Se l’Europa sceglie la destra
I più recenti esiti elettorali, in Italia e in vari paesi messi in relazione con il contesto UE, a un anno dalle europee
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I più recenti esiti elettorali, in Italia e in vari paesi messi in relazione con il contesto UE, a un anno dalle europee
L’Europa va a destra. A partire dal settembre scorso partiti conservatori o apertamente reazionari hanno vinto le elezioni in Svezia, Italia, Finlandia, Bulgaria e Grecia. In Spagna hanno trionfato alle amministrative obbligando il premier socialista Pedro Sanchez ad anticipare di qualche mese le politiche, ora fissate al 23 luglio. In Germania, dove hanno conquistato il sindaco di Berlino dopo due decenni di amministrazione socialdemocratica, i democristiani sono dati in ascesa nei sondaggi e insidiano la litigiosa coalizione di Olaf Scholz. E tutte le previsioni dicono che, alle prossime elezione europee tra un anno, il Ppe dovrebbe confermarsi primo partito della Ue.
Siamo di fronte ad un normale avvicendamento politico, connaturato alle naturali oscillazioni delle opinioni pubbliche in democrazia, oppure si tratta di un fenomeno nuovo, che può avere conseguenze strutturali di lungo periodo? Come sempre, c’è una dose di verità in entrambe le osservazioni.
Da una parte, infatti, è necessario constatare che negli ultimi anni il Partito Popolare europeo, tradizionalmente espressione di una destra moderata, democratica e con un’anima “sociale”, pur essendosi confermato come il primo partito alle elezioni europee era pochissimo rappresentato al vertice dei governi nazionali. Prima della recente ondata di destra, Germania, Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Belgio, Olanda, Svezia e Finlandia avevano scelto primi ministri non democristiani. In parte, dunque, il recupero elettorale dei conservatori può essere interpretato come un naturale riequilibrio delle dinamiche politiche, che riporta l’Europa ad una “foto di famiglia” più corrispondente alla fisionomia del Parlamento europeo definita dalle elezioni del 2019.
Ma questa versione rassicurante non tiene conto di una novità politica di grande rilievo che sta emergendo del recente successo delle destre europee e che potrebbe avere effetti di lungo periodo. Infatti, dall’Italia alla Spagna, dalla Svezia alla Finlandia, accanto al recupero dei partiti che aderiscono al Ppe, la sconfitta delle sinistre si accompagna anche ad un successo, in alcuni casi clamoroso, dell’estrema destra che non si riconosce nel tradizionale moderatismo democristiano.
In Italia FdI e Lega hanno preso più di quattro volte i voti del partito di Berlusconi, l’unico che aderisce al Ppe. Ma anche alle elezioni spagnole di domenica scorsa, accanto al recupero del Partido Popular si è assistito ad una impennata di consensi per l’ultra-destra di Vox, che ha più che raddoppiato i propri elettori e che ora si candida a governare con il PP. Lo stesso era accaduto in Svezia con l’estrema destra populista di Jimmie Akesson, in grado di condizionare pesantemente il governo. Il vero dato politico che potrebbe rappresentare una svolta epocale negli equilibri europei è che, dovunque vincano le elezioni, i democristiani sono orientati, e spesso obbligati, a formare coalizioni di governo con i partiti alla loro destra.
Per molti decenni, in quasi tutti i Paesi d’Europa, socialisti e popolari si scambiavano periodicamente il ruolo di primo e di secondo partito. E in base a quegli equilibri inevitabilmente formavano coalizioni di governo moderate e democratiche che potevano pendere più a destra o più a sinistra a seconda dell’esito elettorale. Quel modello di democrazia si è rotto. In parallelo con il calo della partecipazione degli elettori alle consultazioni, altra costante trans-europea, si assiste ad una polarizzazione della politica. Quella spinta a formare coalizioni centriste, che aveva caratterizzato per decenni le democrazie del Vecchio continente, è ora sostituita da una radicalizzazione della contrapposizione destra/sinistra il cui primo risultato è la messa a rischio della costruzione europea.
La sostanziale compatibilità tra i governi nazionali, che fossero a guida democristiana o socialdemocratica, è stata infatti un collante essenziale dell’integrazione comunitaria. Ed ancora oggi i vertici delle istituzioni Ue sono il frutto di accordi tra una coalizione di governi e di forze politiche che si fondavano sul costante dialogo tra socialdemocratici, popolari e liberali.
Se la nuova tendenza spostasse definitivamente il baricentro del Partito Popolare europeo verso una alleanza con l’estrema destra, che ha ovunque connotazioni euroscettiche, governare l’Europa evitando lacerazioni drammatiche diventerebbe molto difficile, o addirittura impossibile.
Naturalmente proprio l’ineluttabilità di una coalizione tra conservatori e populisti è al centro del progetto politico perseguito da Giorgia Meloni in vista delle prossime elezioni europee. È un progetto tanto ambizioso quanto rischioso, che però si scontra con l’ostilità dei partiti moderati del Nord Europa verso il populismo dell’ultra-destra e il pericolo che rappresentano. Lei sta cercando di gestire il governo italiano per dimostrare che questi pericoli non esistono, per ora con scarsi risultati visti gli insuccessi su migranti e fondi europei. Ma indubbiamente il risultato delle elezioni spagnole le dà una mano.
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