Il fascino discreto della naturalezza e dell’intelligenza
In morte di Jane Birkin, icona pop della musica, del cinema e del costume
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In morte di Jane Birkin, icona pop della musica, del cinema e del costume
Inutile, non si scappa: per ricordare Jane Birkin, scomparsa ieri a Parigi all’età di 76 anni, non si può non tornare a quel ritornello di una canzone provocante e provocatoria che si fischiettava o cantava ammiccando: “Je t’aime, moi non plus”, del noto cantautore francese Serge Gainsbourg, accompagnato, più nei sospiri alquanto eloquenti che non nel canto vero e proprio, da una giovanissima Jane Birkin, da qualche tempo diventata sua compagna e complice nel proporre al mondo un brano che portava esplicitamente l’ascoltatore dentro l’intimità di un rapporto sessuale (d’amore, forse) suscitando scandalo e riprovazioni a raffica.
Anche dalle nostre parti (come del resto in Italia, dove il disco fu addirittura sequestrato) quel brano fatto di allusioni e gemiti (coraggioso, certo, quanto intelligentemente furbo) nell’anno del Signore 1969, in piena stagione della contestazione e della liberazione sessuale, suscitò molto scalpore e cadde sotto la mannaia della censura. Alla RSI fu deciso di non trasmetterlo, il che accrebbe la curiosità del pubblico verso una canzone che si poteva tranquillamente trovare acquistando il disco o ascoltando, per dire, le classifica dei più venduti della radio svizzera tedesca.
Sta di fatto che Jane Birkin, l’inglese più francese della storia, aveva fatto il botto e segnato quell’epoca. Ma quella canzone, quel contorto rapporto con Gainsbourg, per quanto sempre sotto i riflettori, non esaurisce certo il rilievo del percorso artistico di Jane Birkin, personaggio dalla vita alquanto tribolata, eppure capace di resistere nel tempo in quanto personaggio stimato e apprezzato da critica e pubblico, sia per la sua produzione di dischi e per i concerti (evidentemente molto amati in Francia), sia per la sua carriera di attrice, che l’ha portata ad interpretare ruoli da protagonista in diversi film del suo secondo storico compagno, il regista Jacques Doillon e poi di altri importanti autori.
Con Doillon siamo negli ani ’80, la Birkin è una donna più matura, già segnata da esperienze tormentate, capace di imporsi per la sua innegabile intelligenza, per un fascino tutto discreto che sa accettare, per esempio, i segni del tempo che passa su un corpo esile e sinuoso, su un volto che continua ad apparire affascinante ed elegante nella semplicità delle rughe o dei capelli in disordine che tendono ad ingrigire.
Jane Birkin, in fondo, è il personaggio (attrice, cantante) che in Francia (e non solo) ha saputo imporsi per una naturalezza che la faceva sembrare quasi timida, certamente riservata, e che era in fondo il segno di una piena accettazione di sé, delle proprie qualità e dei propri difetti.
Fra i tanti esempi delle sue magnifiche doti di attrice, appunto “naturale”, val la pena di ricordarne uno molto poco conosciuto, e che risale al 2017, quando Jane Birkin accetta di girare un cortometraggio di un giovane regista zurighese, Timo Von Gunten. Si tratta di “La femme et le TGV”, un racconto emozionante e poetico che deve tutto alle doti interpretative di Jane Birkin nei panni di Elise Lafontaine, una donna solitaria che vive in una casa cantoniera lungo il tracciato ferroviario, che dalla finestra saluta ogni giorno il treno che possa e che un giorno si ritrova, in giardino, un tenero biglietto lanciatole dal finestrino dal macchinista del treno.
Il film è visibile gratuitamente sulla piattaforma di streaming della SSR Play Suisse e fra semplici sguardi ed intensi silenzi narra una storia bellissima con una splendida interprete, che ha tra l’altro portato “La femme et le TGV” ad una prestigiosa candidatura all’Oscar. Merito indiscutibile del fascino e della bravura di un’attrice ed una donna che, anche nel giorno della scomparsa, con la sua levità lascia un segno indelebile nell’immaginario di generazioni di ascoltatori e spettatori.
Nell’immagine: Jane Birkin in “La femme et le TGV”
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