La Svizzera nel binocolo sul Rigi
Gli appunti “privati” di un cronista politico che attraversano e raccontano la Svizzera del nuovo Millennio
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Gli appunti “privati” di un cronista politico che attraversano e raccontano la Svizzera del nuovo Millennio
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Gli appunti “privati” di un cronista politico che attraversano e raccontano la Svizzera del nuovo Millennio
Sono tante le riflessioni che si rincorrono e sovrappongono nella lettura di “A occhio e croce” di Saul Toppi, da oltre un ventennio apprezzato corrispondente a Berna e Zurigo per la RSI, qui al suo esordio letterario. Il libro, ad occhio e croce, lo potremmo definire uno “Zibaldone” di ricordi e pensieri, oppure ancora un “quaderno di appunti”, “Appunti svizzeri”, come recita il sottotitolo del volume pubblicato recentemente da Armando Dadò.
In copertina una veduta dal Rigi su valli e montagne, con in primo piano un binocolo, per andare a cercare i particolari, quel che nel panorama non si coglie o non si percepisce se non con la curiosità di volerlo andare a cercare. Per scoprire, magari, che il contesto consiste di elementi che, isolati o messi a fuoco nel dettaglio, paiono spesso contradditori, affiancati come per paradosso.
Del resto, l’autore ci porta proprio in questa direzione aprendo il volume con una citazione di Friedrich Dürrenmatt: “Chi si trova di fronte al paradosso si espone alla realtà”, in cui ritroviamo quella che è forse la chiave di lettura per comprendere l’opera del grande scrittore e drammaturgo svizzero, ma in cui rinveniamo anche il senso complessivo dei brevi racconti ed appunti di Toppi.
Attraverso la sua esperienza giornalistica, i temi che ha dovuto o voluto affrontare nelle sue cronache e corrispondenze, i personaggi che in tali circostanze ha potuto incontrare e magari conoscere, Saul Toppi ripercorre l’ultimo ventennio politico e sociale in Svizzera, rinvenendone non di rado, le contraddizioni di un Paese ricco anche di paradossi, in cui viviamo “così chiusi su noi stessi e così aperti al mondo; così diffidenti e così naïf; così generosi e così egoisti; così campanilisti, amanti del locale, e così pronti a viaggiare ovunque; così incatenati […] alle tradizioni e così innovativi; così ospitali e così scettici verso chi è diverso”.
Ma il “binocolo” di Toppi, è anche lo strumento con cui l’autore ci racconta, oltre l’attualità e l’importanza dei numerosi “eventi ufficiali” cui ha assistito o che ha vissuto, una propria personale esperienza di crescita, un’ ulteriore e diversa forma di “conoscenza dei fatti” che passa attraverso momenti, incontri, episodi “minori” capaci di lasciare nel cronista una traccia profonda.
Siamo insomma in una sorta di singolare “dietro le quinte” della cronaca, che consiste nel modo in cui il cronista ha vissuto gli episodi che è stato chiamato a “raccontare” in sede informativa. Per dirla con Andrea Ghiringhelli, che firma la prefazione al libro, non si tratta di un diario del cronista “che per mestiere registra l’ufficialità e trascura il resto perché a contare è il protocollo. L’autore non fa l’inventario degli eventi: racconta delle storie, ci mette la sua soggettività, diventa un protagonista che si confronta con quello che gli sta intorno”.
Così, ad esempio, nel capitolo “Il giorno in cui la Svizzera entrò nel mondo”, dedicato alla storica votazione per l’entrata del nostro Paese nell’ONU (3 marzo 2002), Toppi è lì, davanti alla porta del nostro ministro degli esteri Deiss, in attesa del risultato e delle reazioni ufficiali; quando Deiss esce finalmente dall’ufficio, nell’ala ovest di Palazzo Federale, evita però tutti, dicendo, quasi a passo di corsa, “devo andare alla toilette”. Ma poi torna, e si ritrova a “festeggiare” l’evento insieme al Presidente Villiger, con il quale, sotto gli occhi di Toppi, deve chiamare il Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan per comunicargli la storica decisione. Un episodio davvero divertente, raccontato con ironia ma anche grande sensibilità ed umana partecipazione dal cronista che poi, la sera, dovrà vestire i panni dell’inviato e dar conto dei risultati della votazione al TG.
“Ad occhio e croce” raccoglie anche non pochi capitoli dedicati ad incontri con personaggi eccezionali, per esperienza o caratura. Bellissimo quello consacrato a Shlomo Graber, uno degli ultimi sopravvissuti all’olocausto, intervistato nella sua casa di Basilea nel 2017 per un servizio che, andato in onda, muove l’intervistato a telefonare a Toppi per ringraziarlo. “È un mondo capovolto”, scrive Toppi, “lui ringrazia me. Lui che mi ha regalato il suo tempo, lui che mi ha permesso un incontro così profondo e fondamentale – un incontro che non dimenticherò mai – lui ringrazia me. Lo saluto. Appendo il telefono. Mi metto a piangere.”
Un altro grande personaggio ricordato sapientemente e sensibilmente da Toppi, oggi torna ad essere evocato mestamente in numerose discussioni ed analisi relative al conflitto in Ucraina: si tratta di Michail Gorbaciov, incontrato il 2 novembre 1999. Un ricordo breve, quasi fulmineo, dopo una conferenza a Berna; un racconto che non può lasciare indifferenti, a maggior ragione in un presente segnato tragicamente da chi, in Russia, al posto di Gorbaciov, avviava proprio allora la sua inesorabile carriera da leader politico, da nuovo zar.
Non capita tutti i giorni di poter assistere alla conferenza di un premio Nobel per la pace, di qualcuno che ha cambiato la Storia, anche se è praticamente uscito di scena e non ha più alcun peso politico. All’Hôtel Bellevue di Berna l’ex-presidente sovietico Michail Gorbaciov tiene un discorso sull’Europa dell’est, a dieci anni dalla caduta del muro di Berlino. Tono fermo, parole decise, Gorbaciov esprime la sua visione di un mondo in cui gli Stati cooperino tra di loro. Gli interessi locali esistono, certo, ma guardiamo anche alle preoccupazioni degli altri, dice, va garantito sostegno nel rispetto delle identità. L’Europa deve avere un ruolo guida in questo mondo dove regna la globalizzazione e l’Europa va dall’Atlantico agli Urali. Non dimenticate la Russia, quando parlate di Europa.
Lo possiamo intervistare al termine della conferenza.
Gorbaciov parla delle riforme da lui avviate, a suo tempo, con la perestroika. “Non ho rimpianti” dice. “La perestroika ha dato molto all’Europa e al mondo intero. Mi spiace solo che tutto ciò non sia sopravvissuto.” E insiste:”ma ora è solo con la cooperazione internazionale che potremo avere un mondo più sicuro e democratico, una cooperazione che coinvolga anche la Russia.” La sua è la prima apparizione all’estero dopo la morte della moglie Raissa, avvenuta nel settembre scorso. Un argomento delicato, ma lui non si sottrae. L’uomo Gorbaciov parla della sua vita dopo la morte della moglie. “È stato un colpo durissimo”, dice, “ma la vita continua ed ho dei nipoti che hanno bisogno di me. Vivo mantenendo il ricordo di Raissa e continuando a lavorare, altrimenti diverrei pazzo”.
Gorbaciov. Gli stringo la mano. Così come oggi hanno fatto altre decine di persone, lo so. Lo intervisto. Così come oggi hanno fatto decine di altri giornalisti, lo so.
Ma l’emozione è forte. Ho di fronte la Storia e ho di fronte un uomo pieno di dolore.
Da Saul Toppi, “A occhio e croce”, Edizioni Dadò, 2022, pp. 106-107
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