Giù la maschera
Tutti liberi, tutti responsabili, tutti pronti a voltar pagina e tornare alla normalità
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Tutti liberi, tutti responsabili, tutti pronti a voltar pagina e tornare alla normalità
Allora ci siamo, è finita l’era della mascherina, guarda un po’, quando si dice l’ironia della sorte, proprio nei giorni di carnevale. E infatti i vari comitati dei diversi carnevali cantonali sono già corsi a ripristinare urgenti maccheronate e risottate, al fiato finalmente liberato delle Guggen.
Liberi tutti, come bambini inebriati dal suono del campanello, a sciamare nei cortili, senza ingombri insopportabili, a godersi il “Freedom Day”, che fino a ieri era la ricorrenza delle prime elezioni libere in Sudafrica, e che oggi diventa la giornata in cui la politica ci annuncia che della variante sudafricana (del virus, naturalmente) non dobbiamo più aver timore.
Lo attestano i grafici, lo decretano nude e crude le cifre, quelle che ci hanno ammorbato per due anni e che adesso, benché non dissimili da quelle di qualche mese fa, ci dicono “chiaramente” che il pericolo è (definitivamente?) passato. Così decreta la politica governativa, nel mare di dubbi espressi una volta di più dal fronte medico.
“Libertà”, nel “Freedom day”, torna ad essere il termine in cui tutti confidiamo e confluiamo, dopo che per due anni ha diviso la società in nome delle sue più diverse interpretazioni, impugnato da favorevoli, scettici e contrari alle campagne vaccinali, per dire che “finisce dove comincia quella dell’altro” oppure che “mi è garantita dalla Costituzione come principio assoluto, in nome del quale del mio corpo faccio quello che voglio IO”.
Dietro le mascherine, in due anni di pandemia, una miriade di “io” a ritenersi diversi dagli altri, unici, singole monadi a confrontarsi, con malcelata preoccupazione, fra dubbi e certezze, con misure sanitarie fondate su riscontri scientifici a geometria variabile, non di rado francamente incomprensibili, diffusi dai media come piovesse, spesso senza filtri, senza verifiche, senza distinzioni, mentre stuoli di epidemiologi e virologi hanno dato di sé e della loro rispettabilissima (dovremmo pur dire provvidenziale) categoria professionale, anche qualche triste esempio di vittima del proprio ego e della macchina tritatutto dell’infotainement mediatico.
In pochi giorni, dalla preoccupazione che si è continuata ad esibire per dire della legittimità delle restrizioni dettate dai preavvisi scientifici, si è passati ad annunciare un possibile, poi divenuto certo, stop a quasi tutte le restrizioni. Così, senza quelle forme di “transizione” che fino a pochi giorni fa venivano prospettate dal Governo Federale, in barba alle lamentazioni costanti e reiterate di diversi settori economici, spalleggiati politicamente in particolare da Liberali e UDC.
Domani si farà proprio come da tempo chiedevano vari settori economici (pensiamo a Gastrosuisse, per dirne uno), come ribadiva l’USAM per voce del suo presidente Fabio Regazzi, come cantavano in coro i democentristi e, da noi, naturalmente, la Lega.
E così è tutto uno scatenarsi di dichiarazioni a caldo di viva soddisfazione (almeno quella) con annessi appelli a ricordarsi dei più fragili (Regazzi dixit, proprio lui), a tener presente che con il virus si dovrà convivere (ma, vien da dire, si dovrà convivere anche senza il virus, e questo, dopo gli ultimi due anni, non pare proprio così ovvio), che il ritorno alla normalità è affidato al senso di responsabilità dei cittadini (perché, quello della politica finisce qui?).
Ecco, sul “senso di responsabilità” si tornerà a battere il chiodo per i prossimi mesi, sempre sperando che nel frattempo il “maledetto virus” non escogiti qualche sua nuova variante, scaricando sui singoli quello che le autorità hanno ritenuto di potersi togliere di torno.
Già, perché se domani si dovesse malauguratamente riproporre una situazione critica, di chi sarà la “responsabilità”? Del Governo Federale? Dei partiti che invocano da una vita che in fondo il Covid è poco più di un’influenza, e magari, pur sedendo in Governo, frequentano gruppi di accesi no-vax con tanto di campanacci e canti jodel? Sarà della classe medica, delle autorità sanitarie, che continuano a definire queste decisioni precipitose e avventate? Certo che no, la “responsabilità” sarà del cittadino, che anche senza mascherina si ritroverà solo con il proprio “io” a dar la colpa al vicino, al giovane, ai vecchi, un po’ a tutti e un po’ a casaccio, ma sempre animato dalla convinzione di essere abbandonato da tutti, istituzioni, partiti, media, tutti lontani anni luce, tutti oggetto di sempre più cosmica “sfiducia”.
È infatti di termini come “fiducia”, “solidarietà”, “comprensione”, “condivisione” che dovremmo aver avuto bisogno durante la pandemia e di cui, ancor di più, in questa nuova (forse) fase post-pandemica dovremmo ritrovare il senso più profondo.
La “responsabilità”, certo, c’è anche quella, ma la si vorrebbe anzitutto assunta da chi le decisioni le ha prese, e da chi quelle decisioni, fra pressioni di vario genere, le ha imposte. Ma così, c’è da temere, non sarà.
I prossimi mesi, fra i tanti strascichi che nel “giorno della libertà” certamente passeranno in secondo piano, saranno quelli del “long Covid”, che non riguarda solo i lunghi decorsi di chi ha contratto in modo grave la malattia, ma è anche un effetto diffuso di incertezza e solitudine generato dal periodo pandemico e dai riflessi psico-sociali della sua gestione.
“Andrà tutto bene”, si gridava dai balconi nei primi mesi del 2020, e se è andata com’è andata, dal punto di vista strettamente sanitario, lo si deve a tanti, eroici operatori di centri medici, cliniche, ospedali, case anziani, non c’è dubbio. Ma per tutto quanto ha accompagnato e segnato gli ultimi due anni, quell’inno all’ottimismo pare davvero necessitare di una certa revisione.
La pandemia non ci ha resi migliori, ha piuttosto amplificato, anche subdolamente, tutte le storture di relazioni sociali già gravemente messe alla prova da un contesto politico ed economico che da questi due anni è comunque uscito ampiamente confermato nei propri “valori”: quelli della competitività più sfrenata, del ricorso all’aiuto pubblico in nome dei posti di lavoro (sottacendo gli utili comunque raggiunti), della liberalizzazione economica ad ogni costo, anche nel campo dei vaccini, anche e tristemente, sulla pelle dei cittadini-pazienti, malati, morti.
Nel giorno in cui ci si può praticamente e finalmente togliere la mascherina, c’è da pensare che, certamente, ci sarà chi preferirà continuare ad indossarla, vestendo i panni di chi opera, sempre e comunque, “per il bene del paese”, “per i valori più profondi” ed altre tirate retoriche, a mascherare, appunto, la logica più bieca del puro calcolo economico e politico.
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