Negli ultimi mesi la Consigliera federale Amherd ha sostenuto tre tentativi per aumentare le finanze dell’esercito di 15, 18 e poi 10 miliardi di franchi. Ma perché? Già 500 anni fa Machiavelli affermava che il denaro non è il nerbo della guerra. Non per provocare, ma per evidenziare come la povera gente venisse truffata da un’organizzazione statale che faceva gli interessi dei più ricchi. Impariamo da lui.
L’opera di Nicola Machiavelli è molto più ricca e complessa di quanto possa far pensare l’attributo “machiavellico”, usato per descrivere un modo di fare politica che mira a conquistare e mantenere il potere con ogni mezzo necessario. Machiavelli servì la Repubblica di Firenze per 14 anni come capo dell’alta amministrazione responsabile degli affari territoriali, e segretario dell’ufficio incaricato della sicurezza interna e della difesa. Questo durante il periodo in cui Firenze, dal 1494 al 1512, godette di una parentesi democratica nel dominio dei Medici. Come sottolinea lo studioso Jérémie Barthas, Machiavelli «affermava senza mezzi termini la necessità di proteggere la maggioranza contro la minoranza dei ricchi e di contenere l'”appetito” di dominio dei “grandi”» (si veda, ad esempio, il suo articolo disponibile online, “Il ricco disarmato è la ricompensa del soldato povero”).
Machiavelli comprese come il sistema militare basato sul mercenarismo permettesse alle élite finanziarie di mantenere la loro egemonia politica ed economica grazie all’equilibrio di potere stabilito da una particolare gestione del debito pubblico. Promosse quindi il concetto di “popolo in armi” per rovesciare il sistema in vigore e creare le condizioni per l’autonomia della Repubblica dal potere di un ristretto numero di creditori privati.
Usare il debito pubblico per togliere ai poveri e dare ai ricchi
Sfidare il luogo comune “i danari sono il nervo della guerra” era il modo per Machiavelli di colpire il cuore del sistema. Questo era stato identificato dai reggenti prima del 1494 con il Monte, l’ufficio finanziario che gestiva la montagna di titoli del debito pubblico. Molto grossolanamente, il sistema funzionava così: per soddisfare i suoi bisogni più elementari e urgenti, Firenze era stata posta in una condizione di dipendenza da cittadini particolarmente facoltosi, che anticipavano allo Stato somme ingenti sapendo che sarebbero state restituite con interessi consistenti (dell’ordine del 14%). Anche il resto della popolazione era chiamato a contribuire con una tassa, che ovviamente non veniva rimborsata, ma serviva, tra l’altro, a pagare i debiti dei i ricchi creditori. Questo sistema inutile, che si basava in particolare sull’assunzione di mercenari, permetteva ai ricchi di “saccheggiare” – termine di Machiavelli – la popolazione inerme.
Naturalmente Machiavelli era consapevole che la guerra è costosa. Ma un sistema come quello fiorentino tendeva a mantenere uno stato di guerra permanente per alimentare il debito. Sapeva anche che si può fare la guerra per arricchirsi, ma a Firenze la guerra era usata per ricattare e dominare la popolazione.
Botti contro cannoni
Qual era dunque il nervo della guerra per Machiavelli? La sua risposta esplicita fu: “I buoni soldati sono il nerbo della guerra”. Egli raccomandava di armare il popolo, di indebolire gli organi controllati dall’aristocrazia e infine di attaccare il sistema finanziario. La riforma politica doveva quindi iniziare con una riforma militare.
Il fatto che la Svizzera abbia un esercito di milizia non significa che le critiche di Machiavelli non si applichino a noi.
Ciò che queste critiche evidenziano è l’importanza del legame tra il sistema militare e il finanziamento dello Stato, e in particolare il modo in cui lo Stato pensa e gestisce il proprio debito. Torniamo alla frase “i buoni soldati sono il nervo della guerra”. Nella sua semplicità, dice che il denaro da solo non basta per fare la guerra. Le somme inesauribili di cui disporrebbe la Russia devono essere utilizzate per pagare soldo e gratifiche a uomini e donne, per rafforzare ulteriormente l’esercito. Per sottomettere Gaza, Israele deve spendere centinaia di milioni di franchi al giorno per droni, carri armati, aerei, munizioni, ecc.
La Svizzera non è in guerra. Ciò che investe nell’esercito potrebbe quindi rivelarsi del tutto inutile, ma – si dice – dobbiamo prepararci al peggio, magari investendo magari in perdita nella nostra sicurezza. Ma dobbiamo farlo seriamente. Machiavelli ci insegna che spendere di più non significa difendere meglio. Al contrario, la spesa potrebbe servire interessi diversi da quelli della difesa del popolo, perché la gestione del debito implica un equilibrio di potere tra interessi (economici) divergenti. Se non si può avere “la botte piena e la moglie ubriaca”, non si può nemmeno avere la botte piena e anche i cannoni. E soprattutto bisogna avere chiare le proporzioni tra le due cose.
Le proposte dei nostri politici nell'”era della botte piena”
Quest’ultimo punto è preso più o meno in considerazione da due delle tre proposte avanzate negli ultimi mesi per aumentare i finanziamenti all’esercito svizzero. L’accordo da 15 miliardi presentato da una coalizione di centro-sinistra per creare un “fondo per la sicurezza e la pace della Svizzera in Europa” comprendeva 10 miliardi per l’esercito (cannoni) e 5 miliardi per l’Ucraina, che avrebbero lasciato inalterati gli aiuti allo sviluppo (botte piena?). La “proposta Würth”, nota anche come “percentuale di sicurezza”, che consisteva nel raccogliere 18 miliardi di euro da un aumento dell’1% dell’IVA, era destinata a finanziare l’esercito (cannoni) e la tredicesima AVS (botte piena). Invece, la proposta della consigliera federale Amherd di creare un fondo speciale di 10 miliardi per l’esercito si limita a indicare vagamente come questo sarebbe compatibile con il freno al debito (botte meno piena).
Nessuna di queste proposte spiega perché il nostro Paese dovrebbe aumentare il budget dell’esercito. Come se questo fosse evidente. L’aumento richiesto di 10 miliardi (oltre a quelli già previsti nel bilancio dello Stato) significherebbe che nel 2030 o nel 2035 spenderemmo l’1% del nostro PIL. Ricordiamo che la NATO ha fissato al 2% del PIL il contributo di ogni Stato membro allo sforzo per gli armamenti. Si tratta quindi avvicinarci a questo livello autoimposto. Pur essendo al di sotto del limite del 2%, nel 2022 i 27 Paesi dell’Unione Europea hanno speso in armamenti molto più della Russia in termini assoluti (240 miliardi contro 92). Questa enorme spesa non garantisce però la sicurezza europea, dato che gli eserciti e le industrie belliche sono ancora una prerogativa nazionale. Inoltre, gli eserciti europei dipendono in modo determinante da forniture extraeuropee: il 78% dei loro acquisti di armi negli ultimi due anni è stato effettuato negli Stati Uniti, in Corea del Sud, in Israele, ecc.
Detto questo, dall’inizio degli anni Sessanta i Paesi occidentali hanno investito più nella spesa sociale che nei loro eserciti. I Paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, e Stati Uniti) spendono attualmente circa il 50% del loro bilancio per la prima e il 10% per la seconda. Viviamo nell'”età della botte piena”! Allora perché mettere in discussione l’aumento del bilancio dell’esercito? Perché non si basa su una seria analisi dei rischi geopolitici. Ad esempio, l’ultima ordinanza del Consiglio federale sull’organizzazione dell’amministrazione federale in caso di crisi, in consultazione fino a settembre, non tiene conto di alcuno scenario di guerra credibile, né specifica alcun ruolo particolare per l’esercito. C’è quindi motivo di credere che gli aumenti previsti servano soprattutto a mantenere in piedi il complesso militare-finanziario. Proprio come 500 anni fa, ai tempi di Machiavelli.
Articolo scritto per Bon pour la tête
Nell’immagine: Vasily Vereshchagin, “L’apoteosi della guerra” (1871)