Elettricità e nucleare
Riflessioni per una cruciale questione globale che deve evitare interessi di parte
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Riflessioni per una cruciale questione globale che deve evitare interessi di parte
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Riflessioni per una cruciale questione globale che deve evitare interessi di parte
Come provare ad evitare anche in questo caso che l’Europa ci ricatti con una necessità, quella di energia elettrica, che noi potremmo non avere a sufficienza in un prossimo futuro? Con il ritorno in grande stile all’impulso da dare al nucleare, è la risposta dell’UDC, che per voce della sua vicepresidente nazionale Magdalena Martullo Blocher invoca anzi al più presto non solo il prolungamento dell’attività delle centrali ancora in funzione, ma soprattutto la costruzione di una nuova centrale, primo baluardo contro la nostra temuta “dipendenza” dall’UE.
A fare da megafono di tale posizione, da noi, è ormai da qualche mese il domenicale leghista, che ogni settimana trova modo di richiamare questa “necessità”: ancora la scorsa domenica, Lorenzo Quadri, nella sua tradizionale prosa sfumata, ci avverte toccandola piano:
“ I camerieri di Bruxelles nel governicchio federale ora sventolano lo spauracchio del rischio blackout. E dunque arriva il nuovo rapporto – ovviamente pilotato – secondo il quale, senza un’intesa con gli eurobalivi sull’approvvigionamento elettrico, la Svizzera rischierebbe di rimanere al buio. Già si blatera di due giorni senza corrente nel mese di marzo a partire dal 2025. (…) In materia di approvvigionamento elettrico dobbiamo diventare indipendenti. Il che significa aumentare la nostra produzione di energia! Quindi: altro che spegnere le centrali nucleari prima del tempo! Bisogna invece costruirne una nuova, come giustamente proposto da Magdalena Martullo Blocher. Non solo: anche la produzione idroelettrica va incrementata. La materia prima, ovvero l’acqua, non ci manca di certo! E le dighe si possono alzare! (da “Il Mattino della domenica”, 17.10.21)
Beh, certo, oltre ai muri alla frontiera si possono alzare anche le dighe, che sarà mai. La questione è che, anche stavolta, il discorso è tutto strumentale, un tema cruciale come quello energetico finisce per diventare anzitutto un’ arma contundente con cui minacciare il resto del mondo. Perché noi siamo e dobbiamo sempre e comunque restarne fuori, e noi, da soli ce la faremmo, sempre e comunque.
Ora, proprio in questi giorni della questione non si occupa solo lo Zio Bill di Via Monte Boglia, e non se ne tratta solo da noi. In verità, il tema della ripresa del nucleare è considerato anche in altri paesi, ed in altri paesi è anche temuto o resta, tutt’al più, un’opzione.
Del resto, Fukushima non è proprio un nome rassicurante da rievocare, ed è proprio a causa dei numerosi pericoli legati al funzionamento delle centrali e allo smaltimento delle scorie radioattive che si era arrivati a definire terminata la stagione dell’ottimismo nucleare.
Il futuro dell’approvvigionamento energetico è comunque un problema serio e complesso, che qui richiederebbe ben più che un semplice commento sommario, per di più per nulla specialistico. Un articolo de “Linkiesta” merita però una lettura attenta almeno per cominciare ad orientarci, ed orientare qualche possibile riflessione, un po’ più ponderata di quelle del domenicale (è vero, non ci vuole molto).
“Energie a impatto zero. A che punto è la discussione sul ritorno al nucleare per la transizione ecologica”, prova infatti a fornire, attraverso fonti autorevoli e i pareri di esperti, un quadro generale della situazione, considerando anche le opportunità dell’”opzione nucleare”, visto che comunque, di fatto, rappresenta ancora una modalità di produzione energetica molto importante in molti paesi (compresa la Svizzera) e visto che, nell’ambito del discorso legato all’Agenda 2030 e 2050 della lotta per il clima, costituisce un elemento “ad emissione zero” o quasi, che va certamente preso in esame.
Dell’articolo, alla cui lettura integrale si rimanda, vale la pena di mettere qui in rilievo alcuni passaggi:
L’energia nucleare continua a dividere l’Europa sulla scelta della strada da seguire nel processo di decarbonizzazione imposto dagli obiettivi dell’agenda Onu per il 2030. Da una parte il gruppo a favore dell’atomo, capeggiato dalla Francia (che soddisfa il 70% del suo fabbisogno energetico tramite il nucleare), accompagnata da Repubblica Ceca, Bulgaria, Croazia, Finlandia, Ungheria, assieme a Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia. Dall’altra parte il fronte dei contrari, i paesi che non riconoscono la sostenibilità dell’energia nucleare, e dunque non la classificano come green.
Questo secondo raggruppamento vede nella Germania il suo principale esponente – dove a seguito dell’incidente di Fukushima del 2011 è stata portata avanti una campagna di denuclearizzazione dell’intero territorio nazionale – a cui si sono accodati anche paesi come Spagna, Austria, Danimarca e Lussemburgo. L’esempio tedesco è particolarmente significativo: negli ultimi 10 anni sono entrati in fase di dismissione 26 impianti e si prevede che gli ultimi 6 ancora in funzione verranno spenti definitivamente entro la fine del 2022.
Ma nello scenario internazionale il settore dell’energia nucleare continua a svolgere un ruolo primario per la sopravvivenza di molte nazioni e trova sostenitori in diversi angoli del pianeta.
Per Simone Molteni, direttore scientifico del network d’informazione sul mondo della sostenibilità Lifegate (…), come dimostrato da numerosi studi, le rinnovabili non hanno limiti tecnici globali. L’irradiamento solare e il vento non pongono limiti fisici alla copertura dell’intero fabbisogno energetico del pianeta. Ciò detto, da un punto di vista di ottimizzazione economica si potrebbero integrare con un mix di diverse tecnologie low carbon».
Secondo Molteni, le prossime mosse per trasformare l’utopia di un mondo a zero emissioni in realtà sono già ben definite: «Serve azzerare la burocrazia che rallenta lo sviluppo delle rinnovabili. Modernizzare la rete e le tecnologie per queste nuove energie. Aggiungere le stazioni di accumulo, che oggi non sono sufficienti. Potenziare la fase di distribuzione e gli stoccaggi. Oggi ci sono le tecnologie e ci sono le possibilità. Serve solo il coraggio di scommettere veramente sulle rinnovabili con un grande sforzo collettivo».
Di tutt’altro avviso sono i docenti del Politecnico di Milano Matteo Passoni e Marco Ricotti, quest’ultimo professore ordinario di impianti nucleari: «il nucleare non va messo in nessun modo in contrapposizione con le energie rinnovabili», poiché l’unica speranza per scongiurare il punto di non ritorno del superamento dei 2°C è quella di «investire in un mix di tutte le forme energetiche, atomo compreso, a ridotte emissioni di CO₂, poiché è impossibile che una sola modalità di produzione di energia elettrica sia sufficiente a soddisfare il fabbisogno a livello mondiale».
Un’altra argomentazione a svantaggio del settore dell’atomo riguarda il presunto calo dell’affidabilità e della sicurezza degli impianti a energia nucleare, che potrebbero venire messi sempre di più a dura prova dall’acutizzarsi degli eventi meteorologici a causa del cambiamento climatico e dall’aumento del consumo di acqua dovuto all’innalzamento delle temperature. Le centrali elettronucleari fanno infatti affidamento su grandi quantità di acqua dolce per il raffreddamento del nocciolo, attingendo a fonti idriche come fiumi, laghi e baie.
«Diversi studi» – risponde Ricotti – «dimostrano come il nucleare sia in realtà una delle fonti energetiche più resistenti e resilienti nel tempo. La quantità dei rifiuti radioattivi è molto inferiore a quella dei rifiuti tossico-nocivi come arsenico, piombo, mercurio. Per non parlare delle polveri sottili, che provocano migliaia di morti ogni anno. In Germania l’ammanco di energia dovuto all’abbandono del nucleare è stato in parte compensato dal ritorno del carbone negli ultimi 10 anni».
Sono questi solo alcuni spunti forniti dall’articolo, che ci dice chiaramente quanto la questione sia complessa e cruciale, quanto vada presa in mano da esperti nei gremi internazionali più qualificati e rivista alla luce di quanto detta, in relazione alle Agende ONU, l’evoluzione delle ricerche su un terreno tanto delicato e in costante mutamento. Insomma, un problema “globale” che non è certo solo utilizzabile per mettere al riparo il nostro paese, fra muri e dighe, dall’influenza della perfida UE.
La storia insegna, a maggior ragione proprio in questo periodo pandemico, come la scienza possa spesso e volentieri diventare ostaggio della retorica politica. La speranza è che la comunità scientifica internazionale sappia sottrarvisi e fornirci risposte, per quanto parziali, che ci aiutino a consegnare alle prossime generazioni un futuro meno inquinato, anche dalle logiche e dagli interessi personali e di parte.
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