Le mosse di Putin e i russi di Israele
Nello Stato ebraico vivono 1,3 milioni di russi, molti sono fuggiti dall’arruolamento per la guerra in Ucraina. A Putin fa comodo che l’Occidente ora debba occuparsi della guerra in Medio Oriente
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Nello Stato ebraico vivono 1,3 milioni di russi, molti sono fuggiti dall’arruolamento per la guerra in Ucraina. A Putin fa comodo che l’Occidente ora debba occuparsi della guerra in Medio Oriente
• – Yurii Colombo
Bernardo Arévalo, sociologo, primo presidente di sinistra eletto in Guatemala, osteggiato in ogni modo dalla destra. La popolazione è scesa in piazza per manifestare in suo favore
• – Gianni Beretta
Il regista israeliano valuta analogie e differenze con il 1973: “Allora l’Egitto invase il Sinai, oggi Hamas è nelle nostre città”. Ma avverte: “Il governo Netanyahu vuole spaccare il Paese”
• – Redazione
Fu tra i detenuti liberati in cambio di Shalit. È lui che ha ottenuto il via libera ai foraggiamenti del Qatar
• – Redazione
Per uscire dalla crisi della democrazia liberista è necessario uscire dal paradigma economico dominante e dalle sue intrinseche contraddizioni
• – Lelio Demichelis
Un paese angosciato che vive il suo “11 settembre”, e le fiamme di una guerra che possono estendersi a tutta la regione
• – Aldo Sofia
600 morti israeliani, l'incertezza permane. L'angoscia anche, per un centinaio di ostaggi prigionieri di Hamas
• – Aldo Sofia
Di fronte all'enorme numero di vittime fra soldati e civili, oltre agli ostaggi a Gaza, lo stupore: come è possibile essere stati presi così alla sprovvista?
• – Redazione
Le ore drammatiche che sta vivendo il paese e i tanti interrogativi di queste ore
• – Aldo Sofia
Non solo gli irrisolti motivi dell’occupazione e della colonizzazione della Cisgiordania, ma anche nuove intersecazioni regionali spiegano l’attacco degli islamisti, che così accresce influenza e popolarità fra i palestinesi
• – Aldo Sofia
Nello Stato ebraico vivono 1,3 milioni di russi, molti sono fuggiti dall’arruolamento per la guerra in Ucraina. A Putin fa comodo che l’Occidente ora debba occuparsi della guerra in Medio Oriente
La guerra in Israele aggiunge nuove preoccupazioni ma anche nuove possibilità di manovra per il Cremlino. Putin si sa, forse non è un grande stratega, ma è un ottimo tattico capace di entrare nelle linee di faglia dei suoi concorrenti ed avversari. Sicuramente cercherà di giocare al meglio le sue carte, in un conflitto che si presenta difficile e probabilmente non breve.
La Russia ha tradizionalmente una particolare attenzione verso il mondo arabo. Nell’epoca sovietica post-staliniana molti dei paesi del Medio Oriente erano considerati da Mosca se non socialisti, almeno “progressivi”, comunque comodi alleati nella Guerra Fredda con Washington. Nelle guerre “calde” tra paesi Arabi con Israele del 1967 e del 1973 (detta anche del Kippur) si schierò apertamente con i primi, fornendo loro buona parte degli armamenti e del sostegno logistico.
Negli anni ’90 le cose iniziarono a cambiare. Con l’arrivo prima al ministero degli esteri e poi a capo del governo di Evgenij Primakov, la politica estera russa nella regione divenne più equilibrata e votata all’equidistanza. Nei primi Anni Duemila, con la crescita economica della prima fase dell’era Putin, le relazioni russo-israeliane vennero facilitate anche da un’impennata degli interscambi commerciali.
All’inizio della guerra in Ucraina Israele ha votato all’ONU la mozione che condannava la Russia ma non ha aderito alle sanzioni occidentali. Un atteggiamento che era piaciuto a Mosca, che aveva fatto entrare Tel Aviv nel novero dei paesi graditi per una possibile mediazione con Kiev.
In realtà, però, già da qualche anno il pendolo del Cremlino è iniziato a spostarsi, seppur lentamente, verso le “ragioni dei palestinesi”. Nel 2021 Putin ha voluto sottolineare che la Russia non considera Hamas un’organizzazione terroristica (malgrado non ne approvi i metodi) e nel settembre 2022 il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha ricevuto ufficialmente Ismail Haniyeh, presidente dell’ufficio politico di Hamas della Striscia di Gaza e ha discusso a porte chiuse con lui per alcune ore. Ieri, dopo aver incontrato esponenti della Lega Araba, Lavrov è stato categorico: “l’unica soluzione sta nella nascita di uno Stato anche palestinese”.
Domenica il segretario generale della Lega Araba Ahmed Abu al-Gheit è giunto a Mosca su invito dello stesso Lavrov. Bocche cucite sui contenuti dei colloqui, ma è evidente che Putin sogni di avere un ruolo nelle trattative per la sistemazione post-bellica, che sottotraccia sono già iniziate. L’endorsment netto e immediato di Zelenskij a Netanyahu gli ha per ora ostruito la strada, ma le buone relazioni con Ankara gli potrebbero aprire un pertugio. Per questo, il presidente russo sta lavorando di concerto soprattutto con l’Egitto. Intanto la pressione e l’attenzione internazionale sull’Ucraina si allenta e per Mosca forse questa è la novità più gradita.
A Mosca la gente sta seguendo con partecipazione e con apprensione quanto succede in Israele. Anche perché i russi (o le persone di origine russa) che vivono nello Stato ebraico sono oltre 1,3 milioni, e rappresentano il 15% della popolazione complessiva. Si tratta di una comunità che è frutto di varie diaspore, iniziate con i pogrom antisemiti della fine del XIX secolo, proseguite con i dissidenti degli anni ’70 del XX secolo e conclusesi per ora con gli sciami di ragazzi giunti nel Paese per sfuggire alla guerra di Putin nel Donbass.
I loro parenti in Russia, le scorse notti non hanno dormito sonni tranquilli e sono rimasti in attesa con il telefono a portata di mano di notizie dal figlio, dal fratello, dal cugino. Una comunità che ovviamente in buona parte tifa Israele ma apparentemente senza odio per il popolo palestinese. Del resto, gli stessi migranti di fede musulmana presenti a Mosca (circa 2 milioni) non si sono lasciati andare a nessuna manifestazione di giubilo per l’aggressione di Hamas.
“Sono scappato da una guerra e mi trovo coinvolto in un’altra” ci dice sospirando da Israele il giovane Pavel, che in settembre era volato a Tel Aviv per ottenere il passaporto israeliano e sfuggire alla mobilitazione. “Ma forse ormai non c’è più posto al mondo dove si possa sfuggire a ciò che ci sta succedendo intorno e quindi – conclude- andrò ad arruolarmi”. Mentre dal ricevitore sentiamo il terribile suono delle sirene che preannunciano un possibile altro attacco.
Nell’immagine: l’incontro Lavrov – Al-Gheit
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