Il facile jackpot di Putin alle elezioni amministrative
Per l'opposizione in esilio il regime ha imposto un sistema proto-fascista in cui non esistono più spazi di democrazia
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Per l'opposizione in esilio il regime ha imposto un sistema proto-fascista in cui non esistono più spazi di democrazia
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Per l'opposizione in esilio il regime ha imposto un sistema proto-fascista in cui non esistono più spazi di democrazia
Dal nostro corrispondente da Mosca
Ogni spettacolo che si rispetti ha bisogno di una prova generale dove il direttore d’orchestra possa dare gli ultimi ritocchi all’interpretazione, i tecnici possano perfezionare i dettagli di ciò che si muove dietro le quinte e il pubblico possa mostrare il livello di gradimento di ciò che va in scena.
Le elezioni amministrative tenutesi in Russia tra l’8 e il 10 settembre (con la possibilità di votare per tre giorni sia elettronicamente che nelle urne) sono state, di fatto, la prova generale del voto presidenziale del prossimo marzo, quando i russi saranno chiamati al plebiscito che eleggerà Vladimir Putin alla presidenza della Federazione Russa per la quinta volta.
In 19 delle 21 realtà amministrative dove si rieleggevano i governatori hanno vinto con larghe maggioranze assolute i candidati di “Russia Unita” (il partito di Putin). Le eccezioni sono state due: Valentin Konovalov in Khakassia e Andrej Kljchkov nella regione di Orel (entrambi comunisti e sostenitori della guerra in Ucraina) che sono riusciti a prevalere, ma solo perché si sono ritirati all’ultimo minuto, per malattia, i due candidati putiniani.
A Mosca il Sindaco in carica Sergej Sobjanin, un tecnocrate che ha saputo gestire con intelligenza le grandi risorse della capitale, ha ottenuto il 76,84% dei voti staccando nettamente il candidato dei comunisti Leonid Zyuganov (nipote del Segretario generale del partito Gennady Zjuganov). La partecipazione è stata solo del 42,5%, malgrado che la lotteria collegata al voto prevedesse oltre 500 mila premi (da buoni spesa di 10-20 euro fino alla possibilità di ricevere in regalo automobili cinesi nuove di zecca).
I tecnologi del Cremlino da oggi in poi si concentreranno per “progettare” il voto delle presidenziali della prossima primavera: l’obbiettivo è l’80% di partecipazione al voto con oltre l’80% di preferenza per Putin, ovvero un mandato entusiastico a proseguire la guerra in Ucraina fino alla vittoria,
“Se ipotizziamo che il Presidente presenterà ancora la sua candidatura, è ovvio che nessuno può fargli una vera concorrenza nella fase attuale”, ha dichiarato proprio ieri raggiante Dmitrij Peskov, il portavoce di Putin. “Putin gode del sostegno assoluto della popolazione e le elezioni amministrative hanno confermato l’assoluto consolidamento della società intorno alla leadership del Paese” ha sottolineato ancora Peskov.
Le cose non stanno proprio così, in realtà. Il voto a favore del regime è ancorar largamente indotto, ha bisogno di essere stimolato in mille modi e osservando la gente ai seggi non si ha la sensazione di una “partecipazione entusiastica a una festa della democrazia”.
La Commissione Elettorale Centrale già qualche mese fa aveva vietato ai russi che si trovano all’estero di votare. Il capo della Commissione, Ella Pamfilova, aveva definito il divieto “una risposta allo strangolamento dei diritti dei nostri cittadini” all’estero. “Purtroppo non siamo stati noi a metterci su questa strada. I Paesi Occidentali hanno cercato di strangolarci con vari tipi di sanzioni, hanno limitato il più possibile i diritti dei nostri cittadini”, aveva spiegato Pamfilova. Così chi ora è in esilio perché contrario all’aggressione in Ucraina non ha potuto esercitare il suo diritto al voto. Secondo un’inchiesta di The Economist tra 817.000 e 922.000 persone hanno lasciato la Russia dall’inizio della guerra in Ucraina. Il maggior numero di russi è partito per il Kazakistan e la Serbia (300 mila persone), 100.000 si sono trasferiti in Armenia, almeno 90.000 in Turchia, più di 70.000 in Israele e quasi 60.000 nei Paesi della UE. E questi numeri sono in costante aumento. Si tratta della più grande diaspora russa dell’ultimo secolo, ancora più importante di quella dei russi “bianchi” che lasciarono la loro terra all’indomani della Rivoluzione d’ottobre.
Qualche settimana prima del voto il leader dell’opposizione Aleksej Navalny, dal carcere in cui è rinchiuso dal 2020, aveva proposto ai suoi sostenitori – in un lungo documento – un appello a votare comunque in questa tornata elettorale. Secondo Navalny un voto a un qualsiasi candidato non di “Russia Unita” sarebbe stato un segnale di resistenza in una situazione in cui l’opposizione russa è demoralizzata e sparpagliata.
Si trattava, insomma, di riproporre la tattica del “voto utile” che aveva portato dei vantaggi ai bolscevichi nella loro lotta contro l’autocrazia zarista tra il 1908 e il 1912. Tuttavia molti dei suoi critici come Ilya Budraitskis, intellettuale moscovita socialista oggi in esilio negli Usa, pensano che “Navalny ha perso il contatto – stando in galera – con la realtà russa. Il regime ha imposto ormai un sistema proto-fascista in cui non esistono più residui spazi di democrazia”.
Sempre di più chi è contrario al regime si aggrappa alla speranza di una sconfitta militare dell’esercito russo che, come nella guerra russo-giapponese del 1904 e nei fronti della prima guerra mondiale, apra la strada a un rivolgimento interno.
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