La libertà a 10.000 metri d’altitudine
Il racconto della straziante esperienza dell’esilio dopo la fuga da Santiago del Cile, 50 anni fa - Di Miguel Angel Cienfuegos
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Un compagno in esilio in Ticino, che ricordo spesso, è “el Rucio Millán”. “Rucio” è un vocabolo molto noto, in Cile; è usato al posto di “rubio”, cioè biondo. Millán, invece, è il suo cognome.
El Rucio Millán, che più che biondo in realtà ai tempi era rosso di capelli, lo incontrai per la prima volta poche settimane dopo il colpo di Stato del ’73, nella sala d’attesa degli uffici del “Comité Pro Paz”, il Comitato Pro Pace a Santiago, la prima organizzazione nata in Cile per aiutare le vittime della dittatura. Vi si rivolgevano i famigliari dei detenuti, dei prigionieri scomparsi, nonché tutti coloro che volevano abbandonare il Paese perché in forte pericolo di essere arrestati. ”Rucio” ed io eravamo fra loro.
Mentre attendevamo nella sala d’attesa del Comitato, prima di essere chiamati da una delle suore che vi lavoravano, scambiai con “el Rucio Millán” solo pochi e furtivi sguardi, da lontano. Non ci parlammo. Era un modo per evitare complicazioni: meno sapevi sul conto delle persone che incontravi, meno informazioni avresti potuto o dovuto dare agli aguzzini nel caso in cui venissi arrestato. Fu “el Rucio” ad entrare per primo nell’ufficio della suora. Dopo un po’ uscì, e nuovamente i nostri sguardi, fugacemente, si incrociarono.
Venne dunque il mio turno per il colloquio. Mi fu comunicato che avrei potuto trovare, insieme a mia moglie e a mio figlio, rifugio in Svizzera. Grande e meravigliosa fu la sorpresa. Non sapevamo ancora nulla sull’azione che stava già portando avanti il Comitato Posti Liberi del Pastore Guido Rivoir in Svizzera, e in particolare in Ticino. Neppure, per ovvie ragioni di sicurezza, indagammo sul perché la destinazione fosse la Svizzera, o su chi organizzava questa operazione. Sapevamo solo quali erano i passi che dovevamo fare da lì in avanti. […]
Finalmente ci imbarcammo e tra i passeggeri che si incamminavano verso l’aereo intravvidi “el Rucio”. Ogni tanto qualcuno di noi si voltava per salutare chi, affacciato alla terrazza dell’edificio dell’aeroporto, lo aveva accompagnato. Alcuni saluti erano di gioia, forse, di lì a poco, quelle persone sarebbero tornate in Cile dopo un viaggio turistico. Per noi, che fuggivamo, erano invece commiati di tristezza. Osservandoli, capii che erano in molti nella stessa condizione mia e di “el Rucio”. Erano gesti disperati, quelli che indirizzavamo con le mani verso la terrazza, senza neppure distinguere bene chi faceva altrettanto nella nostra direzione. L’importante era salutare, urlando “ci rivedremo presto!”. Ma non sarebbe successo, perché il nostro ritorno al Paese, transitorio o definitivo, poté avvenire solo 17 anni dopo: tanto durò la dittatura.
All’interno del velivolo, alcune file dietro la mia, vidi “el Rucio” prendere posto. Anche allora ci scambiammo soltanto uno sguardo. Poi ci fu il decollo e fu bello guardare Santiago dall’alto: era la prima volta che avevo quel privilegio. L’aereo dapprima puntò verso nord, poi virò a est, verso la “Cordillera de los Andes”, la Cordigliera delle Ande. Era segno che presto avremmo lasciato lo spazio aereo cileno.
Poi, ad un tratto, ci fu un annuncio del comandante. Disse che guardando a sinistra avremmo già potuto vedere l’Aconcagua, la montagna argentina che è anche la più alta del Sudamerica. Pochi minuti dopo arrivò un secondo annuncio:”Abbiamo lasciato il territorio cileno e voliamo ora su quello argentino”.
Fu allora che sentii una mano posarsi sulla mia spalla. Guardai: era “el Rucio”. “Siamo liberi”, mi disse, e finalmente mi tese la mano per salutarmi. Mi alzai, gli strinsi la mano e pensai:”Sì, liberi, ma in alto nel cielo; quanto mi piacerebbe essere libro con i piedi per terra, nella mia patria, insieme alla mia famiglia, alla mia gente”. Poi, ripensandoci, giunsi alla conclusione che, anche se a 10.000 metri d’altitudine, quella era pur sempre libertà. Così, “el Rucio” ed io ci stringemmo in un lungo, commosso e indimenticabile abbraccio.
Nell’immagine: il Cerro Aconcagua visto dall’aereo
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