Iran, perché ora Bibi vuole alzare la tensione
Di Nathalie Tocci, La Stampa La minaccia di una guerra regionale in Medio Oriente sembrava affievolita. L’uccisione di tre membri delle Guardie rivoluzionarie nel consolato...
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Di Nathalie Tocci, La Stampa La minaccia di una guerra regionale in Medio Oriente sembrava affievolita. L’uccisione di tre membri delle Guardie rivoluzionarie nel consolato...
• – Redazione
Con trenta ristoranti negli Stati Uniti, un programma tv e una cattedra universitaria, il cuoco spagnolo ha creato nel 2010 la ong diventata una delle più importanti nella fornitura di pasti in contesti emergenziali. Poche settimane fa Wck era riuscita ad approdare a Gaza City per consegnare 200 tonnellate di aiuti
• – Redazione
Di Domenico Quirico, La Stampa Ogni volta, ogni volta che qualcuno di loro muore, ci ricordiamo di questa storia immensa. Sì. L’obbligo umanitario continua a incendiare alcune...
• – Redazione
Le guerre in Ucraina e a Gaza mettono in gioco ulteriori velleità colonialiste di Russia e Stati Uniti ma potrebbero anche trasformarsi in occasione per la nascita di una nuova forma di resistenza
• – Silvano Toppi
Aspettare la fine del 2026? No, il Consiglio federale dovrebbe solo approvare al più presto un regolamento che anticipa il pagamento senza conseguenze insostenibili
• – Redazione
Figlio di una famiglia benestante di imprenditori. Le elezioni di ieri potevano rappresentare il suo declino politico o la sua vera e propria ascesa. Oggi è l’uomo che de facto guida il maggiore partito d’opposizione nel Paese
• – Redazione
L’uomo dei pasdaran ucciso ieri a Damasco da Israele era uno dei dirigenti che fanno funzionare l’allargamento dell’influenza di Teheran in Medio Oriente
• – Redazione
Alle elezioni amministrative secca sconfitta del ‘sultano’ che lo scorso anno sembrava imbattibile con la riconferma alla presidenza
• – Aldo Sofia
Come tutti gli altri palestinesi, ortodossi e cattolici nella Striscia vivono da sfollati in condizioni spaventose. Chi può cerca di lasciare Gaza e spesso si dirige in Australia
• – Redazione
Si arricchiscono sempre di più gli sfruttatori del lavoro forzato: i guadagni maggiori vengono dallo sfruttamento sessuale
• – Roberta Bernasconi
La minaccia di una guerra regionale in Medio Oriente sembrava affievolita. L’uccisione di tre membri delle Guardie rivoluzionarie nel consolato iraniano a Damasco da parte di Israele, nel primo attacco che colpisce direttamente una sede ufficiale della Repubblica islamica, fa invece riaffacciare lo spettro di una deflagrazione regionale. Dal 7 ottobre scorso gli scontri tra Israele e Stati Uniti, da un lato, e la rete delle milizie filo-iraniane in Libano, Siria, Iraq, Yemen e nel Mar Rosso, dall’altro, hanno causato l’escalation del conflitto oltre i confini di Israele e Palestina.
Eppure nelle ultime settimane, dopo l’attacco a una base americana sul confine tra Giordania e Siria, nel quale furono uccisi tre soldati statunitensi, Teheran aveva abbassato i toni con Washington. La strategia iraniana è, d’altronde, sempre stata di lungo respiro, capitalizzando militarmente e politicamente sugli errori altrui in Afghanistan, Siria, Libano, Iraq e Yemen, senza voler tuttavia rischiare il tutto per tutto attraverso una guerra regionale. Tant’è che nelle ultime settimane erano in corso contatti indiretti tra funzionari americani e iraniani nel tentativo di ridurre le tensioni nel Levante e nel Mar Rosso, e Teheran aveva marginalmente ridotto la propria presenza militare in Siria.
La rotta della de-escalation è stata ora invertita. In realtà, gli attacchi israeliani non sono mai cessati: dall’inizio dell’anno questo è il quarto attacco israeliano in Siria. Nei tre precedenti sono stati uccisi diverse Guardie rivoluzionarie, advisor militari iraniani, soldati siriani, militanti di Hezbollah e civili libanesi e siriani. Insomma mentre Stati Uniti e Iran, dopo aver sfiorato la deflagrazione regionale, tentavano di abbassare la tensione, Israele non ha mai fatto altrettanto. Dall’indomani del 7 ottobre ad oggi il governo di Benjamin Netanyahu, tanto a Gaza quanto nel resto della regione, persegue imperterrito la via dell’escalation. Il calcolo è doppio: strategico e politico. Strategicamente, Israele vuole evitare che la guerra si assesti sia a Gaza sia nella regione sullo status quo ante. Vuole, insomma, capitalizzare sulla catastrofe del 7 ottobre per eliminare, o quantomeno indebolire, la minaccia posta sia da Hamas a Gaza sia dalle milizie filo-iraniane a partire da Hezbollah, al confine con in Libano.
Questo può avvenire in due modi. Anzitutto, se Israele continua ad attaccare Libano e Siria, ristabilendo la propria capacità di deterrenza, mentre le milizie e soprattutto l’Iran non reagiscono o lo fanno in modo contenuto; insomma, ciò che è accaduto sinora. Oppure, può avvenire se Teheran decide di reagire direttamente, provocata da un attacco israeliano come quello al consolato iraniano a Damasco. Questo trascinerebbe gli Usa (e chissà, forse anche noi europei) in uno scontro regionale, dalla parte di Israele. In sintesi, strategicamente, l’escalation conviene al governo israeliano a prescindere dall’esito. Politicamente, il governo Netanyahu è sempre più alle strette. È nei guai internamente alla luce delle divisioni tra i membri dell’esecutivo riguardo alla questione spinosa del servizio militare degli ebrei ultraortodossi. È altrettanto nei guai con l’opinione pubblica che, pur sostenendo massicciamente l’invasione di Gaza, è fortemente critica del primo ministro. Ed è nei guai internazionalmente.
Negli ultimi giorni anche i più ferrei alleati di Israele negli Stati Uniti e in Europa hanno iniziato a manifestare il loro dissenso, dall’inedita astensione Usa al Consiglio di sicurezza Onu sulla risoluzione vincolante (approvata) per un cessate il fuoco, al rapporto redatto dal ministero degli Esteri britannico che conclude che Israele ha commesso crimini di guerra a Gaza. Con l’attacco a Rafah alle porte e la carestia nella Striscia che, causata dal blocco israeliano degli aiuti umanitari, rischia di uccidere decine se non centinaia di migliaia di persone entro l’estate (oltre i 32 mila che sono già morti), la guerra a Gaza si fa sempre più in salita per Netanyahu. Siamo ancora lontani dal vedere Usa e Europa voltargli le spalle, a cominciare dalla sospensione degli aiuti militari a Israele; ma prima o poi questo potrebbe accadere e ciò obbligherebbe Israele a cambiare rotta. Così come il presidente russo Vladimir Putin ha bisogno della prosecuzione della guerra in Ucraina per rimanere in sella, lo stesso vale per Netanyahu in Medio Oriente. Finché Israele rimarrà in guerra, Netanyahu potrà stare al sicuro. E se l’invasione di Gaza dovesse non bastare più o se dovesse diventare talmente scomoda da essere d’intralcio, tanto vale alzare sempre più la posta in gioco nella regione. Netanyahu non può che guadagnarci, al contrario di tutti gli altri: Stati Uniti, Europa, palestinesi e Iran, ma in fondo anche Israele.
Nell’immagine: Damasco, la sede del Consolato iraniano dopo il raid di Israele
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