Ventisette secoli dopo Eschilo
Verità, menzogne, e molte domande per cercare -inutilmente- di capire la guerra
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Verità, menzogne, e molte domande per cercare -inutilmente- di capire la guerra
• – Enrico Lombardi
“Tra guerra e resa esiste una terza via”, “Inviare armi esigenza morale e strategica”. La lettera del pacifista Valpiana e la risposta di Gad Lerner
• – Redazione
Il capo del Cremlino ha capovolto Cristo. E fatto nascere un nuovo Dio, trinitario: presidente, popolo, esercito
• – Redazione
E quello delle armi e del frontalierato
• – Silvano Toppi
"Il popolo russo può sempre distinguere i veri patrioti dalla feccia e dai traditori e può semplicemente sputarli fuori, come un moscerino volato per caso nella bocca"
• – Redazione
A Bellinzona di nuovo per chiedere la fine della guerra e la pace in Ucraina
• – Patrizio Broggi
In piena emergenza umanitaria c’è chi vuole cacciare i rifugiati che vivono già in Svizzera da anni per far posto a quelli ucraini
• – Giusfin
La guerra ucraina ci mostra un chiaro esempio di sovrapposizione di errori speculari
• – Redazione
La cattiva gestione della quinta ondata di Covid-19 contribuisce alla lenta e dolorosa caduta dell’ex colonia britannica
• – Loretta Dalpozzo
I fili e la ragnatela della storia si aggrovigliano, come le ramificazioni dell’albero genealogico di milioni di russi e ucraini imparentati tra di loro
• – Mario Casella
Verità, menzogne, e molte domande per cercare -inutilmente- di capire la guerra
E noi, ventisette secoli dopo, siamo ancora qui a ricordarlo (senza essere mai andati in guerra, per nostra fortuna) ma con una guerra appena fuori dalla porta di casa e con in casa le prime e vere vittime del conflitto, donne e bambini fuggiti dall’Ucraina invasa e devastata dall’esercito dello zar.
Siamo ancora qui a cercare di capire guardando, attoniti e smarriti, le immagini strazianti che vengono dai campi di guerra, in una pletora informativa (ampiamente estesa dai social) che non di rado si trasforma (metaforicamente, s’intende) in un’altra guerra, di opinioni contrapposte, che in un paio di minuti diventano subito “inconciliabili”, perché “tertium non datur”: o si sta di qua, o si sta di là: ovvero, o si combatte il dittatore russo, con ogni arma (non solo metaforica), o si sta dalla sua parte, inequivocabilmente.
Per prendere atto che le cose non possono che stare così dovrebbe bastare, appunto, vedere quanto accade, sentire le moltissime testimonianze che ci giungono attraverso i media, condividere le riflessioni di chi, della materia, è “esperto” e sa come leggere quanto ci viene proposto, ora dopo ora, da radio, televisioni, giornali, siti online più o meno specializzati.
Eppure, proprio in questo momento, come sottotraccia, pare emergere un atroce paradosso: la guerra più mediatizzata della storia, può diventare o essere definita già sin d’ora anche la guerra giornalisticamente più “taroccata”, in cui le notizie possono in ogni momento esploderci in mano come un ordigno perverso forgiato sapientemente nelle officine della propaganda.
In un mondo parossisticamente mediatizzato, del resto, non può che essere così: ogni “fronte” mette in campo un apparato cosiddetto “informativo” che consiste sostanzialmente nella fabbricazione di notizie ad uso e beneficio di chi le produce. Ai giornalisti è affidato, oggi più che mai, il compito improbo di verificare ogni fonte informativa alla lente delle sue eventuali, ipotetiche o reali “manipolazioni”. Ne ha fornito un esempio lampante, in questo sito, l’intervista a David Puente.
Il fatto è che proprio dentro questo contesto pieno di contraddizioni, i mezzi di informazioni sono tendenzialmente orientati, per il meccanismo di concorrenza fra testate, a rincorrere sempre più lo “scoop”, dare per primi la notizia, fornire per primi un commento, spiegare al pubblico, in sintesi e in fretta, magari con un qualche abboccamento ad effetto, per attirare la distratta attenzione, chi è stato a fare cosa, perché e con quali conseguenze.
Così, in pochi giorni dall’inizio di questa tragedia, siamo arrivati sostanzialmente alla definizione, appunto, di due fronti contrapposti anche dal punto di vista dell’informazione e degli approfondimenti; la sensazione è che ormai gli “schieramenti” sono chiari ed i conseguenti “commenti” stanno un po’ di qua e un po’ di là, quasi prevedibili in una categoricità che deriva da una preliminare e inscalfibile “scelta di campo”.
Per carità, niente di nuovo, niente di scandaloso, anzi: pieno diritto per ciascuno di dire e ribadire quello che ha sempre pensato. Nel nostro mondo democratico per fortuna è ancora possibile. Ma se, in questo caso particolare, prendiamo proprio in considerazione il presupposto di un contesto informativo così soggetto alla manipolazione, come uscirne comunque tanto convinti e pieni di certezze su dove stia tutto il male e dove stia quel che si deve fare per contrastarlo?
Quanti “episodi” rimbalzati fra agenzie, mezzi informativi e arene politiche radiotelevisive, sono in poco tempo diventati “a rischio fake”? Non chiare e definitive fake news, attenzione, ma potenziali fake news, assunte come vere e “clamorose” in presa diretta, e poi, a poco a poco, fonti di dubbio, di incertezza. Comunque, per l’ansia di non perdersi le novità dell’ora successiva, sempre a poco a poco, di quelle eventualità ci si dimentica, oppure le si evoca se servono per rafforzare le proprie tesi.
Potremmo solo rapidamente ricordare, oltre agli esempi smascherati da David Puente, quant’è misteriosa la vicenda della vera o presunta strage al teatro di Mariupol; o ancora, potremmo tener presente che un prestigioso quotidiano italiano ha messo in prima pagina una foto relativa ad un bombardamento russo mostrando a terra le vittime (civili) ucraine per poi sentirsi dire che si trattava di una foto di anni prima relativa ad un’operazione militare ucraina. Ma forse non è neanche così, chissà, perché se lo fosse ci sarebbe da domandarsi come sia possibile che il direttore di quello stesso prestigioso giornale, invece di scusarsi, sia in televisione tutti i giorni, come niente fosse, a fornire i suoi perentori giudizi sulla guerra.
Ma potremmo anche parlare del “caso” della giornalista Marina Ovsyannikova, di cui abbiamo subito riferito anche in questa sede: la sua clamorosa protesta al TG principale della principale catena televisiva russa ha fatto il giro del mondo, ha sùbito fatto temere per le sorti della giornalista stessa, ha fatto “sperare” che quel gesto fosse un incoraggiante esempio di ribellione interna, in Russia, alla cinica e criminale invasione in Ucraina. Poi, dopo ore di apprensione, la Ovsyannikova riappare in una foto diffusa nei social, in un selfie scattato insieme al proprio avvocato. Ancora qualche ora, ed ecco altre immagini della giornalista che esce dal tribunale dopo essere stata condannata a 250 franchi di multa. Ma sarà vero tutto ciò? Speriamo di sì, ma diciamoci la verità: non è forse lecito avere qualche dubbio? E non è che da dubbio nasce dubbio, in una pericolosissima spirale di “perdita di credibilità” del giornalismo? O di “sospensione dell’incredulità” di giornalisti, lettori e spettatori?
Ora, si potrà tranquillamente dire che al di là di vere e finte fake, per tutti è chiaro (e chiaramente raccontato dalla stampa) che si sta comunque perpetrando un’assurda prova di forza a suon di bombardamenti e massacri inequivocabilmente voluti da una persona, Vladimir Putin, e dai suoi asserviti cortigiani, politici, oligarchi, militari, che inscenano, per esempio, un’adunata oceanica allo stadio di Mosca per mostrare quanto il popolo russo sostenga questa “operazione militare”. Certo, è tragico ed angosciante, com’è triste, per il giornalismo, veder messa in evidenza la “notizia” che Putin indossava certamente un giaccone griffato italiano da 13.000 Euro a celare il giubbotto antiproiettile (che, forse, teneva nascosto sotto il maglione, certamente di cashmere).
Dentro quel giaccone, sotto quel maglione, sta un uomo dalla mente criminale, che sta portando il proprio paese e l’Europa ad un passo da un baratro mortale, non c’è dubbio alcuno. Il suo primo bersaglio è il leader ucraino Zelensky, anche su questo non c’è dubbio, come è indubbio che Zelensky sia uno straordinario “esempio di resistenza” in sé, e in virtù delle capacità (eccezionali) di comunicare con i propri cittadini e soprattutto con il resto del mondo (Cassis compreso).
Ma sarà tutto vero quel che dice, in collegamento streaming permanente con Europa e America? Sarà sacrosanto che chieda ai suoi interlocutori di “entrare in guerra” al suo fianco, per difendere il suo paese? E a noi è concesso, a questo punto, solo rispondere di sì?
Io non lo so, e non riesco a far altro che continuare a farmi domande, in nome della convinzione, generale, che si sia tutti per la pace o, per dirla con un “sottile” e un po’ bizantino emendamento chiesto dall’MpS in Gran Consiglio, “contro la guerra” (chiunque la faccia).
E continuo a pensare ad Eschilo.
Nell’immagine: un allestimento de Le Supplici di Eschilo
Cosa chiedono a Berna, come compensazione, le grandi società straniere che dovranno adattarsi all’imposizione minima globale
Locarno alle prese con la gestione della politica culturale, tra ignoranza e disinteresse