Come Putin usa la Storia
Lo fa a modo suo, deformandola per giustificare la sua aggressione a uno Stato sovrano
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Lo fa a modo suo, deformandola per giustificare la sua aggressione a uno Stato sovrano
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Lo fa a modo suo, deformandola per giustificare la sua aggressione a uno Stato sovrano
Analisi dell’articolo con cui il dittatore ha giustificato la sua volontà di annessione di Kiev. Tanta fuffa e nel finale il peccato mortale dell’Ucraina: avere come modello da seguire l’Occidente e non la Russia
I carri armati sono alimentati dalle idee, sono il seguito di una narrazione, per quanto aberrante, falsa e insostenibile sia. È difficile stabilire un nesso causale tra narrazione e fatti, ma è difficile capire i fatti, se spogliati dalla loro motivazione, così come non è possibile non vedere le conseguenze inevitabili di una narrazione. E talvolta le conseguenze sono un’invasione devastante di un intero paese. Allora si è obbligati a capire da dove arriva l’ideologia, il delirio, appunto la narrazione di ciò che sta succedendo in Ucraina. Allora conviene andare alla fonte della “ragione” dell’invasione dell’Ucraina; e chi meglio può spiegarla se non il suo autore?
Putin il 12 luglio del 2021 ha scritto un lungo articolo (di oltre dieci pagine) proprio sull’Ucraina, che merita di essere letto, perché dentro c’è la costruzione ideologica dell’invasione. Nel testo c’è una teoria, un tentativo di giustificazione storica e, soprattutto, le ragioni profonde di un atto aberrante che sta sconvolgendo il mondo. C’è anche la ragione ultima, se ci potesse essere, della crudeltà dei modi e dei mezzi con cui sta avvenendo.
Il testo di Putin è chiarissimo e spiega in maniera inequivocabile, dal suo punto di vista, il senso di questa guerra. Conviene leggerlo con attenzione e si troveranno tutte le risposte all’invasione. Tutto è reso con grande evidenza, e con luciferina coerenza, perché rivela in maniera limpida la sua concezione del mondo, e in particolare la sua concezione dell’Ucraina. Il testo è in inglese, secondo la traduzione ufficiale (dal russo) dello stesso governo russo. Perciò non ci sono dubbi sull’autenticità delle sue parole. Vediamo cosa dice.
La prima frase chiarisce già l’essenziale, che poi prova a dimostrare con un lungo excursus storico e di prospettive culturali e, diremmo, antropologiche. Scrive Putin che «i Russi e gli Ucraini sono un solo popolo, un singolo tutto» (Russians and Ukrainians were one people – a single Whole). Evitiamo di commentare se questa sia la premessa migliore per devastare le città e annichilire la popolazione. Restiamo sul testo e sul piano storico-culturale.
Aggiunge Putin che i due popoli sono «le parti di ciò che ha essenzialmente la stessa storia e lo stesso spazio spirituale». È importante notare l’uso di questi due termini: la stessa storia (poi vedremo che, secondo quanto da lui stesso scritto, la storia dell’attuale Ucraina ha avuto innumerevoli cambiamenti) e, soprattutto, «lo stesso spirito». In questo, fa riferimento ovviamente a qualcosa di metafisico, a cui vedremo che cercherà di aggiungere riscontri storici. Resta il fatto che l’unione spirituale di un popolo è difficile da definire. Lui scrive più avanti che è data dalla religione, quella ortodossa; ma andiamo con ordine.
Tutta la narrazione di Putin nasce dall’idea che esista un impero russo, che questo impero abbia un suo spirito, che si ritrova nella lingua, nella religione greco-ortodossa e in uno spazio fisico, che lui identifica nelle attuali Russia, Bielorussia e Ucraina. Tutto comincia, a suo parere, dal fatto che in passato ci fosse un «Ancient Rus» (il termine sta a indicare popolazioni che nell’Alto Medioevo vivevano nei tre Paesi citati e con appendici anche in Polonia e Slovacchia). Per Putin si trattava del più grande stato europeo. Qui commette un lapsus (diremmo) perché definisce quell’antica popolazione come europea, perciò sarebbe del tutto ovvio che oggi, a secoli di distanza, l’Ucraina rivendichi la sua appartenenza europea. C’è poi un riferimento al gesto di St. Vladimir, grande principe di Kiev, di farsi battezzare come ortodosso, e così facendo creò quell’appartenenza di fede che costituirebbe lo spirito russo.
Aggiunge che «il trono di Kiev aveva una posizione dominante nella Ancient Rus». Cita Oleg il Profeta che nel IX secolo ha dichiarato che Kiev sarebbe stata la madre di tutte le città russe. Il termine «madre» (motherland) ritorna più volte nella sua narrazione. Ammette che dopo quel tempo vi sia stata una frammentazione di stati e staterelli, dovuta anche alle invasioni dall’esterno («devastating invasions») che fanno pensare piuttosto a quella sua odierna. Aggiunge che una parte dell’attuale Ucraina «referred», faceva riferimento al Gran Ducato di Lituania e Russia.
Fino ad adesso sembra tutta una storia interna all’Ucraina, ma ecco come si inserisce (l’immedesimazione?) la Russia odierna. Scrive che a un certo punto i principi di Mosca, discendenti del Principe Alexander Nevskij, cominciano a riunificare («gathering») la terra russa. Nel frattempo accade qualcosa che lui stesso cita, ma da cui non trae le naturali conseguenze, e cioè che le popolazioni dell’Ucraina legate alla Lituania diventarono cattoliche. A questo punto, non potendo scrivere che oramai quelle popolazioni erano cattoliche e non greco-ortodosse, afferma che nel 1596 parte del clero ortodosso fu sottomesso («submitted») all’autorità del Papa di Roma.
In sostanza, considerando quanto lui stesso scrive, il richiamo allo spirito russo, che coincide con quello religioso ortodosso, già nel 1500 non aveva alcun senso, e probabilmente nessun consenso, visto che l’unica citazione storica avversa che cita si riferisce al 1649, quando lui sostiene che gli abitanti di Zaporizia, l’attuale regione tra il sud dell’Ucraina e della Russia, avevano chiesto al Commonwealth Polacco-Lituano di rispettare i diritti della popolazione russo-ortodossa. (Non pare la stessa cosa di oggi quando parla del Donbass? con le stesse parole?)
Va avanti nella storia e, usando sempre il termine Impero Russo, aggiunge che dopo lo smembramento dello stato polacco-lituano la Russia «regained», ha riguadagnato la parte occidentale delle vecchie province russe. E qui comincia una lunga accusa alla Polonia di aver utilizzato l’Ucraina per ottenerne tutte le risorse economiche, dimenticando quanto scritto da lui stesso in merito all’adesione al cattolicesimo di quella parte d’Europa. Accusa poi l’élite polacca di aver separato l’Ucraina dalla Russia.
In sostanza, l’Ucraina non avrebbe, nel suo pensiero (e l’ha detto a chiare lettere il giorno dell’invasione) una identità perché quella cattolica sarebbe stata frutto di oppressione e di coercizione. Resterebbe la questione della lingua ucraina, che esiste da secoli, a testimonianza dell’identità, ma sostiene che si tratta di un dialetto, con la stessa differenza tra Roma e Bergamo.
E veniamo alla parte sovietica della storia. Qui la vicenda si fa ancora più contorta, perché sostiene che nel 1917 la proclamazione dello stato Ucraino era concepito come uno stato dentro la Russia, anche se formalmente si trattava di una confederazione di stati indipendenti. Sostiene che secondo i principi del comunismo gli stati erano una finzione, perché c’era una concezione universalistica dell’idea comunista, e perciò il riconoscimento degli stati era solo un modo per suscitare simpatie, ma senza un valore statuale.
Dedica poi pagine a sostenere che l’identificazione dell’Ucraina con l’Europa, cresciuta dopo la caduta dell’Unione Sovietica sia frutto della manipolazione dei Polacchi in chiave anti-Russa. Questo sarebbe avvenuto contro la volontà dei popoli russo, bielorusso e, appunto, ucraino che, invece, si sentirebbero come «a triune nation», che potremmo tradurre come una «nazione trinaria», che evoca la trinità cristiana. La reazione eroica e per nulla accondiscendente degli Ucraini di questi giorni dimostra che certo questo non è il pensiero degli Ucraini, e sicuramente anche dei Bielorussi, se avessero la possibilità di dirlo.
Per altro, l’idea che un popolo si fondi su uno spirito, oltre che essere l’ingrediente delle teocrazie, è smentito proprio da altre parti del suo testo, quando afferma che in Ucraina convivono più religioni, più etnie e intrecci molteplici anche al livello familiare. O Addirittura – visto con gli occhi di oggi – afferma che ognuno è libero di determinare la sua nazionalità, particolarmente nelle famiglie miste, perché «every individual is free to make his or her choice». Allora perché l’invasione? Allora perché il richiamo a un’unità di razza, di religione che si vuole anche unità statuale?
La risposta è in quelle parole ripetute a ogni pagina dello scritto: “Impero Russo”. Tutto viene interpretato alla luce dell’esistenza, del mantenimento e dello sviluppo dell’Impero. Tutto il resto dello scritto, dedicato agli anni più recenti, è fondato su quello che chiama il «Piano anti-Russia», che sarebbe perpetrato dagli «autori occidentali», rispetto a cui il governo legittimo, e democraticamente eletto dell’Ucraina sarebbe succube e servitore. Ma il cuore della vicenda attuale Putin la rivela nella sua ultima pagina, quando scrive che all’attuale governo dell’Ucraina piace vedere nell’esperienza dell’Occidente «as a model to follow», un modello da seguire.
Perciò il peccato mortale dell’Ucraina è di vedere come modello non la Russia, ma l’Occidente.
L’ultima riga del testo suona sinistra e beffarda insieme, perché sostiene che la Russia «non è mai stata e mai sarà anti-Ucraina e quello che l’Ucraina sarà è nelle mani dei suoi cittadini deciderlo» (it is up to its citizens to decide). Ecco come la spietata chiarezza del pensiero che sta dietro i carri armati e i bombardamenti cancella i geroglifici di geo-politica, le fantasie giustificazioniste e gli equilibrismi dell’equidistanza.
Nell’immagine: il videogame “Kievan Rus”, per telefonini Android
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