Neutralità non significa (solo) tenersi fuori dai conflitti armati o neppure (solo) non partecipare, non patteggiare, non prendere posizione. Ci siamo resi conto, in questi tempi, che neutralità è una categoria che forse non esiste, né filosoficamente né tanto meno politicamente. Tanto che, non partecipare, non prendere posizione, diventa subito, quasi paradossalmente, tutto il contrario: non puoi più essere neutrale. Tanto che persino la tua libertà di pensiero finisce per essere subito, quasi automaticamente, pencolata da una parte o dall’altra: o sei di qua o sei di là.
Se si scende nel fatto tecnico-economico si corrono, di riflesso, gli stessi rischi: la neutralità non esiste o non c’entra, oppure economia e tecnica si danno per definizione neutre e non si discute: ogni considerazione “politica” su ciò che potrebbe implicarle sarà quindi partigiana.
Un cappello, forse troppo lungo, per presentare o interrogare un fatto. Che non è la scelta o l’acquisto di un aereo da combattimento, che si vuol far passare anche come fatto tecnico-economico, ma implica una chiara scelta di campo. No, il fatto è un altro. Ed ha doppia valenza: neutrale o di sovranità (se ci si crede ancora); tecnico-economica o di indipendenza (se si ritiene che sia ancora un valore).
Il fatto è questo: Swisscom, società per il 90 per cento pubblica (51 per cento Confederazione e neppure per il 10 per cento privata) e comunque di servizio pubblico, trasferirà tra poche settimane i dati dei propri clienti commerciali verso un centro della società americana Amazon Web Services, filiale per il “cloud” della multinazionale americana (cioè per server o datacenter cui si accede tramite Internet).
In realtà è già da qualche mese che l’operatore svizzero sta trasferendo la propria infrastruttura informatica ad Amazon; presto vi saranno stoccati tutti i dati dei propri clienti. Si rassicura, ovviamente, che tutto sarà centralizzato nella regione zurighese, che i consumatori svizzeri avranno a disposizioni possibilità supplementari di utilizzo del cloud e beneficeranno quindi dello stoccaggio dei dati in Svizzera.
Ci si assicura anche che quei dati rimarranno in Svizzera, non potranno essere consultati dagli Stati Uniti, non saranno sottoposti al “Cloud Act” (cioè quella legge che permette alle autorità americane, a determinate condizioni, di accedere ai dati delle imprese). Conoscendo quanto è capitato sinora in quest’ambito e sapendo quali sono le infinite risorse dello spionaggio economico-industriale, qualche titubanza o sospetto rimangono più che leciti. Va rilevato che Swisscom, oltre al contratto con Amazon, aveva già firmato un altro contratto con Microsoft, altra multinazionale americana, che aveva pure aperto un centro di dati nel 2019 a Ginevra e Zurigo.
Le domande, soprattutto in questo campo, sono quindi molte e, a ben pensarci, questo mettersi semplicemente nelle mani di una multinazionale americana, in cui il governo di Washington con il “Cloud Act” ha mano lunga, interroga più che mai anche la “neutralità”. Oltre il concetto stantio o logoro che prevale e al di là del ricorso ipocrita alla difesa della propria sovranità, neutralità e autonomia di chi detta l’agenda politica antieuropea.
C’è però di più, a rendere maggiormente incomprensibili queste scelte. Si ignorano le più che legittime proteste di una società ginevrina che sa già offrire una gamma completa di servizi cloud, sia per l’utilizzazione a distanza o l’utilizzazione di potenza di calcolo, e a minor costo dei concorrenti americani o europei. Essa fa valere, significativamente, la “svizzeritudine” dei suoi servizi rispetto a quelli delle multinazionali straniere, il suo lavoro con soluzioni “open source”, il consumo nettamente minore in elettricità nei suoi centri di dati, il ricupero del calore per riscaldare i quartieri d’abitazione e più di un milione di utilizzatori che l’hanno quindi sperimentata. Come può praticare prezzi di stoccaggio minori? Perché “i giganti americani della tecnologia hanno attualmente il monopolio su questo genere di servizi e fissano le tariffe che vogliono”.
Ci si può dunque interrogare sulla rinuncia a puntare su una impresa svizzera, investendovi, anche pubblicamente, per potenziarla, sia per promuovere anche la ricerca e l’innovazione in un settore fondamentale, sia per non svendere ad altri quella che è ritenuta la maggior ricchezza del momento: la miniera di informazioni e, assieme, la poca sovranità politica che rimane ancora.