Di Yann Cherix, Tages Anzeiger
“Abbiamo un problema”, dicono entrambi. Moreno Colombo lo fa risuonare grande e urgente. Usa consonanti dure. Willy Lubrini lo intona con accenti più rilassati: sarà per le vocali morbide. Quello che sta accadendo a Chiasso, nella loro città, a causa dei rifugiati, con i residenti stressati, è gestito in modo diverso dai due uomini, e non solo linguisticamente.
Colombo è in piena campagna elettorale per il Consiglio nazionale. Il politico del PLR ha lanciato una raccolta di firme per chiedere alla Consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider di intervenire immediatamente nei confronti del “problema con i migranti”. Oltre 2000 persone nel Mendrisiotto si sono dette d’accordo con l’ex-sindaco di Chiasso.
Anche Lubrini è in piena campagna elettorale per il Consiglio nazionale. Il politico del PS ha recentemente marciato per le vie della città con persone che la pensano come lui, manifestando per un Mendrisiotto aperto. Sono previste altre azioni e la fondazione di un’associazione per “contrastare le tendenze xenofobe e organizzare meglio l’assistenza ai richiedenti asilo”.
Sono due risposte alla stessa domanda: come gestire i rifugiati? Nella città più a sud della Svizzera, l’esigenza di avere risposte è particolarmente sentita. Anche a Chiasso sono ben note le immagini delle migliaia di rifugiati approdati a Lampedusa, immagini che hanno sconvolto l’Europa. E i ticinesi sanno da tempo che la rotta attraverso il Mediterraneo, verso l’Italia sarà ancora molto utilizzata anche quest’anno.
A Como, dall’altra parte del confine, secondo le autorità del Nord Italia arrivano ogni giorno da cinque a otto rifugiati. La maggior parte prosegue il viaggio e ha bisogno della Svizzera solo come Paese di transito. La destinazione dei rifugiati provenienti da Afghanistan, Siria e Africa sono i tre grandi Paesi europei: Francia, Germania e Inghilterra. Di conseguenza, il numero di attraversamenti illegali al confine tra Italia e Svizzera è aumentato. Secondo l’Ufficio federale delle dogane e della sicurezza dei confini, ad agosto ci sono stati 5776 “soggiorni illegali nella regione meridionale”. Record nel 2023.
I vicini di tavolo si congratulano
È il primo pomeriggio a Chiasso. Sulla terrazza del Ristorante Indipendenza, la gente del posto si ritrova per un caffè. A pochi metri di distanza: un altro mondo. Tutte le panchine della piazza sono occupate, quasi esclusivamente da giovani uomini. Fumano, guardano il cellulare. Non si parla quasi mai.
“I rifugiati si incontrano qui in piazza Indipendenza”, dice Moreno Colombo. “Beh, non è vietato”, dice, e prende posto su una sedia. “Ma…” improvvisamente viene interrotto. I suoi vicini di tavolo vogliono congratularsi con lui per la raccolta delle firme che ha promosso. Una pacca sulla spalla. “Bravo! Altrimenti qui veniamo lasciati soli”, dice uno di loro. Una donna passa, si ferma quando vede il suo ex-sindaco. È la proprietaria di un negozio. Gli fa un gesto e gli racconta di piccoli furti nei negozi intorno alla piazza, soprattutto nel discount locale che vende alcolici. La donna dice che la scorsa estate la situazione è stata particolarmente grave.
“E adesso? E adesso?”, chiede guardando Moreno Colombo. “Abbiamo bisogno di un maggiore sostegno da parte di Berna”, dice, “quindi per prima cosa la consigliera federale Baume-Schneider deve venire a vedere quello che capita qui. Allora anche lei si renderà conto che le cose non possono andare avanti così”.
Anche Bruno Arrigoni, l’attuale sindaco della città, parla di una “situazione d’emergenza”, una situazione di emergenza che dura da troppo tempo. Da mesi a Chiasso sono ospitati circa 600 richiedenti asilo, tra cui 250 minori. Per una città di poco meno di 8.000 abitanti, si tratta di una cifra considerevole. E a Chiasso diventa particolarmente visibile quello che evidentemente è un grande problema globale. Dopo la fuga e la richiesta di asilo in Svizzera, i migranti attendono per mesi una decisione prima di poter lasciare la città.
Sono accolti in due edifici adiacenti ai binari della Stazione e in un ex complesso di uffici nella zona industriale di Balerna, al confine con Chiasso. Ma soprattutto aspettano fuori. Nel centro di Chiasso. In grandi gruppi. Condannati a non fare nulla.
“Reati minori”
In Municipio si osserva da tempo con preoccupazione questi assembramenti nel centro di Chiasso. La situazione si è un po’ calmata, dicono. Ma dall’inizio dell’anno ci sono stati oltre 500 incidenti che hanno coinvolto i migranti. La polizia deve intervenire almeno due volte al giorno. “Reati minori, niente di veramente drammatico”, dice il presidente della città Bruno Arrigoni, liberale moderato, che sa bene quanto l’argomento sia delicato. Chiasso non deve apparire xenofoba. “Ma non possiamo risolvere la questione da soli. Il problema è troppo grande per noi”.
Arrigoni sostiene che i cantoni di confine sono stati lasciati troppo soli. Sulla proposta del Consigliere nazionale dell’UDC Thomas Aeschi di istituire le cosiddette zone di transito chiuse, in cui i richiedenti asilo devono attendere la decisione, Arrigoni si limita a dire: “Vogliamo davvero un ghetto? Vogliamo sacrificare un’intera regione per proteggere il resto del Paese? Mai!”.
In una recente sessione di domande e risposte con il Consiglio federale, il consigliere nazionale dell’UDC Piero Marchesi ha voluto sapere come a Berna si intenda aiutare la città di confine. La Segreteria di Stato per la migrazione ha risposto di aver “adottato una serie di misure che hanno portato a una riduzione degli incidenti intorno e fuori dai centri federali per l’asilo, anche aumentando il personale di sicurezza”. Anche l’Ufficio federale delle dogane e della sicurezza dei confini ha annunciato un aumento del personale. 15 dipendenti. Secondo l’Ufficio federale, questa misura è destinata principalmente ad alleggerire il carico di lavoro del personale dell’UDSC nella regione meridionale.
È sufficiente? Willy Lubrini dice: “No”. È necessario molto di più, serve un nuovo modo di pensare”. E aggiunge: “Le persone sono in fuga. È un dato di fatto che dobbiamo accettare, trarne il meglio e garantire ai rifugiati un trattamento adeguato”. Lubrini sostiene la necessità di una distribuzione uniforme dei migranti tra i Cantoni e un più rapido svolgimento dei processi. Questo è fattibile, sostiene, “è un problema di gestione”: una questione di organizzazione.
Per un Mendrisiotto aperto
Ormai è mezzogiorno inoltrato. Come Moreno Colombo prima di lui, l’ex-Consigliere comunale è seduto al Caffè Indipendenza e guarda la piazza. Le panchine sono ancora occupate dai giovani. C’è poco movimento. Per ore. Al tavolo accanto sono passati al vino. Fanno un breve cenno a Lubrini, qui tutti si conoscono. Ma non hanno molto da dirsi.
L’attivista riceverà più incoraggiamenti in serata. Al Cinema Teatro, il centro culturale di Chiasso, si riuniscono coloro che vogliono un Mendrisiotto aperto; coloro che parlano di solidarietà e sostengono una maggiore interazione con i rifugiati. La piccola sala è piena. Ci sono circa 50 persone che ascoltano una giovane donna che parla del suo gruppo scout. Organizzano pomeriggi con i giovani richiedenti asilo. “Devono fare qualcosa, sono esseri umani”. Applausi spontanei.
Una di queste persone si chiama Camara, ha 20 anni, proviene dalla Guinea, nell’Africa occidentale. È il figlio di mezzo di cinque fratelli. “Nessun lavoro, nessuna prospettiva. Cosa ti può rimanere?”, chiede. Ha attraversato il deserto algerino. Non vuole parlarne. “È finita”, dice e fa un gesto con la mano, come se volesse spazzare via una mosca fastidiosa.
All’inizio del pomeriggio, era ancora in Piazza Indipendenza. Come tutti gli altri. Ma lui preferisce passare i suoi pomeriggi in un parco giochi di via Volta, nel mezzo di un quartiere residenziale di Chiasso. Giovani afghani e africani sono aggrappati ad un’istallazione per arrampicarsi, due sono seduti sulle altalene. Si dondolano pigramente, fissando i loro cellulari. Camara ha pagato 1000 dollari in Tunisia per la traversata fino a Lampedusa, dopodiché si è diretto verso il nord Italia. “Tutti i miei amici vanno in Francia, anche per la lingua comune. Ma la Svizzera è sempre stata la mia meta”. Perché? “Qui c’è molto lavoro”.
Se Camara potrà lavorare, un giorno, in Svizzera resta molto incerto. È molto probabile che il giovane guineano venga classificato come rifugiato economico e non gli venga concesso l’asilo. Il suo Paese è stato uno dei primi in Africa a firmare un accordo di riammissione con la Svizzera. Forse è per questo che per Camara Chiasso è l’ultima tappa di un lungo viaggio. O forse no. Intanto, il giovane africano attende a Chiasso una decisione che segnerà in modo significativo il suo futuro.
Traduzione a cura della redazione
Nell’immagine: Chiasso