Leadership cercasi disperatamente

Leadership cercasi disperatamente

Tra i profili dei consiglieri federali del prossimo quadriennio è forse proprio il neoeletto socialista Beat Jans quello che potrebbe proporsi con maggior autorevolezza


Rocco Bianchi
Rocco Bianchi
Leadership cercasi disperatamente

Come una lettera della posta d’antan (post eventum, confesso che avevo scommesso su Jans, ma al quarto turno), si è svolto e si è concluso senza trauma alcuno – la richiesta della Giso al PS di uscire dal Consiglio federale vale solo per l’aneddotica, neppure per la storia – uno dei massimi riti della politica svizzera, l’elezione dell’Esecutivo per la prossima legislatura. Senza storia e senza suspence alcuna, appunto, malgrado quel paio di punti sensibili che nelle scorse settimane hanno fatto parecchio discutere.

Plaudiamo quindi alla stabilità del modello elvetico di concordanza, salutiamo il neoeletto Beat Jans che riporta una grande città e un cantone piccolo ma importante come Basilea nella stanza dei bottoni di palazzo, e accettiamo pure la versione ufficiale della buona rielezione di Ignazio Cassis semplicemente perché è riuscito a raggranellare una ventina di voti in più rispetto a 4 anni fa, quando però le condizioni erano completamente diverse.

Nessuna nuova buona nuova quindi, come recita il vecchio adagio? “Ni”, perché a un osservatore attento non può sfuggire la mancanza di leadership del Consiglio federale attuale, una carenza che si trascina da tempo e che si è accentuata con le dimissioni di Alain Berset, l’ultimo ministro che ancora poteva vantare un certo qual carisma sia verso la popolazione che verso gli altri partiti (basta osservare la nonchalance con cui ha superato i recenti piccoli-grandi scandali). Un fatto che, visti i problemi interni che dovranno essere affrontati nel prossimo futuro e vista l’attuale situazione internazionale, non può non preoccupare.

Il paragone con il passato in questo senso è impietoso: quando nel lontano 1996 arrivai a Berna giovin corrispondente, il Consiglio federale era composto da Jean-Pascal Delamuraz e Kaspar Villiger (PLR), Arnold Koller e Flavio Cotti (PPD), Moritz Leuenberger e Ruth Dreifuss (PS) e Adolf Ogi (UDC), ossia alcuni tra gli allora pesi massimi dei rispettivi partiti; oggi il PLR è rappresentato da Ignazio Cassis, sulle cui qualità a torto o a ragione tutti credo si sono espressi nei mesi passati e non certo in termini lusinghieri, e Karin Keller Sutter, il cui apprezzamento l’emiciclo l’ha dimostrato dando a sorpresa ben 15 voti alla compagna di partito Anna Giacometti; il PPD da Viola Ahmerd, confinata e autoconfinatasi al Dipartimento militare: vedremo se sarà capace di qualcosa in più durante questo suo anno da presidente della Confederazione; l’UDC da Guy Parmelin, nominato a suo tempo semplicemente perché i parlamentari avrebbero eletto chiunque tranne Thomas Aeschi e perché ritenuto meno peggio del Norman cantonale, e Albert Rösti, finora considerato più o meno alla stregua di un peraltro simpatico e affabile portaborse di Blocher & co. ma nulla più (sia detto per inciso, l’attitudine di questo partito a selezionare solo “yes man” per la sua classe dirigente alla lunga rischia di diventare un problema, sia per il partito che di riflesso per l’intera Svizzera); infine il PS da una finora impalpabile Baume-Schneider e, appunto, dal neoeletto Beat Jans.

Ed è su quest’ultimo che si concentrano le attenzioni in merito, un po’ per l’apparente insipienza dei suoi colleghi, un po’ per il suo profilo. Perché Jans rappresenta il sogno americano in salsa elvetica: figlio di un operaio, contadino di formazione, con tenacia e costanza non comuni ha scalato gradino dopo gradino dapprima la scala sociale e professionale (diploma in agrotecnica prima e laurea in scienza ambientali al Politecnico di Zurigo poi, e una carriera nel privato che lo ha portato ad arrivare all’insegnamento universitario) e politica – basti dire che, diventato presidente del PS cantonale solo due anni dopo aver aderito al partito, sotto la sua guida i socialisti basilesi ottennero un terzo seggio in Consiglio di Stato e la maggioranza in Gran Consiglio assieme ai Verdi.

Oggi si è assistito al compimento di questa sua ascesa, forse però non alla sua conclusione. Perché i colleghi che lo conoscono – ed io con loro – lo dicono ben preparato e meticoloso, bravo nel tessere e cercare alleanze e aperto al dialogo e ai compromessi seppur durissimo da convincere: parrebbe insomma avere tutte le qualità per diventare quel leader che questo Governo e di conseguenza pure questo Paese sta disperatamente cercando. Vedremo se riuscirà ad esprimerle.

La novità di giornata è così costituita dall’elezione a cancelliere della Confederazione di Viktor Rossi, anche lui di umili origini – è figlio di italiani immigrati in Svizzera negli anni ’50 (è il nuovo che avanza, c’è poco da dire e da fare) – ma soprattutto esponente di un partito diverso dalla triade PLR-PPD-PS che ha lottizzato la carica fino ad ora, i Verdi liberali (repetita iuvant: è il nuovo che avanza…).

Una volta ancora è rimasta a bocca asciutta l’UDC, l’unico tra i partiti storici a non aver mai ricoperto questa carica, l’ennesima dimostrazione dell’incapacità della sua dirigenza a tessere alleanze e strategie di concerto con i propri alleati, un aspetto su cui sarebbe opportuno finalmente si fermasse a riflettere.

Nell’immagine: Beat Jans dopo l’elezione (dai servizi RSI)

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