La prospettiva elettorale in un mondo capitalista che va a rotoli
Dibattito sulle prospettive della sinistra disunita - Contributo di Giuseppe Sergi, Coordinatore Movimento per il Socialismo
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Dibattito sulle prospettive della sinistra disunita - Contributo di Giuseppe Sergi, Coordinatore Movimento per il Socialismo
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Dibattito sulle prospettive della sinistra disunita - Contributo di Giuseppe Sergi, Coordinatore Movimento per il Socialismo
Come sarà il mondo nell’aprile del 2023 e nei mesi successivi? Difficile dirlo. Tuttavia, possiamo indicare alcune chiare tendenze politiche, sociali ed economiche attuali che, sicuramente, ritroveremo al momento della scadenza elettorale (quella cantonale, ma anche quelle successive, federale e comunale).
A cominciare, ed è l’attualità di questi giorni, dall’accelerazione di dinamiche potenzialmente distruttive – i venti di guerra soffiano forti; e non certo per amore o in difesa di “valori” (libertà, sicurezza, addirittura pace – tutti termini abusati in queste ore), ma di interessi economici contrapposti tra imperialismi di vario genere: da quello classico degli USA a quello russo o cinese, per indicare solo i più importanti. Una competizione geopolitica nella quale a perdersi e a perdere sono gli interessi e la vita dei rispettivi popoli, a favore di interessi di gruppi ristretti e dominanti.
Queste tendenze continueranno e aumenteranno: la competizione economica e commerciale, come ci insegna la storia del capitalismo, si trasforma, prima o poi, in forme di scontro militare (dirette o mediate).
E tutto questo, per venire alle altre tendenze in atto, non potrà non avere ripercussioni economiche importanti: dalla rimessa in discussione del potere d’acquisto dei salari (già con il 2021, anno di ripresa dell’inflazione, i salari reali sono diminuiti) all’aumento della precarietà occupazionale e salariale; dalle difficoltà nei conti pubblici (meno entrate fiscali e maggiori uscite) che verranno utilizzate per invocare l’attuazione di politiche di austerità, alla continua erosione dei diritti sui luoghi di lavoro e nella società, nonché sul terreno più strettamente politico.
Far emergere gli interessi dei popoli e delle classi subalterne (qui e altrove), il loro diritto ad autodeterminarsi, a disporre delle ricchezze dei propri territori: sono esigenze fondamentali che devono essere, per la “sinistra”, priorità quotidiane.
E, allora, per coloro per i quali “sinistra” significa lotta per una società radicalmente diversa dall’ordine economico, sociale e politico esistente, il richiamo ad un’alternativa anticapitalista non potrà che essere all’ordine del giorno nel momento elettorale.
E non certo perché è attraverso questa via che un radicale cambiamento sarà possibile: al massimo la presenza istituzionale può servire a fare qualche modestissimo passo che, complessivamente, non modifica né le condizioni di vita della stragrande maggioranza dei salariati e delle salariate, né le disuguaglianze sociali, di genere e cultura, né le distanze di classe. Basterebbe riandare con lo sguardo agli ultimi quarant’anni (quasi due generazioni) per vedere come tutti gli indici di tipo sociale, culturale ed economico vadano a premiare le classi possidenti e penalizzino le classi subalterne.
Come non ricordare che, 40 anni fa, il “riformismo”, più avanzato e visto in Europa, quello dell’”Union de la gauche” a guida mitterrandiana, accedeva al governo della Francia e oggi la candidata ufficiale del PS alle presidenziali (per altro sindaca di Parigi), è accreditata del 2% nelle intenzioni di voto? E come non ricordare che il riformismo socialdemocratico europeo (pur potendo contare su maggioranze di governo per molti anni nei principali paesi europei) ha aperto la strada alla destra – moderata o estrema – in quasi tutti questi paesi? Ma, soprattutto, come non vedere che questa pretesa politica delle riforme ha lasciato irrisolti i nodi fondamentali (economici, sociali, ambientali) e li ha visti anzi, aggravarsi? Come non interrogarsi sul fatto che la presenza (minoritaria o maggioritaria poco importa) di forze “progressiste” all’interno di governi sostanzialmente neoliberali non ha fatto altro che trasformare questi partiti di “sinistra” in sostenitori di politiche e logiche neoliberali? Tutto questo vale, ancora di più, in un paese come il nostro, nel quale il movimento operaio (se ha ancora senso usare questa espressione) è storicamente debole, sia dal punto di vista della sua capacità di mobilitazione (che è andata ulteriormente declinando negli ultimi anni), sia dal punto di vista della sua rappresentanza politica (una semplice occhiata ai grafici dell’evoluzione dei risultati elettorale del campo della “sinistra” lo conferma).
Una campagna elettorale deve essere inserita in questo contesto e non può fare astrazione da tutto questo; deve servire a ribadire, visto che ci dichiariamo socialisti, che la nostra idea di socialismo non ha e non può avere nulla a che vedere con regimi che reprimono e negano i diritti dei cittadini e delle cittadine a manifestare, a organizzarsi, ad esprimersi (anche in paesi che si professano “socialisti”).
Al centro deve porsi una chiara prospettiva di opposizione al capitale e ai suoi interessi, rappresentati dalle politiche dei governi (siano essi nazionali, cantonali o comunali), avanzando rivendicazioni “incompatibili” con il quadro politico -economico e sociale del capitalismo reale ma estremamente “realistiche” se effettivamente si vuole rispondere alle questioni di fondo economiche, sociali e ambientali con cui siamo quotidianamente confrontati.
Con quale obiettivo? Non certo quello – che altri perseguono da almeno un secolo marciando in definitiva sul posto se non addirittura indietreggiando – di fare balzi in avanti giganteschi nei consensi elettorali; ma, più modestamente, quello di conservare la possibilità di utilizzare la tribuna parlamentare per un’attività di denuncia.
Siamo convinti di vivere in un periodo caratterizzato dall’”attualità della rivoluzione”. Potrebbe sembrare un’affermazione irrealistica, a prima vista, dato che in questo momento sono i movimenti politici di destra che sembrano marcare la loro superiorità elettorale e sociale. Ma attualità non significa imminenza. Attualità significa, per usare le parole di quel grande regista che è stato Mario Monicelli nell’ultima intervista prima di lasciarci, che “ci vorrebbe…una rivoluzione”. Una rottura decisiva e necessaria per dare risposte adeguate a problemi esistenziali (per gli esseri umani e per il mondo nel quale vivono) che, da tempo ormai, riemergono insoluti e sempre più gravi.
Gli spazi di riforma, di adeguamento, di transizioni senza rotture non esistono più. I grandi movimenti sociali (da quelli che vedono scendere in campo i salariati a quelli delle donne, da quelli sul clima a quelli per i diritti democratici ovunque nel mondo) pongono l’esigenza di un altro mondo. E ci dicono, contrariamente a quanto avvenuto nel corso di tutto il dopoguerra, che non abbiamo più molto tempo. Il rischio è che non solo le crisi si trasformino in tragedie dai possibili esiti apocalittici (come quelle che potrebbero farci rischiare una guerra mondiale dalle conseguenze imprevedibili); ma che il sempre più veloce approfondirsi di altre crisi – come quella climatica – rischino di mettere in discussione l’esistenza stessa della specie umana.
Siamo pronti a correre, ad unirci, con tutti coloro che, in qualche modo, condividono questa prospettiva e questo modo di contestualizzare la contesa elettorale. Con coloro che si muovono in una prospettiva di opposizione alle politiche dominanti in un preciso contesto. Del resto, lo abbiamo dimostrato con l’alleanza senza condizioni che abbiamo stretto (e che prosegue con successo) con i Verdi a livello della città di Bellinzona.
Per il momento, è questa la nostra prospettiva; se qualcuno è interessato non ha che da manifestarsi.
Nell’immagine: Redesign, di Davide Boriani
Dibattito sulle prospettive della sinistra disunita
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