La costellazione di sinistra
Tra ”sinistra per simmetria”, affidabilità, radicalismo e Machiavelli
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Tra ”sinistra per simmetria”, affidabilità, radicalismo e Machiavelli
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Tra ”sinistra per simmetria”, affidabilità, radicalismo e Machiavelli
Ripesco un articolo di qualche tempo fa di Paolo Favilli (nostro esimio storico e docente, studioso del socialismo, autore di un testo da poco uscito da Franco Angeli e che non bisognerebbe mancare: A proposito de Il capitale; chiamato appunto da “Forum” a rispolverare Marx), articolo con un titolo già di per sè intrigante “Neoliberisti con neoliberisti, socialisti con socialisti”. Il quale, anche se più volto alla situazione italiana, è riconducibile alla nostra. Colpiscono, perché interrogano, tre sue considerazioni. La prima: sia sul piano teorico che su quello politico la “sinistra per simmetria” è componente rilevante della costellazione “neoliberista” (e mi sembra già un bel colpo). La seconda: il termine “socialista” ha un alto grado di indeterminatezza: storicamente, come anche nel momento attuale, è usato con significati spesso contrapposti : ed è la realtà che ci troviamo in casa, basta pensare al fiorire delle varie sigle: ps, mps, pc, forum e mettiamoci, con delicatezza, anche i Verdi per quanto pensano e promuovano una politica ambientalista critica o contraria alle logiche neoliberiste. La terza considerazione: senza ricordare la grande lezione realistica di Machiavelli e di Marx sul ruolo centrale della forza nella politica, senza avvertire l’urgenza di lavorare subito alla costruzione di questa forza…non ci sarà nessuna costellazione “socialista” a frenare la tendenza della fortissima costellazione neoliberista a chiudere la “gabbia d’acciaio” del capitale totale (e sa di aut-aut o di sentenza lapidaria). A me sembra che qui si trovi una giusta anamnesi e si indichi persino l’unica pozione per salvarsi. Oserei aggiungere due osservazioni: l’una sul complesso socialista dell’affidabilità; l’altra sul complesso del radicalismo.
1) La “sinistra per simmetria” è, per Favilli, il far parte di un “ordine internazionale neoliberista, sbocco naturale e razionale della ormai conclusa dialettica tra l’antitesi dei subalterni e la società del capitale”. È insomma la “naturalizzazione neoliberale” avvenuta e generalizzatasi (in un altro articolo Paolo Favilli ne vede un esempio d’attualità nell’atteggiamento assunto dal pd italiano -sinistra- nella crisi ucraina: “se la Nato va in guerra anche la sinistra per simmetria si mette l’elmetto”).
Il successo della nuova destra a partire dagli anni Ottanta non è riscontrabile solamente nella sua capacità di presentare le proprie idee come le sole legittime e di convincere d’avere ormai la storia dalla sua parte (dopo quel che stava capitando ad Est), accusando la sinistra di rimanere invece più che mai impantanata “in vecchie idee e vecchie pratiche”, ma di essere anche riuscita a far credere che lo Stato, persino nella sua dimensione sociale, è una trappola burocratica, fiscale e di spreco di cui era meglio liberarsi. Poiché lo Stato era il problema si è dato posto a una generica “società civile” equiparabile al libero mercato e alla competitività, supremi giudici. La sinistra è stata come irretita da questa virulenza e irruenza della destra con una sorta di paradosso: la destra, infatti, a differenza della sinistra, rimasta mogia, aveva capito che la politica può essere condotta solo ideologicamente (proprio quando si parlava della fine delle ideologie) e che deve essere ancorata ad una “strategia egemonica”. E così ha fatto. Una risposta è venuta dall’Inghilterra laburista, impegolatasi più che mai con la Thatcher e il suo “non c’è alternativa”. È ”stata la Terza via di Tony Blair che, presentandosi come il partito dell’individuo e della comunità, dei salariati e del “business”, “al di là della sinistra e della destra” tenta di ottenere una “politica senza avversario” (come l’ha definita ironicamente Chantal Mouffe nel suo “The radical Centre: a Politics without Adversary”, Soundings, 1998). Così, anziché prefiggersi di regolare l’economia per adattarla alla società, la politica si è impegnata ad adattare la società all’economia (diceva già allora Luciano Gallino).
Le idee-forza circolano, arrivano anche nel Ticino. E si sono trasformate nel termine pratico-pratico di “affidabilità”. Il problema per i socialisti, insomma, è diventato quello di rendersi e mostrarsi affidabili, affidabili per il popolo e per il governo, di far sapere, insomma, che non sono poi così contrari alla trionfante economia di mercato, che è comunque difficile opporvisi, che il progresso (anche se divenuto progressismo) è nel loro dna. Ed è lì che sono riemersi, significativi, anche tra governanti socialisti, i termini quasi cautelativi di socialismo liberale o liberalsocialismo, forse anche con una voglia di staccarsi definitivamente da ogni “lugubre” etichetta marxista. Si è poi finiti fatalmente in una sorta di avvitamento in una discussione sulla “ricostruzione della sinistra” che di per sé significa poco o nulla. Tutt’al più c’era bisogno di una sinistra che ridefinisse su basi nuove i propri antichi ideali, senza averne vergogna.
2) Il radicalismo se inteso come posizione politica, intellettuale, culturale va difeso e promosso dalla democrazia. In tal senso si può anche sostenere che una sinistra radicale non vuol dire estremista, ma anticapitalista. La decisione democratica è tuttavia a maggioranza e in democrazia le forze che non si sommano non solo restano escluse dal governo ma rischiano pure, anche se perseveranti, di essere sistematicamente emarginate o, di fatto, ininfluenti sulle decisioni. Questa situazione oggettiva implicherebbe il compromesso. O, in termini politologici, anche il riformismo, che è a suo modo un adeguarsi al compromesso. Per il radicalismo o il movimento che è radicale nella sua impostazione e analisi globali, nelle proposte e richieste concrete e dimostrate, il compromesso equivale però a cedimento o incoerenza ed è pure inaccettabile che la democrazia si riduca alla scelta del “male minore”. O, potremmo anche dire, del meglio che possono offrire le contingenze, del “meglio contingentemente possibile”. Non è un discorso “morale”, è la democrazia che rinuncia per principio all’assoluto. E la democrazia, che piaccia o no, è questo.
Quindi, per dirla in termini pratici pratici, se dentro una “costellazione socialista” prevale il radicalismo del mai-un-compromesso è pressoché impraticabile la lezione realistica di Machiavelli e di Marx, che Paolo Favilli suggerisce e traduce in “costellazione socialista” atta a frenare l’altra costellazione neoliberista. Se la parte di sinistra procede con i suoi radicalismi in ordine sparso e si sottrae alla somma democratica, il risultato non tornerà mai, con grande beneficio della destra. E allora si corre il rischio di assumere una coerenza che può finire o con l’autodistruzione o con il fanatismo uguale a quello delle religioni.
Ammettiamolo, è un grosso rompicapo di non poco conto, una pentola in continua ebollizione nella sinistra. Anche perché la sinistra si costruisce dapprima su idee e sul bene collettivo, mentre la destra, costruendosi sempre con l’occhio su l’interesse privato e sugli affari (v. Deleuze) ha un fattore amalgamante molto più potente ed efficace.
La democrazia è comunque sempre per tutti un difficile miscuglio di pazienza e intransigenza ed è forse ciò che si deve tener presente, senza mai disperare. Basterebbe poco, con un minimo di senso storico, immaginarsi che cosa sarebbe la nostra democrazia senza l’apporto costante e paziente che è stato della sinistra. Che dovrebbe essere comunque costituzionalmente dialettica e che, come dice ancora Paolo Favilli, “conserva i germi per intraprendere il percorso di ricostruzione dell’antitesi” (e forse, per non essere sinistra per simmetria, dovrebbe dimostrarlo più verso l’esterno che all’interno di sé stessa).
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