I contadini di mezza Europa, soprattutto in Francia, protestano: mettono in fila i trattori sulle autostrade, così come un tempo facevano i loro antenati brandendo i forconi sotto le ville dei padroni o i palazzi comunali degli esattori, contro le decime affamanti o i gravami fiscali mortiferi.
C’è chi ha scritto in una lettera a un giornale francese (definendosi: “paysan et journaliste, tous le deux en retraite active”) che tra la storica forca tridente e il trattore rutteggiante e puzzolente c’è di mezzo un Rubicone. E si sa, come racconta ancora la storia, che il Rubicone, quando lo si supera, quando “il dado è tratto” (alea jacta est!), non dà più possibilità di ritorno. E il motivo, o la sentenza, si trovano in un commento che dice, categoricamente: “ils pleurent leur fierté vendue au capitalisme mondial”. I contadini, insomma, si accorgono e si lamentano per la loro fierezza, la loro dignità, vendute al capitalismo mondiale. Non si dice però quanto oppressi o quanto forse corresponsabili.
Frustrati
Quanto sta muovendosi in Europa, nelle vicine Francia e Germania, scuoterà anche il settore agricolo svizzero? Alcune premesse ci sono. I redditi dei contadini svizzeri sono diminuiti (un calo del 6.3 per cento da un anno all’altro) e si chiede ora e subito da parte dei loro rappresentanti aumenti dal 5 al 10 per cento dei prezzi alla produzione.
Il calo dei redditi non è però la sola preoccupazione che peserà sull’agricoltura svizzera nel 2024. C’è anche quanto le si chiede in termini di “sostenibilità” o di responsabilità ambientale. E rientrano quindi l’uso dei prodotti fitosanitari, dei pesticidi; la salvaguardia della biodiversità con un’iniziativa, contrastata, senza controprogetto, su cui si voterà in marzo; sui limiti o sui dazi all’importazione di derrate alimentari; sui previsti risparmi del Consiglio federale nei sussidi. Anche perché il tutto è visto o come costrizione o come minore produttività e maggior costo o come più controllo sui sussidi e burocrazia.
Con un atteggiamento politico-psicologico, aggravante, assai diffuso tra i contadini, manifestato con senso di frustrazione, pronto ad esplodere, dal presidente dell’Unione svizzera di contadini, Markus Ritter (che è anche consigliere nazionale del Centro) che in una recente intervista ha detto:” Gli agricoltori del Paese hanno l’impressione che qualunque cosa facciano non è mai abbastanza”.
Una crisi esistenziale
Non si può negare, alla resa dei conti, che il mondo agricolo si trova in una sorta di crisi esistenziale dopo aver ceduto parte della sua anima, della sua indipendenza, del riconoscimento e anche della gratitudine sociali, all’esplosione trionfante del capitalismo neoliberista selvaggio, intrappolato anch’esso dalla complessa macchinazione della mondializzazione, dal primato del mercato e della concorrenza valore supremo, dalla grande distribuzione e dall’agroindustria. E persino dalla finanziarizzazione del settore (grossi investimenti per accrescere la produzione o “automatizzarla”, sovrameccanizzazione, elevati indebitamenti).
Il settore ha anche ceduto molto della sua indipendenza sul piano della produzione, asservito spesso alle lobby particolari (ad esempio quelle “proprietarie” dei brevetti sul vivente o sulle sementi) o della chimica. Queste ultime sono diventate venditrici (molto care) di prodotti dopanti, pesticidi e concimi. E quando la terra vivente è trasformata spesso in un semplice supporto minerale, quasi sterilizzato, diventa poi impossibile per l’agricoltore fare a meno delle “droghe”, che vanno sempre più iniettate per non sparire (e pensare, ricordo personale, che già sessant’anni fa, all’università di Friborgo un indimenticabile professore francese, insegnandoci storia e politica economica ci parlò a lungo della essenziale e vitale “jachère”( il maggese) avvertendoci del pericolo che stava arrivando, in un discorso che a noi studenti sembrava reazionario). E l’allevamento industriale è sotto la stessa forzatura. E, forse, diciamolo subito, diventerà anche difficile trovare sempre dei consumatori felici di pagare delle imposte per poi farsi avvelenare dai pesticidi.
Il consumatore paga due volte
Il mondo agricolo è innegabilmente anche oppresso dai margini di profitto che pretendono gli scambisti (i famosi traders) delle materie prime e quelli della distribuzione. Il contadino che decide del suo prezzo di vendita esiste ormai solo tra coloro che vendono direttamente la produzione al consumatore. Fa parte del “chilometro zero”. Per gli altri, ad immagine e somiglianza dei contadini del Sud, produttori di cacao o di caffè, i prezzi si decidono altrove, spesso nelle transazioni ultrarapide borsistiche. C’è quindi da chiedersi se il problema o la crisi sia solo di “reddito agricolo” (specialmente dopo due anni euforici come il 2021 e il 2022) o non piuttosto la conseguenza di una società dominata da una macchina che ben conosciamo ma non vogliamo politicamente correggere, impostata a fabbricare diseguaglianze.
Con in più il fatto che il problema dei redditi agricoli dipende anche in larga misura dai sussidi, da quelli europei, a quelli nazionali o cantonali (non è certamente secondario il fatto che la protesta in Francia dipenda in maniera determinante… dalla fine dell’esonero della tassa sul gasolio “non routier”, il gasolio che raddoppia di prezzo). Con la conseguenza- cui non si accenna mai- che il cittadino-consumatore acquistando un prodotto agricolo, oggi lo paga due volte: con l’acquisto e con l’imposta. In Svizzera, complessivamente, contribuenti/consumatori: 8.5 miliardi di franchi all’anno.
Un ingranaggio comunitario e strategico
L’agricoltura è infatti uno dei settori economici più sostenuti dalla collettività (per 21 miliardi di franchi all’anno in Svizzera; o, se si vuole, 2 milioni di franchi all’anno per chilometro quadrato di terreno agricolo!). Quanto si spende per l’agricoltura è comunque poco meno di quanto si spende per l’esercito (21.7 miliardi): quindi, una minaccia concreta, quasi istantanea (l’insufficiente alimentazione, la dipendenza alimentare, la fame) contro una minaccia ipotetica, di là da venire. Anche se l’agricoltura per il benessere del popolo (ma anche, e in particolar modo, lo è per la salvaguardia della terra, della natura per la protezione dell’ambiente e della vita), è molto più “strategica” dell’esercito. E, tanto meno, non può essere assimilata a un semplice mercato liberale o liberistico, né più né meno come non possono esserlo l’aria o l’acqua potabile.
Per dirla in termini semplici semplici e solo apparentemente banali, il fatto che la terra nutrice e quelli che la lavorano (e anche non la maltrattano) sono parte essenziale e vitale di ognuno di noi e di un vero e proprio ingranaggio comunitario – che non ha niente in comune con mercati in cui fattori esterni di manipolazione o di speculazione travolgono tutto, ignorando l’interesse generale – meritano sempre altro rispetto e considerazione.
Nell’immagine: blocco stradale di contadini in Francia