Il clima che verrà e la politica mondiale nel 2024
Lotta contro la crisi climatica nel 2024: il voto negli Usa e in Europa, le innovazioni ideate dalle comunità locali
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Lotta contro la crisi climatica nel 2024: il voto negli Usa e in Europa, le innovazioni ideate dalle comunità locali
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Lotta contro la crisi climatica nel 2024: il voto negli Usa e in Europa, le innovazioni ideate dalle comunità locali
Il 2023 sarà ricordato come l’anno più caldo di sempre, l’anno degli eventi meteorologici estremi, delle ondate di calore, della siccità, degli incendi devastanti, delle alluvioni, l’anno della criminalizzazione degli attivisti climatici e di una delle Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima più controverse di sempre che ha portato all’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili, senza tuttavia mettere nero su bianco la loro eliminazione graduale.
All’inizio del 2023, l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ha parlato per la prima volta di superamento del picco del consumo di petrolio, gas e carbone prima del 2030. “Non è una questione di ‘se’, ma di ‘quanto presto’ – e prima avviene, meglio è per tutti noi”, ha dichiarato Fatih Birol, direttore esecutivo della IEA. Secondo uno scenario proposto dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, basato sulle politiche dichiarate dai governi dei diversi Stati nel mondo, le emissioni da combustibili fossili potrebbero raggiungere il picco già tra il 2023 e il 2024 prima di iniziare un lento declino. La IEA ha precisato che questi scenari non possono essere considerate una previsione. Tuttavia, basandosi su “un esame dettagliato dell’attuale panorama politico”, è uno dei barometri più affidabili di ciò che potrebbe riservare il futuro, alla luce di ciò che i governi stanno facendo piuttosto che su ciò che dicono di voler fare.
E il 2024 sarà un anno che potrebbe essere cruciale per la direzione del percorso intrapreso. Quest’anno ci saranno elezioni importantissime che ci diranno quanto veloce sarà la transizione ecologica e quanto reali sono le prospettive di tenere l’aumento delle temperature globali entro gli 1,5°C, come sottoscritto nell’Accordo di Parigi nel 2015. L’aumento della temperatura è causato dalla combustione di combustibili fossili come carbone, gas e petrolio. Attualmente, il riscaldamento medio è di circa 1,2°C e la maggior parte dei modelli prevede un aumento di almeno 2,5 o quasi 3°C entro il 2100.
Si voterà negli Stati Uniti, si voterà in Russia, si voterà in India, in Indonesia, in Messico, si voterà il nuovo parlamento europeo. Tutti luoghi, per motivi diversi, nevralgici quando si parla di cambiamento climatico. Gli Stati Uniti (insieme alla Cina) sono i principali emettitori di CO2 nel mondo, l’India sta portando avanti un importante percorso di transizione dal carbone ad altre fonti energetiche, l’Indonesia è stata messa sotto pressione da alluvioni e inondazioni e i suoi ghiacciai tropicali sono sul punto di sparire, l’Unione Europea si è data l’obiettivo di ridurre del 55% entro il 2030 le sue emissioni rispetto ai livelli del 1990 ma il traguardo è molto lontano, abbiamo visto infine cosa ha significato dal punto di vista energetico per tutta l’Europa l’invasione russa in Ucraina.
Il voto ci dirà che tipo di transizione sarà e soprattutto quanto veloce, considerato che, in particolare, negli Stati Uniti e in Europa stanno guadagnando consensi candidati e forze politiche molto vicine alle aziende dei combustibili fossili che stanno cercando di far rientrare il gas e il petrolio attraverso tecnologie discusse (come la cattura e lo stoccaggio del carbonio) e potenti azioni di lobby. Tra questi, c’è anche l’Italia che, col governo Meloni, ha intensificato i suoi accordi per diventare un hub del gas.
Negli Stati Uniti, una eventuale vittoria dei repubblicani (e di Donald Trump), potrebbe mettere a rischio la più grande legge sul clima mai approvata, l’Inflation Reduction Act (IRA), che sta iniettando miliardi di dollari nell’economia statunitense e sta catalizzando massicci investimenti in tecnologie verdi come l’eolico e il solare. Quando è stata approvata dall’amministrazione Biden nel 2022, non un solo repubblicano al Congresso ha votato a favore.
L’altra questione fondamentale del 2024 (e degli anni a venire) è quella della finanza e della sostenibilità climatica. Uno dei temi rimasti irrisolti nell’ultima COP di Dubai è quello del trasferimento delle tecnologie ai paesi in via di sviluppo, impegnati in una difficile transizione dal carbone e allo stesso tempo più esposti agli effetti della crisi climatica.
Il grosso rischio è ritrovarsi di fronte a uno scenario che abbiamo già visto per i vaccini contro il Covid. I paesi ricchi hanno accelerato sulla produzione e sviluppo di vaccini, in una corsa agli accordi con le case farmaceutiche e i laboratori di ricerca, quando invece la strada da perseguire era un’altra: il trasferimento e la condivisione di tecnologie e saperi perché ci trovavamo di fronte a un’emergenza globale dalla quale saremmo usciti solo tutti insieme. Anche per quanto riguarda la transizione ecologiche la strada maestra dovrebbe essere la dichiarazione di Rio del 1992, secondo la quale la tecnologia verde deve essere “di dominio pubblico” e resa accessibile ai paesi in via di sviluppo “a prezzi accessibili”.
Contemporaneamente, si stanno moltiplicando gli appelli per riformare il modo in cui i finanziatori internazionali (come la Banca Mondiale) lavorano con i paesi in via di sviluppo, stritolati in una spirale del debito, nel loro tentativo di ricostruire dopo i danni devastanti di eventi meteorologici estremi. La questione è sempre quella: se non si interviene sulla spirale del debito, se non si rivede il meccanismo di finanziamento, c’è il rischio di una sempre maggiore divaricazione tra ricchi e poveri. I finanziamenti per il clima saranno uno dei temi principali della COP29, che si terrà in Azerbaigian a fine anno. […]
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