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Enrico Lombardi
Enrico Lombardi
La Svizzera nella sala d’aspetto del dentista
• 17 Luglio 2021 – Enrico Lombardi
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Sono giorni difficili e complicati da capire, tempi di instabilità non solo meteorologica.

Questioni “globali” esondano con i loro effetti penetrando anche impunemente i nostri confini nazionali e cantonali.

Prendiamo ad esempio il “Patto di Venezia” in cui il G20 ha stabilito e messo nero su bianco un’aliquota minima del 15% per la tassazione dei profitti delle multinazionali nei Paesi in cui operano.

Una decisione storica di un consesso, il G20 appunto, in cui la Svizzera non c`è, ma che rappresenta i Paesi che producono, insieme, il 90% del PIL mondiale (vedi “La Regione”, 12.7.21).

Una misura frutto di anni di studi e ricerche di un altro importante consesso internazionale, l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) di cui siamo fra i paesi fondatori.

Ora, dice il nostro ministro delle Finanze Ueli Maurer, “dobbiamo svegliarci”, perché ci tocca accettare per forza questa decisione rinunciando ad un altro pezzo di “privilegio” che credevamo garantito per sempre grazie al nostro sistema fiscale compiacente verso le aziende multinazionali, sia nostre con sedi all’estero, che estere con sedi in Svizzera.

Aiuto!, non saremo più attrattivi come prima e rischieremo che senza i vantaggi di cui godono finora le multinazionali in regime fiscale elvetico se ne restino (o se ne tornino) a casa propria.

Google, per dire, con i suoi quasi 5000 collaboratori nella sede di Zurigo, piattaforma e motore di ricerca online che sta assorbendo, fra l’altro, gran parte delle entrate pubblicitarie perdute dai nostri media nazionali, ecco, Google, ora che farà? Resterà o se ne tornerà a Silicon Valley, che tanto il 15% deve pagarlo comunque?

E la Svizzera come proverà, di fronte a questi casi, a rendersi comunque “appetibile”? Cosa metterà sul piatto per trattenere tali aziende? E, ancora, come si muoverà, in questo senso, il nostro Ministro, con il proprio partito che passa il tempo a voler negare che il nostro Paese sta dentro il mondo e con il mondo e quel che succede intorno a noi, deve interagire senza isolarsi?

Che succederà, nel nostro piccolo, dentro quel fronte politico? Cosa leggeremo domenica prossima a firma Cip e Ciop o Gigi di Viganello? “G20, una banda di falliti”? Oppure “Fuori subito dall’OCSE”? Chissà, forse un giorno allo scriba qualcuno spiegherà che il pianeta su cui viviamo è uno solo, per ora, e dissociarsi da tutto e da tutti è impossibile. Se ne faccia una ragione, il giornaletto di Via Monte Boglia e chi lo infarcisce di livore. Altrimenti, può sempre decidere di trasferirsi sulla luna con Richard Branson e la sua navicella Virgin Galactic.

Anche un altro grande tema di questi giorni ripropone, in un certo senso, un’analoga situazione diciamo “contraddittoria”: il piano di riduzione delle emissioni di CO2.

Benché nettamente in ritardo con la tempistica che idealmente dovrebbe portare la Svizzera, come il resto del mondo, alla “neutralità climatica” entro il 2050, lo scorso 13 giugno si è votato contro una revisione di legge che andava appunto in tal senso, con gioia e soddisfazione, sempre da parte di un certo versante politico, per aver “asfaltato l’ennesimo balzello”.

Beh, certo, la revisione implicava dei costi, ed oggi, per certa politica, è gioco facile evocarli come sciagurata misura sul borsello dei contribuenti, per vincere la battaglia delle urne.

Ma pure in questo caso, guarda un po’, ora siam qui tutti a constatare che comunque l’obiettivo resta necessariamente lo stesso, e che dunque occorrerà da subito attivare misure concrete: per dirla con il Corriere del Ticino del 13.7.21, con “obiettivi mancati, sale il balzello”, ed ecco che la tassa sul CO2 passerà da 96 franchi a 120 franchi a tonnellata a partire dal 1 gennaio prossimo. Eh, sì, perché fino a prova contraria, obiettivi e progetti di ogni genere hanno dei costi, anche gravosi: negarli o incitare a combatterli è pura retorica elettorale.

Sul fronte energetico pare che siamo talmente indietro rispetto ai progetti di sviluppo legati alla produzione di “energia pulita” ( nei confronti degli altri paesi ma anche rispetto ai buoni propositi annunciati ufficialmente) che si dovrà tenere in vita almeno per ulteriori 10 anni le nostre “temute” centrali nucleari, che ancora producono il 33% del fabbisogno annuale di elettricità (vedi “Le Matin Dimanche” ripreso da Tio)

E’ vero, nel 2016 il popolo svizzero aveva votato contro un’iniziativa che voleva l’abbandono del nucleare. Perciò si va avanti fino ad esaurimento degli impianti esistenti, per forza di cose. Ma in fondo il nucleare, se non altro, è “pulito”.

Ora, è mai possibile che non vi siano altre soluzioni, che non sia messa immediatamente fra le priorità una diversa e più accentuata politica di promozione di forme alternative di energia? Possibile che in un momento così contraddittorio, si riesca invece ad approvare una spesa di 15 miliardi e mezzo di franchi per acquisto e manutenzione di 36 jet da combattimento F-35 (fra le varie cose anche altamente inquinanti, ammesso che volino)?

Inutile aggiungere, poi che, quando sarà, la chiusura delle centrali nucleari riproporrà in modo bruciante il tema delle scorie e del luogo sotterraneo in cui depositarle in sicurezza. Si, perché intanto sono conservate in speciali depositi quasi tutti nel Canton Argovia (cosa avranno mai fatto di male gli argoviesi?).

E ancora, si ricorderà come il dibattito sullo smaltimento delle scorie scavando e perforando l’altipiano della Greina, avesse scatenato paure, proteste, polemiche a non finire. E ora? A che punto siamo? Siamo al punto che prolunghiamo la vita delle centrali e rimandiamo sine die la questione, sperando magari che, nel frattempo, si riesca a trovare qualche atollo nell’Oceano Pacifico in cui nascondere l’imbarazzante carico: mal che vada ci sarà qualche conseguenza a Bora Bora, ma noi sani e salvi, ancora una volta.

Negli anni ’80, Elsi Attenhofer, una grande attrice e cabarettista svizzera nata a Lugano e cresciuta a Tesserete, aveva messo nel proprio repertorio teatrale uno sketch legato al tema delle scorie radioattive che aveva fatto molto discutere. Interpretava infatti una dentista, che al paziente di turno, cui doveva praticare un’otturazione, spiegava che nel dente avrebbe messo anche un po’ di scorie, in nome del principio che ciò che vogliamo produrre è di responsabilità di ciascuno di noi e che dunque, nel caso delle centrali nucleari, toccava poi ad ogni cittadino farsi carico delle scorie.

Nel suo stile cabarettistico graffiante, Elsi Attenhofer metteva sin da allora in evidenza, certo in modo provocatorio e satirico, quello che resta uno degli aspetti più delicati non solo del rapporto fra politica energetica e salvaguardia del territorio, ma anche e soprattutto nella riflessione necessaria sul tema delle responsabilità collettive ed individuali.

Troppo spesso il nostro Paese ha affrontato questioni “globali” come finissero ai propri confini, tenendosi in casa i benefici e “cacciando fuori”, da qualche parte, poco importa, costi, sacrifici, conseguenze negative.

Sempre colpa degli altri? Eh no, e se non lo capiamo, prepariamoci ad aprire la bocca che arriva la  dentista! E non sarà il trapano a far più male.






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