Il Movimento islamico palestinese non è l’Isis
Lo dicono gli esperti israeliani interpellati in questi giorni da Haaretz
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Lo dicono gli esperti israeliani interpellati in questi giorni da Haaretz
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Lo dicono gli esperti israeliani interpellati in questi giorni da Haaretz
Il presidente francese Macron ha proposto ieri in Israele che l’attuale coalizione internazionale che combatte lo Stato Islamico in Iraq e Siria possa essere estesa per includere anche la lotta contro Hamas a Gaza. Per altro, forse è il caso di dirlo, Israele non ha mai fatto parte di questa coalizione anti-Califfato. L’attacco di Hamas in territorio israeliano del 7 Ottobre si è caratterizzato per la brutalità e la ferocia contro la popolazione civile. Hamas ha quindi scelto il passaggio al terrorismo più violento come forma di lotta principale. Ma Hamas non è l’Isis.
Lo dicono i fatti e gli stessi israeliani. Come notano gli studiosi recentemente interpellati da Haaretz (19 ottobre), non è mai stata una «organizzazione terrorista» in senso stretto. La sua radicalità politica era nota ma Hamas era al governo, alla luce del sole, di un territorio dove aveva vinto (più o meno correttamente) le elezioni palestinesi nel 2006 e nel 2007. Non diversamente da Hezbollah in Libano, rappresentato nel governo centrale e a capo di centinaia di municipalità del sud, dopo varie tornate elettorali. Lo stesso premier israeliano Netanyahu ha a lungo sostenuto che Hamas andava rafforzato a scapito dell’Autorità Nazionale palestinese (Anp). In un discorso pubblico del 2019 sosteneva: «È parte della nostra strategia separare i palestinesi di Gaza da quelli di Giudea e Samaria (Cisgiordania, n.d.r.)». Lo stesso Netanyahu nel 2021 ha negoziato più o meno direttamente con Hamas sui 19mila permessi di lavoro da concedere ai palestinesi, sulle forniture di gas e l’afflusso di fondi dal Qatar, Paese che ospita la dirigenza del movimento ma di cui nessuno qui rifiuta il gas o gli investimenti nell’immobiliare o nel calcio.
Quella di Hamas, che pure non riconosce il diritto all’esistenza di uno stato ebraico, è una lettura integralista dell’Islam sunnita ma lontana dal fondamentalismo religioso, fanatico e settario di Al Qaeda o dell’Isis (e anche del wahabismo radicale dell’Arabia Saudita). Una lettura ispirata all’”Islam politico” dei Fratelli Musulmani di cui Hamas è una costola.
E non dimentichiamo che i Fratelli Musulmani nel 2011 erano alleati dell’Occidente e degli Usa durante la primavere arabe, al punto che nel luglio di quell’anno l’ambasciatore Usa e quello francese in Siria andarono a passeggiare in mezzo i ribelli anti-Assad della località di Hama. Quello di Hamas era lo stesso Islam politico che vinse le elezioni al Cairo dopo la cacciata di Mubarak nel 2011 e venne poi spazzato via dal colpo di stato di Al Sisi. Quello al governo, per anni, con Ennhada nella Tunisia di Ghannouchi, «unica nazione in transizione democratica» – così si ripeteva da noi in Occidente – dopo le primavere arabe. È quell’Islam politico che ispira anche il «neo ottomano» Erdogan, membro della Nato. Alleato con quello al governo nella Libia di Tripoli, riconosciuto dall’Onu e sostenuto dall’Italia.
Hamas non è un movimento messianico come l’Isis ma è pragmatico come dimostra la sua alleanza con Hezbollah, la creatura di Teheran, che è sciita. L’Isis, al contrario, aveva invece scelto gli sciiti come bersaglio principale dei suoi massacri. Non è quindi la religione la chiave interpretativa per capire le ragioni dei comportamenti criminali di Hamas. Infine, la definizione di organizzazione terrorista da parte di Israele, degli Usa e di molti altri governi (non certo unanime nello scenario internazionale), non ha mai impedito, sempre fin qui, comportamenti sostanziali che hanno fatto di Hamas un interlocutore politico, controverso, difficile, a volte scarsamente affidabile, ma non per questo escluso (se non ufficialmente…) dalla linea del confronto anche con settori della sicurezza di Israele.
Non esiste una definizione unica, a livello internazionale formalmente condivisa, di terrorismo. Possiamo però individuare un minimo comune denominatore in questa frase: «un’ azione violenta contro la popolazione civile finalizzata a terrorizzarla, al fine di spingerla a condizionare le scelte della sua leadership». Nella storia di molti Stati, tra cui alcuni campioni di democrazia, questo «terrorismo» non è mancato. Per rimanere nella contemporaneità: dai bombardamenti mirati contro i civili nella seconda guerra mondiale, fino alle lotte di liberazione anti-coloniale (l’Algeria su tutte) o per la nascita di molte nazioni (tra cui lo stesso Israele).
Hamas aveva certo organizzato, in passato, azioni terroriste con i commando suicidi ma la sua «politica» non si era mai limitata a esse e soprattutto, non è mai stata un’organizzazione clandestina. L’uso odierno del termine «organizzazione terrorista», del resto, punta a togliere legittimità di esistenza ai «nemici». Per capire l’uso strumentale del termine «terrorismo», è utile ricordare che le organizzazioni combattenti curde del Nord della Siria che hanno contribuito in modo decisivo a sconfiggere sul campo l’Isis, insieme a Hezbollah, Iran e Russia – per altro con il supporto dei raid Usa – sono oggi considerate dalla Turchia, dalla Nato, dallo stesso dipartimento di Stato americano, «terroristi» come lo è l’Isis.
Certo la scelta di Hamas di ricorrere alla violenza estrema, oggi non sembra prevedere alcun «ritorno».
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