Convergenze parallele in campo largo
Le strade sconnesse e dissestate che portano, forse, alla definizione e all’affermazione di una politica progressista
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Le strade sconnesse e dissestate che portano, forse, alla definizione e all’affermazione di una politica progressista
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Le strade sconnesse e dissestate che portano, forse, alla definizione e all’affermazione di una politica progressista
Oggi una parte di quell’Italia e di quei due partiti sta dentro la realtà complessa e variegata (e infiammabilissima) del Pd di Elly Schlein, quella che nessuno aveva visto arrivare, e che dai gazebo delle primarie è atterrata a sorpresa in segreteria con l’intenzione di dettare le regole di una vera svolta, necessaria, a maggior ragione, dopo la clamorosa affermazione delle destre nelle elezioni dello scorso settembre.
A tre mesi dal suo insediamento al Nazareno, e dopo la sonora batosta delle amministrative parziali, la segretaria torna a fare i conti con le diverse anime del proprio partito, che tutti gli osservatori davano per pronte al fuoco incrociato alla prima occasione. “Mettetevi comodi, sono qui per restare”, la lapidaria reazione di Schlein, che va avanti per la sua strada di possibili riforme (del partito e del Paese) cercando faticosamente supporto in un “campo largo” che dovrebbe comprendere tutti i partiti e movimenti di opposizione della frastagliata e litigiosa realtà progressista, a cominciare dagli ineffabili grillini di Conte.
Dentro quel “campo largo”, Schlein individua i possibili alleati per una battaglia contro un governo che, da solo, il Pd non potrà mai contrastare. Ma a coprire quel “campo largo” c’è evidentemente una coperta troppo corta ( e non solo dal punto di vista strettamente elettorale) sia nel partito che nell’area. È un fatto che l’attuale dirigenza Pd si volga molto più a sinistra delle precedenti gestioni (governative) del partito: del resto, la sconfitta di settembre imponeva un radicale cambiamento, ma così facendo però, lo si è detto subito, sono rimaste scoperte ed inascoltate sensibilità più moderate, che nel passato hanno anche avuto un ruolo preminente. Lo stesso disegno di cercare un’alleanza con il M5stelle in chiave di opposizione alla destra, non fa certo l’unanimità, né dentro il Pd né dentro il Movimento di Conte, che del resto, per primo, si sottrae e si nasconde. E dove sta uno dei temi cruciali di questo disaccordo preventivo? Nella guerra in Ucraina, che ha nel Pd un convinto sostenitore, nei grillini dei travagliati oppositori.
Così intanto, insieme, si impugnano questioni sociali come la maternità surrogata o i diritti lgbt+ (o l’occupazione della RAI, dove però già c’è qualche cedimento fra i cinque stelle) e per finire crescono gli scontenti più che le teste pensanti di un progetto comune coraggioso e necessario quale dovrebbe pur venir considerato quello della battaglia per la giustizia sociale e ambientale.
Ora, con un’ardita e forse un po’ affrettata giravolta mettiamo in parallelo questa situazione con quella che “in minore” (e con tutte le proporzioni del caso) si sta consumando nel nostro Cantone, dove sta tornando alla ribalta proprio la questione delle alleanze “di area”.
Naturalmente un aspetto distintivo molto importante consiste nel fatto che da noi non c’è una logica di “governo vs opposizione”, anzi, corrono tutti, se possibile (e in virtù del meccanismo elettorale) ad occupare una poltrona governativa, per poi demandare all’attività nel legislativo ogni velleità rivendicativa. È un fenomeno che percorre trasversalmente l’arco parlamentare e che ha a destra, in Udc e Lega, dei veri campioni di un’ambivalenza che per ora pare pagante. Un’ambivalenza e un bifrontismo che si esplicitano anche nelle beghe fra i due partiti, che poi si accordano e vincono quando conta, alla faccia della presunta “sinistra egemone” e soprattutto dei cittadini (che li votano, per carità).
A sinistra, il “campo largo” è sostanzialmente terreno di scontri, divergenze, incomprensioni. Certo, fra PS e Verdi sembra ci sia un’intesa di fondo (più nei silenzi che nelle esternazioni) ma con gli altri gruppi e gruppetti… apriti cielo. Anche qui, ancora una volta, la coperta pare corta: dentro il PS, che ha scelto di andare più a sinistra, si è vissuta la defezione di un’ala “moderata” che alle Cantonali è andata Avanti da sola, prendendo un’altra strada. Un orientamento, quello di Mirante, Roncelli e compagnia che è parso incompatibile con la nuova linea del partito e che dunque ha portato fatalmente alla rottura. Ma non in modo naturale ed indolore, no: con rimpianti e recriminazioni di non pochi militanti rossi, che passano tutt’ora il tempo a rimasticare quanto quella frattura abbia fatto perdere voti. Perché, certo, per fare voti ci va una larga intesa, ed ora, perso quel 5% si va urgentemente a rincorrere l’1,7% dei comunisti (cui, peraltro, si è già dato anche un seggio commissionale), con il quale alle Cantonali non c’erano le condizioni per fare un accordo, ma ora evidentemente sì. Anche perché intanto il “Forum alternativo” si è avvicinato ai Verdi mentre l’Mps, quello “che manca di rispetto”, non merita (e probabilmente neanche vuole) lo sforzo di una trattativa.
Naturalmente, a proposito di questo paesaggio in chiaroscuro, qualche notista ha tutto il diritto di porre qualche interrogativo: e su cosa? Sulla guerra in Ucraina, anche qui, mai legittimata dal Pc in nome della sacra neutralità svizzera (e forse anche d’altre ragioni). Così, il PS tentenna e il Pc si offende, anche per un certo esplicito ostracismo dentro l’area (si veda, in questa sede, la presa di posizione di Sergio Roic), ma soprattutto per l’impudenza dei “giornalisti progressisti” che osano esprimere qualche opinione sul funzionamento di politica e partiti, colpevoli, loro, (i giornalisti, certo, e chi se no), di ostacolare l’unità della sinistra (lo dice Ay nel profilo social del partito).
E intanto questioni di fondo, come quella sulla guerra, diventano oggetto di schermaglie francamente un po’ sterili e strumentali, impugnati dall’uno o dall’altro (degli schieramenti politici, non dei giornalisti) per raccogliere adesioni più che per approfondire le ragioni di un conflitto che sta devastando l’Ucraina ma anche, per ora, un qualsivoglia possibile progetto di pace, con buona pace di ogni ipotesi di “campo largo”.
Il fatto è che, forse, un serio “campo largo” sarebbe da intendere non in estensione, ma in profondità. Andrebbe forse cercato nell’elaborazione concreta di un progetto politico che si concentri su temi cruciali, economici e sociali, capaci di coagulare un movimento d’opinione disposto anche ad andare in piazza (come, da noi, per la vertenza sulle pensioni pubbliche) per rivendicare priorità e diritti che i governi di destra stanno stravolgendo, cancellando o camuffando. Ma evidentemente sarebbe un processo lungo, che mette in conto di non portare necessariamente schede e poltrone nel giro di qualche mese. E qui, ahinoi, tutto vacilla, anche a sinistra: il progetto di ampio respiro si scontra con l’ansia di conquista o riconquista di seggi, prevale la caccia al facile ed immediato consenso, ai voti raccattati qua e là, basta che si incassi, per aumentare le percentuali ed il potere contrattuale dentro le istituzioni, da cui restano esclusi inesorabilmente gli elettori, sempre più in quota astensione. Il nodo sta probabilmente qui, ed è tutt’altro che evidente saperlo sciogliere.
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