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Katia Accossato
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Nel progetto del 1907 per il piano regolatore della “Nuova Lugano” Augusto Guidini sembra anticipare alcuni temi che sono diventati centrali nella discussione del nuovo piano direttore comunale di cui si è appena concluso il concorso pubblico. Città armoniosamente inserita nel suo paesaggio con la definizione di nuovi quartieri come Paradiso, Genzana, Campo Marzio e con una definizione dell’asse del Cassarate e del Lido immersi nel verde. Nelle sue planimetrie Guidini ipotizza anche delle demolizioni, per costruire nuovi assi viari e diverse scalinate che consentissero di raggiungere la via della Stazione (attuale via Maraini).

Quella di Guidini, rimasta purtroppo solo sulla carta, fu una visione chiara al pari di quella del progetto vincitore dei tre mandati di studi paralleli che in questi giorni ha iniziato l’iter di confronto con i cittadini e le associazioni di quartiere per definire le nuove “costellazioni”, i diversi quartieri della città. Alla fine di ottobre 2022 si concluderanno i processi partecipativi per poter completare il PDcom “Lugano 2050” entro il 2023.

Anche in quest’ottica, dunque, la presentazione del film – documentario “Augusto Guidini – il castello della memoria” del regista Olmo Cerri costituisce l’occasione per riflettere su un tema generale di vasta portata attraverso il percorso di una figura emblematica della cultura ticinese.
Un film, va detto, di indubbia qualità e importanza, presentato in anteprima ieri all’Accademia di Mendrisio e in programma domani sera su RSI La2, fondato anche sulla documentazione offerta dal volume “Augusto Guidini di Barbengo, architetto, giornalista, politico”, curato da Angela Wildholz e pubblicato da Mendrisio Academy Press- Edizioni Casagrande Bellinzona nel 2016.
Sono diversi i motivi per cui è estremamente attuale la figura eclettica di Augusto Guidini, nato nel 1853 nel Comune di Barbengo – oggi quartiere di Lugano- e morto il giorno di Natale a Milano nel 1928.

Dotato di cittadina svizzera e italiana – quest’ultima acquisita durante l’attività professionale – ha lavorato principalmente nella terra dei laghi, senza trascurare alcune importanti esperienze nelle grandi città italiane come Roma, Firenze e Milano. Di notevole importanza i soggiorni professionali in Uruguay, tra il 1909 e il 1914.

Figura poliedrica, quella di Guidini: oltre che architetto è stato agrimensore, urbanista e disegnatore. Attivo in politica, ha proposto originali disegni per il territorio e ha individuato metodologie del tutto nuove nel campo del restauro. Ostinato e inesauribile visionario ha studiato a fondo i suoi campi di interesse e condiviso numerosi progetti, che potremo definire quasi utopici, con figure attive sul confine italiano. L’archivio del Moderno e la Biblioteca dell’Accademia di Mendrisio conservano importanti testimonianze sui suoi legami con imprenditori e architetti attivi a Varese, ad esempio.

Il film di Olmo Cerri, con le testimonianze raccolte, ci restituisce pienamente l’atmosfera intima delle sue architetture e il loro apparato decorativo talvolta esuberante. La presenza di elementi del linguaggio classico e la scelta di materiali tradizionali davano ai suoi edifici una “prospettiva storica”. In essi Guidini crea un’atmosfera del tutto particolare, con una sorta di densità visiva in cui la luce viene assorbita dalle pareti e l’uso della pietra locale esalta l’armonia con il contesto naturale.

Progetto per un Hotel a Brissago (1882) Lo stesso progetto è stato riproposto per il  Sacro Monte di Varese

La maggior parte dei suoi progetti è rimasta solo sulla carta, mentre altri, non accolti in un primo tempo, sono stati poi da lui riproposti in contesti diversi, conservando l’idea iniziale. Ritroviamo ad esempio un progetto per il centro di Montevideo che riprende il disegno della Galleria Vittorio Emanuele di Milano, al quale aveva parzialmente collaborato con l’architetto Giuseppe Mengoni. Sul confine italo-svizzero propone nel 1882 un Grand Hotel affacciato sul lago Maggiore a Brissago; lo stesso progetto viene poi riproposto a poco più di una ventina di km in linea d’aria verso sud-ovest per il Sacro Monte di Varese nel 1898. Stessa regione geografica ma separata da un confine politico rafforzato dal nuovo Regno d’Italia.

È stato nei grandi cantieri di restauro, in particolare di edifici e complessi architettonici ecclesiastici, che Guidini ha potuto acquisire una sorprendente sensibilità per il tema della conservazione. Un’ esperienza che andò poi a riversare nell’idea di costituire un Ente per la protezione dei beni culturali, supportato da una legge di salvaguardia del patrimonio artistico. In Canton Ticino si mosse per una riforma delle Scuole di Disegno, da lui considerate eccessivamente accademiche, proponendo una innovativa Accademia Federale delle Belle Arti, modellata su riferimenti culturali italiani.

Da numerose sue prese di posizione appare evidente, per Guidini, la necessità di difendere e valorizzare la cultura italiana entro i confini ticinesi e di rendere maggiormente autonoma l’istruzione superiore nel Cantone.

Il castello della memoria

Costruita dopo il 1890, la torretta del Castello della Memoria, l’abitazione privata dell’architetto a Barbengo di cui Olmo Cerri documenta nel film le principali fasi del recente restauro, riassume quasi emblematicamente i tratti salienti del linguaggio di Guidini: una forte base eclettica, che rimescola con disinvoltura elementi classici e richiami all’epoca medioevale.

La parabola progettuale del Guidini si conclude all’alba di una stagione rivoluzionaria e del tutto nuova per l’architettura europea. Un anno prima della morte del Guidini era iniziata la costruzione dell’Hotel Bauhaus di Emil Fahrenkamp al Monte Verità e subito dopo quella del Teatro San Materno di Carl Weydemeyer ad Ascona.

A Barbengo, a due passi dal “castello della memoria”, a distanza di neanche quattro anni dalla morte di Guidini, fu costruita la villa “moderna” Sciaredo (1932). Disegnata e realizzata dall’artista Georgette Klein, si tratta di un esempio perfetto della nuova cultura moderna, paragonabile ad alcune opere di Adolf Loos.

In questo piccolo villaggio ai piedi della Collina d’Oro si affiancano insomma, con un qualificato intervento “conservativo”, due esempi molto significativi, capaci di testimoniare la presenza di realizzazioni di rara qualità riportate a nuova vita dal restauro effettuato dalla nuova proprietà del “castello-dimora” di Guidini, così come da quello effettuato in due tappe da Lukas Meyer e Ira Piattini e poi da Jachen Könz a villa Sciaredo. Due architetture con linguaggi molto diversi che convivono perfettamente e che per certi versi possono anche farci pensare all’apparente contrasto e alla convivenza, a Lugano, ai margini del Parco Ciani, del Liceo Cantonale realizzato da Guidini nel 1904 e la Biblioteca Cantonale costruita di fronte da Rino e Carlo Tami, del 1941, emblema del razionalismo ticinese.

Attraverso la rivisitazione di questi frammenti di storia riusciamo a capire come si muovesse più di un secolo fa la cultura nella zona dei laghi. Per l’architettura non esistevano confini geografici e i confini fra eclettismo e linguaggio moderno erano labili, se pur a volte evidenti. Il territorio era percepito come un unicum e le forme della città erano in evoluzione. La qualità dei luoghi era legata alla capacità di creare un’atmosfera intima in cui vivere piacevolmente in rapporto con il paesaggio, indipendentemente dallo “stile” che veniva utilizzato. Forse è da qui che possiamo ripartire per ricostruire la perduta consapevolezza dell’omogeneità del territorio della attuale Regio Insubrica.

Una vera Casa della cultura italiana in Canton Ticino forse deve ancora nascere.

Nell’immagine principale: il Liceo di Lugano (1904)






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