“Il 2024 sarà un anno chiave per le pensioni!”
Intervista a Pietro Boschetti, studioso esperto delle questioni pensionistiche in Svizzera
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Intervista a Pietro Boschetti, studioso esperto delle questioni pensionistiche in Svizzera
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Boas Erez: Un recente articolo della NZZ ha richiamato l’attenzione sulle questioni in gioco nelle votazioni sull’AVS e sulla LPP, suggerendo che queste potrebbero rappresentare un punto di svolta per la nostra politica sociale. È d’accordo con questa opinione?
Pietro Boschetti: Anche se per motivi diversi, credo che effettivamente il 2024 sarà un anno chiave per le pensioni! D’altronde, dedico le ultime pagine del mio libro a questo tema politico. Vede, il sistema previdenziale svizzero non è radicalmente diverso da quello di altri Paesi, ma lascia uno spazio molto ampio alle assicurazioni sulla vita private. In particolare, la previdenza professionale, che costituisce il “secondo pilastro” del nostro sistema, dipende in larga misura dall’andamento dei mercati finanziari. Tuttavia, a differenza di altri Paesi, in Svizzera il secondo pilastro è quello che dovrebbe fornire la quota maggiore di pensioni, ma è allo stesso tempo il pilastro più debole, con un deficit medio annuo di quasi 6 miliardi di franchi dal 2014. L’AVS è ben più solida: ha registrato solo una quindicina di deficit nei suoi 75 anni di esistenza. Le previsioni catastrofiche sull’AVS sono del tutto infondate. Inoltre, l’importanza attribuita al secondo pilastro fa sì che il nostro sistema non sia affatto universalistico, nel senso che garantisce la pensione solo a chi lavora, senza eliminare le discriminazioni salariali, il che lo rende molto sfavorevole alle donne. Già solo per queste ragioni, non dovremmo esitare a rafforzare l’AVS e a ridurre il ruolo del secondo pilastro nel nostro sistema pensionistico.
Quindi è favorevole all’iniziativa dell’Unione Sindacale Svizzera che chiede il pagamento di una tredicesima pensione AVS (AVS13)?
Sì. Come spiego nel primo capitolo del mio libro, l’AVS è stata introdotta in Svizzera solo nel 1948 e ha così permesso a molti anziani di uscire dall’indigenza. Ricordiamo che l’assicurazione vecchiaia è stata una delle richieste dello sciopero generale del 1918, l’unico del genere nel nostro Paese. Il popolo ha poi accettato il principio iscrivendolo nella Costituzione nel 1925, ma ci sono voluti circa vent’anni perché diventasse realtà. Ancora oggi, sebbene insufficienti, le pensioni AVS sono l’unica fonte di reddito affidabile per gran parte della popolazione anziana. L’aumento di queste pensioni è quindi il modo più sicuro per combattere la precarietà di questa fascia di popolazione.
Come è nato il secondo pilastro?
È una storia lunga. Si può riassumere come segue. Il secondo pilastro è stato creato per contrastare un’iniziativa del Partito del lavoro, che chiedeva un rafforzamento dell’AVS. A differenza dell’AVS, nel secondo pilastro lo Stato non svolge alcun ruolo, se non quello di regolamentazione e vigilanza. Ma non spende un solo centesimo per esso. Sono i fondi pensione, che non sono enti pubblici, a gestire i fondi pensione professionali, pagati dai datori di lavoro, dai lavoratori e dalle lavoratrici. Attualmente esistono circa 1.300 fondi pensione, ma otto compagnie di assicurazione sulla vita gestiscono da sole 200 dei 1.200 miliardi di riserve destinate al pagamento delle pensioni. Dalla fine degli anni ’50, questi assicuratori hanno lavorato per creare il secondo pilastro. Hanno intravisto l’opportunità di creare un nuovo mercato e, attraverso un’azione di lobby a tutti i livelli, sono riusciti a realizzarlo. Di fatto, il secondo pilastro rappresenta oggi il 65% del loro fatturato. Detto questo, sebbene gli assicuratori abbiano esercitato una grande influenza, alla fine è stato il popolo che, nel dicembre 1972, ha inserito il sistema dei tre pilastri nella Costituzione.
Quindi tutto è avvenuto in modo trasparente e il popolo non ha che da rimproverare se stesso se il nostro sistema pensionistico è messo male?
Non è così semplice. Il voto del 1972 avvenne in un contesto molto specifico. Soprattutto, ha fatto seguito a diversi decenni di lobbying ai massimi livelli da parte delle compagnie di assicurazione, che hanno avuto il tempo e le risorse (all’epoca fu speso l’equivalente di tre milioni di franchi svizzeri al valore attuale) per preparare la campagna elettorale. Inoltre, il Partito socialista e i sindacati hanno scelto di votare a favore della soluzione degli assicuratori e quindi contro la proposta di rafforzare l’AVS contenuta nell’iniziativa del Partito del lavoro (comunista). I socialisti e i sindacati pensavano di poter consolidare le loro posizioni sostenendo i fondi pensione aziendali, ai quali partecipavano come partner sociali. Il Partito del lavoro si trovò quindi da solo a difendere la propria iniziativa. Poi, una volta che il sistema dei tre pilastri è stato inserito nella Costituzione, gli assicuratori hanno continuato la loro battaglia per ottenere una legge (la LPP) che rispondesse ai loro interessi. Così per esempio, il sistema di controllo sulle attività di previdenza professionale degli assicuratori si è rivelato del tutto inadeguato.
Cosa intende dire?
L’organo di vigilanza dell’Amministrazione federale ha mostrato i suoi limiti all’inizio degli anni 2000, quando alcuni parlamentari si sono resi conto che circa 20 miliardi di franchi del secondo pilastro gestiti dagli assicuratori erano semplicemente spariti dal radar. Questo denaro avrebbe dovuto andare a beneficio degli assicurati. Questo “scandalo dei 20 miliardi” ha portato a un rafforzamento della vigilanza, ma – in modo un po’ perverso – ha anche permesso di sancire con un’ordinanza del Consiglio federale che fosse legittimo che gli assicuratori-vita tengano per sé il 10% del fatturato. Grazie a questo sistema, gli assicuratori si sono spartiti un profitto cumulato di 9,51 miliardi di franchi svizzeri tra il 2005 e il 2021.
Quindi è lo Stato a garantire i profitti di queste compagnie private?
Sì, in totale contraddizione con i principi fondamentali dell’economia liberale, e a spese degli assicurati. E tutto questo in un mercato che può essere considerato vincolato e che è stato costruito dagli assicuratori fin dall’inizio del secolo scorso, con un ampio sostegno da parte della Confederazione. E perché tutto questo? Per realizzare un secondo pilastro che è singolarmente inefficiente per le assicurazioni sociali. Infatti, 100 franchi di contributi AVS danno una rendita di 99 franchi, contro i 76 del secondo pilastro… La capitalizzazione non è un buon affare per gli assicurati!
Cosa bisogna fare, dunque, per migliorare il sistema attuale?
A parte l’introduzione di un secondo pilastro obbligatorio, nessuna delle promesse fatte nel referendum del dicembre 1972 è stata mantenuta. Dovremmo puntare a una revisione completa del sistema previdenziale, con un sostanziale rafforzamento dell’AVS, in particolare per quanto riguarda i livelli pensionistici, e dovremmo cercare di “sgonfiare” il secondo pilastro, che ha troppo peso, o almeno congelarlo al livello attuale. Il tutto salvaguardando i diritti acquisiti degli assicurati. In altre parole, più facile a dirsi che a farsi. Ma per me questa dovrebbe essere la strada da seguire per una riforma a lungo termine.
Detto questo, ci sono delle scadenze immediate: se l’AVS13 venisse respinta e la LPP21 accettata, sarebbe molto difficile rimettere in discussione il sistema attuale. In attesa di una discussione approfondita della questione, nel 2024 abbiamo almeno l’opportunità di affermare alle urne che vogliamo rafforzare l’AVS, e rifiutare qualsiasi riforma della LPP che peggiori le cose per gli assicurati.
Sull’argomento si veda Pietro Boschetti, “L’Affaire du siècle, le 2e pilier et les assureurs” (Éditions Livreo-Alphil). Nel 2022, con Claudio Tonetti, Boschetti aveva già prodotto il documentario “Le Protokoll” (disponibile su Vimeo), che costituisce un utile complemento al libro
Articolo pubblicato in francese dal sito “Bon pour la tête” e proposto qui in traduzione italiana con la supervisione dell’autore.
Nell’immagine: manifestazione sindacale contro la riforma AVS21, entrata in vigore il primo gennaio di quest’anno
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