie” perpetrate a danno del “povero contribuente”, anche in relazione al principio che “contribuire” rende automaticamente poveri, indipendentemente da quanto e per cosa si paghi.

L’azienda SSR (e, da noi, RSI) per troppo tempo, nei decenni passati, è rimasta muta e insensibile ai primi (alquanto rozzi, è vero) moti di ostilità, espressi, spesso, per le ragioni più stravaganti, ma poi concentratisi sull’ipotetico “status” di privilegiati (e sinistrorsi) affibbiato a dirigenti e collaboratori. Certo, il servizio pubblico è andato avanti a fare “il proprio mestiere”, a svolgere quel ruolo di “collante identitario” che caratterizza da sempre, sin dall’inizio della sua esistenza, il senso della SSR, e che da sempre detta alcune sue scelte di fondo, prima fra tutte quella di offrire i propri programmi ed i propri servizi nelle quattro lingue nazionali, per il principio della coesione nazionale e la difesa delle minoranze.

L’esistenza della RSI, in questo senso, nelle proporzioni in cui può operare, in un contesto sempre più critico, ha un che di quasi miracoloso, e si fonda esclusivamente su una “volontà politica” che ci difende premiandoci (oltremisura?). Dunque, verrebbe da chiedersi, in termini leghisti: a Berna non ci considerano come meritiamo? Come avviene in tanti altri ambiti economici e sociali, siamo la “pecora nera”? La risposta è inequivocabile: proprio no, tutt’altro. In questo campo specifico, il nostro territorio riceve un trattamento di assoluto favore, grazie alla cosiddetta “chiave di riparto” (Clé Helvetia) che al 4% della popolazione offre il 20% dei mezzi per fare quel che si fa, per il pubblico di riferimento, in italiano.

Questo territorio ha così a disposizione un’offerta straordinaria di contenuti audio-video-online che per i quattro quinti è pagata con il canone ottenuto dagli utenti di Aarau, Yverdon, Sursee, Nyon e compagnia versante, grazie ai quali, inoltre, da noi possono lavorare alcune centinaia di collaboratori svizzeri altamente qualificati a stipendi, per una volta, congrui.

Ma evidentemente a 32.000 persone, in questa nostra landa disperata fatta di scontento e recriminazioni, non riesce possibile credere che avere a disposizione un servizio pubblico che continui a lavorare, come fa, in termini professionali, proponendo quantità e qualità, sia anzitutto una risorsa, discutibile, migliorabile, quel che si vuole ma pur sempre risorsa da salvaguardare.

Quando quelle rispettabili 32.000 persone sottoscrivono l’imperativo secondo cui “200 franchi bastano!”, sanno rispondere alla domanda semplice semplice: bastano per fare cosa? Quando la RSI diventasse diffusore di qualche spazio informativo (locale) qualche gioco in studio e poco più, perché tutto il resto lo si può trovare “a pagamento” altrove (film, sport, ecc.) sono certi che per finire pagheranno meno? E ai nostri politici (Quadri compreso) andrà bene di non avere più una cassa di risonanza che si sente in dovere, per equilibrio ed equidistanza, di ospitarli ogni due per tre perché dicano la loro su tutto?

Con il nostro terzo di firme, infine, non si manda forse un chiaro messaggio al resto del Paese, affermando che non ci importa nulla né dell’attenzione verso le minoranze, né verso la coesione nazionale? Anzi, non ci importa nulla di niente, se non dei 135 franchi che risparmieremo. A quel punto, a Berna, forse, perderanno definitivamente la pazienza.

Allora, a quelle 32.000 persone e alle altre e più decine di migliaia che non hanno sottoscritto l’iniziativa, è forse ora che l’azienda dia qualche chiara risposta, spieghi quel che fa, come lo fa e perché lo fa, in quanto servizio pubblico nazionale; un’azienda che, ad una campagna aggressiva e denigratoria, opponga argomenti e fatti. Altrimenti si continuerà solo a piangere… sul bagnato.

Nell’immagine: la dignità del Canton Ticino svenduta per 44 centesimi al giorno da chi ha sempre detto di volerla difendere

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