200 franchi bastano per spararle grosse
Sull’iniziativa per la riduzione del canone radiotelevisivo si è espresso il Direttore generale della SSR Gilles Marchand. Puntuale è arrivata la bordata di critiche via social
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Sull’iniziativa per la riduzione del canone radiotelevisivo si è espresso il Direttore generale della SSR Gilles Marchand. Puntuale è arrivata la bordata di critiche via social
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Sull’iniziativa per la riduzione del canone radiotelevisivo si è espresso il Direttore generale della SSR Gilles Marchand. Puntuale è arrivata la bordata di critiche via social
C’era da prevederlo. Dopo i canti di vittoria del fronte Udc/Lega per aver raccolto le firme necessarie per votare l’iniziativa che chiede una drastica riduzione del canone radiotelevisivo, domenica il “Sonntagsblick” ha finalmente proposto, in una lunga intervista, l’opinione in merito del Direttore generale della SSR Gilles Marchand, che ha chiaramente affermato che si tratta di un attacco al Servizio pubblico nazionale, dunque al principio stesso di coesione e di rispetto delle minoranze insito nella Concessione.
Apriti cielo. Dalle nostre (lugubri) parti si è subito scatenato il finimondo, visto che l’intervista è stata rapidamente ripresa o riassunta dai principali portali online e che immediati sono partiti gli ululati dei leoni da tastiera con i commenti più stravaganti, intrisi di rabbia ed intinti nella bile.
Basti andare solo per un attimo su Tio.ch, per esempio, dove i commenti non si contano e finiscono più o meno tutti, o la maggior parte, per ribadire, più o meno astiosamente, quanto sia giusto e sacrosanto colpire la SSR (diciamo, la RSI) ed il suo odioso “balzello”. E tutti a dire peste e corna della Televisione, dei programmi scemi, del presentatore antipatico, dei giornalisti di sinistra, dei film già visti su altri canali, degli stipendi rubati al contribuente, e chi più ne ha più ne metta.
Se oltre Gottardo, la reazione contempla anche una parvenza di discussione, di dibattito con punti di vista legittimi su aspetti di fondo, come ad esempio l’attività online del servizio pubblico, sentita come ingiustamente troppo concorrenziale con i privati, da noi, macché, è tutto un assalto al palazzo d’avorio dei superprivilegiati, proprio come vuole il primo istigatore, direttore del domenicale attualmente in vacanza, che non ha potuto non cogliere l’occasione, via social, per riavviare il motore del suo autistico tormentone, parlando di “isterica difesa dei privilegi della SSR” di “lavaggio del cervello per difendere gli anacronistici privilegi dell’emittente di regime” votata alla “rieducazione dei cittadini secondo l’ideologia rossoverde, a suon di propaganda climatista, immigrazionista, euroturbo, sovranofoba, tassaiola, ecc ecc”. E va ancora bene che la RSI non diffonda (per ora) anche la malaria!
Insomma, siamo pienamente entrati nel clima (allarmante anch’esso) che contraddistinguerà la campagna verso la votazione del referendum, con tutto l’armamentario da mal di pancia che ne fa un’ottima sponda anche per le federali di ottobre. E allora, qui, sin d’ora, vien voglia di riprendere quanto già scritto alcune settimane fa a proposito del paradossale (e drammatico) autolesionismo tafazziano insito in questa iniziativa, per ribadire che a perderci, qualora venisse accolto il referendum, è anzitutto e pesantemente la Svizzera italiana.
Non sarà certo un caso che nella lunga intervista di domenica, Marchand entri nel concreto delle ripercussioni possibili sui programmi parlando solo ed esclusivamente di RSI e dicendo, fra l’altro, che con il taglio drastico dei finanziamenti, la SSR non potrà più immaginare di produrre un TG a Comano. La questione, capitale, è che nell’emergenza in cui l’azienda si troverebbe, diventerà fatale metter mano alla chiave di riparto, quella che per ora, grazie alla classica alchimia confederale, assegna al 4% della popolazione il 20% dei mezzi, al fine di garantire una televisione nazionale anche in lingua italiana fatta da svizzeri italiani.
Ma poi non sarà solo il TG (e non soltanto la televisione, anche se tutti i commenti parlano, per criticare, solo di televisione) e Marchand lo fa capire. Si taglierà, con la sega circolare, in modo che laddove è più importante e decisivo avere i soldi (tanti) per produrre programmi (Svizzera tedesca e poi francese) rimanga qualche mezzo in più, mentre la RSI si arrangerà come la pletora di esperti di telecomunicazioni che pontifica nei commenti pensa che possa o debba fare. Diventando una specie di Teleticino, o poco più (visto che la riduzione del canone toccherà anche l’emittente di Melide, ma questo non si dice). In ogni caso, visto che un terzo delle firme per andare a votare vengono dal Ticino, perché farsi ulteriori problemi a Berna?
Gli effetti delle misure, che il pubblico dei plaudenti scontenti in coda dietro il codino continua a reiterare come in una camera dell’eco, sono ben diversi e ben maggiori di quanto si continua a sostenere sul versante degli iniziativisti, anche per non poche piccole e medie imprese che stanno sotto il cappello dell’USAM di Fabio Regazzi, pure aderenti alla raccolta firme perché toccate dal costo eccessivo del canone per le aziende.
Quando a Comano si dimezzerà il personale (in totale contraddizione con il vacuamente reiterato primanostrismo) a risentirne sarà un indotto di cui per ora nessuno parla e che farà diventare l’”indolore” ridimensionamento della RSI un colpo ulteriormente traumatico per la nostra “economia a rimorchio”.
Nessuno se lo dovrebbe augurare, ma scommettiamo che se dovesse arrivare quel giorno ci sarà chi, a destra, dirà che è tutta colpa degli ecoisterici rossoverdi?
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