Il dopo elezioni con il professor Proctor
La destra e i fantasmi dell’immigrazione e del clima: quando sulla paura si costruiscono teorie fondate consapevolmente sull’ignoranza
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La destra e i fantasmi dell’immigrazione e del clima: quando sulla paura si costruiscono teorie fondate consapevolmente sull’ignoranza
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La destra e i fantasmi dell’immigrazione e del clima: quando sulla paura si costruiscono teorie fondate consapevolmente sull’ignoranza
La prima, l’immigrazione, intesa e presentata come pericolo, insicurezza generale e grave per le comunità locali, dannazione per l’identità nazionale, minaccia per il benessere della popolazione e, per le generose elargizioni, anche delle già fragili istituzioni sociali (assistenza, invalidità, ospedali pubblici) o, per le accresciute incombenze, delle autorità giudiziarie (polizia, interventi penali).
Il secondo, il clima, descritto spesso come derivato ideologico-statalista (dei Verdi, della Sinistra), un’esagerazione per creare consenso con la paura, un ostacolo allo sviluppo economico, un onere burocratico e finanziario per politiche adottate e quindi fattore di maggiori costi per la produzione e la distribuzione e quindi causa di ulteriore sottrazione di potere d’acquisto al cittadino-elettore-consumatore.
Già a questo punto è interessante rilevare le ambivalenze assunte sia da quella che molti commentatori e analisti politici ritengono una delle protagoniste della scelta elettorale e cioè la paura; sia da un motivo che inalbera sempre tutti i cittadini-contribuenti che si ritengono defraudati nel portamonete e cioè i costi.
Nel caso dell’immigrazione la paura è assunta in proprio, come “paura dell’altro”, dell’immigrato, dello straniero (in particolar modo del cittadino europeo, immigrato o frontaliero, perché vanta, a differenza di altri, diritti specifici a causa degli accordi bilaterali tra Svizzera e Ue). Nell’altro caso, quello del clima, la paura diventa invece un’accusa d’inganno e di irresponsabilità riversata sui millantatori di catastrofi e di costi climatici (negando quindi, implicitamente, l’esistenza di un problema climatico o la gravità delle conseguenze climatiche).
Nel caso dei costi, invece, mentre si è certi che l’immigrazione è un danno e un costo, si è altrettanto certi che non sono tanto le conseguenze attribuite al surriscaldamento climatico a generare costi, ma sono piuttosto le dispotiche politiche ambientali (comprese quelle delle energie alternative o lo stop deciso per la produzione di energia nucleare) e soprattutto le politiche fiscali (come gli oltre settanta centesimi di accise sulla benzina) a generare costi insostenibili, dannosi per la crescita economica.
A quest’altro punto è interessante rilevare come ci sono studi, analisi, rapporti, tutti provenienti da ambienti economici certamente cari alla destra o comunque sostenitori di una politica neoliberista, che dicono esplicitamente il contrario. E cioè: l’immigrazione è un grande “atout” per la Svizzera, senza l’immigrazione saremmo al palo e forse non ci sarebbe neppure stata innovazione per la Svizzera (si veda, ad esempio, una interessante, documentata ricerca e analisi di Patrick Leisibach, Patrick Schnell e Laurenz Grabher per Avenir Suisse – Debat , “laboratorio” liberale”, promotore dei principi dell’economia di mercato, emanazione delle principali organizzazioni e imprese svizzere; oppure, nel sito “foraus.ch” il saggio collettivo Die Grenzen der Kontigentierbarkeit. Wieso eine planwirtschaftliche Zuwanderungspolitik nicht im Interesse der Schweiz ist.; o ancora i numerosi rapporti dell’Ufficio federale di Statistica). E altri numerosi interventi di tutti gli istituti universitari svizzeri (università o i politecnici di Berna, Losanna, Neuchatel, Friborgo, Ginevra, Zurigo) hanno prodotto seri e documentati studi sul tema del clima, rilevandone pressoché in sincrono il “crunch moment” o il momento cruciale, critico, il momento vitale, in cui si deve decidere e operare (e “crunch” in inglese significa emblematicamente tanto scricchiolio, quanto macinare come verbo).
Ed allora è qui, dopo la buriana elettiva, che si po’ cadere fatalmente su un termine apparentemente astruso, attirandosi forse la derisione o la critica di supponenza non solo dei “politici” ma anche degli amici: agnatologia.
E’ un termine usato per la prima volta (agnatology, in inglese) nel 1995 da Robert Proctor, professore di storia all’Università di Stanford. Termine più greco che inglese (da aynotos, sconosciuto, e dal confisso logia, cioè studio, teoria, scienza).
Proctor si era applicato nella ricerca sulla “creazione calcolata e premeditata dell’ignoranza” e lo scopo dell’agnotologia era appunto quello di analizzare i meccanismi cognitivi che portano alla formazione del dubbio o a una sorta di produzione premeditata di ignoranza.
Secondo Proctor l’ignoranza è volutamente costruita ogni volta che si eseguono in modo sistematico azioni per diffondere confusione e inganno. A beneficio delle vendite di un prodotto, ma soprattutto della diffusione di una propaganda politica che unisca le masse. Il meccanismo utilizzato è molto semplice, basato sull’alibi di un dibattito che va proposto e si deve fare, tra due tesi opposte, ma in realtà con lo scopo di costruire una falsa immagine della realtà.
Esistono tre tipi di ignoranza. Allo stato nativo, quando è dovuta semplicemente a mancanza o incompletezza di conoscenze. Come scelta selettiva, quando per mancanza di tempo o di interesse o anche per pregiudizio si sceglie di non approfondire o di averne una conoscenza minima. Come ignoranza indotta, quando è il risultato di un piano deliberato, di una strategia. Quest’ultima è quindi l’ignoranza prefabbricata, tipico sistema degli intrighi di potere; ignoranza che crea il dubbio, l’incertezza, la disinformazione, allo scopo di mantenere una sorta di ignoranza collettiva.
Forse è il caso di aggiungere, prudenzialmente, che esiste anche la “gnatologia”, intesa come branca medica che si occupa dello studio e della cura delle patologie che riguardano la masticazione e le relative funzioni, come il mangiare e il deglutire, comunque simbolicamente assai vicini alla politica (v. il classico dialettale: gnam-gnam).
Gli ottimisti dicono (come per il clima) che l’ignoranza c’è sempre stata; è però vero che i cosiddetti “social” l’hanno messa in luce. I pessimisti dicono invece che i “social” non solo l’hanno resa visibile, ma l’hanno sdoganata e moltiplicata, come una pandemia. E la cattiva politica (la politica ruffiana e spudorata, come ha scritto qualcuno) ha trovato il modo di venderla come “valore popolare”, ricevendone in cambio la gratitudine e i voti.
Rimane comunque una certezza: l’ignoranza non ha mai prodotto felicità. Finisce per rendere subalterni e meno liberi. Alla lunga porta anche all’impoverimento economico (v. immigrati), alla disgregazione sociale, al mondo che rotola giù (come scriveva qui, con profetico anticipo e saggia analisi, Andrea Ghiringhelli, uno degli ultimi veri illuminati “liberali” rimasti).
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