“Seguo con preoccupazione quanto accade in Nicaragua dove vescovi e sacerdoti sono stati privati della libertà; trasmetto loro, alle famiglie e a tutta la chiesa di quel paese la mia vicinanza nella preghiera”. Così si è espresso papa Francesco nel primo Angelus del 2024 riferendosi alla persecuzione religiosa in corso in Nicaragua che ha registrato un’impennata con la detenzione di ben 15 sacerdoti. Di cui l’ultimo, don Julio Icabalzeta della chiesa di Santa Maria de Los Angeles nel
Barrio Riguero di Managua, all’indomani dello stesso appello del pontefice.
Tutto è cominciato alla vigilia di questo “Natale nero” con il sequestro del vescovo di Siuna (Costa Atlantica) mons. Isidoro Mora il quale si era permesso in un’omelia di pregare per il suo omologo di Matagalpa Rolando Alvarez, in carcere dal febbraio scorso con una condanna a 26 anni per “cospirazione e tradimento della patria”. Alvarez, mentre era già ai domiciliari, si era rifiutato di abbandonare il paese con i 222 detenuti politici che vennero allora deportati negli Stati Uniti e privati della nazionalità nicaraguense.
Oltre ai due prelati e ai 14 preti sono stati imprigionati pure 5 fra diaconi e seminaristi. Senza contare i 12 presbiteri che nell’ottobre scorso erano stati spediti a forza a Roma. E la settantina fuggiti dal paese o cui è stato proibito di far ritorno nel loro paese dopo un viaggio all’estero. Mentre 6 operatori della Caritas sono stati condannati la scorsa settimana a sei anni di reclusione per presunto riciclaggio.
Se si rimonta all’indomani della rivolta popolare del 2018 repressa nel sangue dal regime, risulta che in questi cinque anni sono stati espulsi un totale di 270 religiosi, a cominciare dalle monache della congregazione di Madre Teresa di Calcutta. Così come sono state chiuse tutte le radio e il canale tv cattolico. Fino a proibire qualsiasi funzione religiosa all’aperto come processioni, messe per i morti nei cimiteri e presepi viventi. Per arrivare nell’agosto scorso alla clamorosa confisca dell’Università Centroamericana dei gesuiti e la messa fuori legge della stessa Compagnia di Gesù.
È finito in galera pure il vicario generale della diocesi della capitale, mons. Carlos Aviles. Mancherebbe a questo punto solo il cardinale Leopoldo Brenes, il quale ha comunque reagito con l’ordinazione ieri in cattedrale di 9 nuovi sacerdoti. Nonostante la sua abitazione sia permanentemente sorvegliata dalla polizia da almeno un anno.
Il colmo è stata la contemporanea diffusione da parte del regime delle immagini di mons. Alvarez mentre veniva sottoposto, vistosamente dimagrito, a visita medica. Come a mostrare che è ancora vivo.
La regista di questo imperversante delirio è la copresidente Rosario Murillo, moglie di Ortega e sorta di virtuale papessa del Nicaragua da lei coniato “cristiano, socialista e solidale”. La quale l’altro giorno nel suo quotidiano messaggio radiofonico del mezzogiorno ha definito quei sacerdoti dei “diavoli che seminano l’odio nella società nicaraguense“. Salvo poi chiudere come sempre la sua locuzione inneggiando a “nostro signore iddio todo poderoso”.
È intervenuto pure l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani stigmatizzando il comportamento del governo del Nicaragua che “si allontana dallo stato di diritto violando le libertà fondamentali come quella religiosa”. Nel corso di una deriva che ha visto l’incarceramento di ulteriori 130 detenuti politici. Mentre si calcola che dal 2018 circa 600mila nicaraguensi (il 10% dell’intera popolazione) abbiano abbandonato il paese.
Nel suo intervento del primo gennaio in piazza San Pietro papa Francesco ha in ogni caso auspicato l’apertura di “un dialogo per superare le difficoltà”. Ma dal maggio scorso Ortega e consorte hanno sospeso le relazioni diplomatiche con la Santa Sede, dopo che l’anno prima ne avevano cacciato il nunzio apostolico. A nulla era servita neppure la mediazione nel giugno scorso di Lula da Silva presso il suo omologo nicaraguense Ortega, subito dopo che il capo di stato brasiliano era stato ricevuto in udienza dal Santo Padre. Al quale, in una recente intervista all’agenzia d’infomazione argentina Infobae, non è rimasto che riferirsi a una “dittatura volgare, con qualche squilibrio da parte di chi la dirige”.
Nell’immagine: l’ordinazione di nove sacerdoti a Managua il 6 gennaio scorso