Elon Musk: quando la ricchezza rende liberi e presunti libertari
"Campione di democrazia e di libertà" lo definisce Tito Tettamanti. E confonde la libertà dell’imprenditore e del capitale con quella dell’uomo
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"Campione di democrazia e di libertà" lo definisce Tito Tettamanti. E confonde la libertà dell’imprenditore e del capitale con quella dell’uomo
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"Campione di democrazia e di libertà" lo definisce Tito Tettamanti. E confonde la libertà dell’imprenditore e del capitale con quella dell’uomo
Ma per rispondere ancora meglio a Tito Tettamanti andiamo a recuperare alcune fonti, tra le molte possibili, di questa ideologia neoliberale, verificando se sia davvero liberale/libertaria in sé, come dice di essere, o non sia piuttosto, come cercheremo di dimostrare, non liberale, non libertaria ma anzi intrinsecamente e deterministicamente illiberale. Iniziamo dalla figura dell’imprenditore e dall’impresa. Scriveva il neoliberale Wilhelm Röpke (corrente dell’ordoliberalismo tedesco e poi europeo): “l’imprenditore può paragonarsi a un navigatore, il cui compito principale è quello di navigare senza sosta sul mare del mercato […] Sarà ragionevole, da parte dell’equipaggio [cioè i lavoratori, i consumatori], di non accampare richieste di ‘partecipare alle decisioni’ o di ‘democratizzazione’ della guida della nave. La democrazia è qui fuori luogo, come in una sala operatoria. La democrazia economica sta altrove e cioè sul mercato”.
In realtà dovrebbe essere evidente a tutti, da molto tempo, che il mercato non è mai democratico in sé, ma è pre-determinato dalle imprese (a cos’altro servono infatti marketing e pubblicità se non a produrci come consumatori o come utenti della rete o come produttori di dati?) e che un’impresa non può essere paragonata a una nave o a una sala operatoria. Per la semplice ma sempre dimenticata ragione – come invece scriveva il sociologo americano Robert A. Dahl – che “se la democrazia è giustificata nel governo dello Stato, allora essa lo è anche nella conduzione delle imprese economiche. Ciò che più conta: se essa non trova valide motivazioni nella gestione delle imprese economiche, non si vede proprio come potrebbe averne nel governo dello stato”.
Così facendo, continuava, “un popolo democratico compirebbe un passo importante verso il perseguimento degli obiettivi di eguaglianza politica, di giustizia, di efficienza e di libertà”. E invece, quarant’anni di neoliberalismo – e imbarazzante è che questa filosofia che si dice libertaria sia stata testata per la prima volta nel Cile del golpista/fascista Pinochet; e che uno dei padri del neoliberalismo, von Hayek (corrente del neoliberismo austro-statunitense) affermasse di preferire una dittatura favorevole al mercato a una democrazia contraria al mercato – ci hanno riportato a un modello di impresa nuovamente autocratico e a un mondo (e alla vita degli uomini) di fatto governata (come viviamo, come ci informiamo, comunichiamo, agiamo, socializziamo) da un oligopolio/oligarchia di grandissime imprese (e al vecchio Gafam, acronimo di Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft oggi va aggiunta la T della Tesla di Musk).
Di più e peggio: come sintetizzava l’americano Walter Lippmann, con il cui nome sono chiamati i Colloqui svoltisi a Parigi, nel 1938, per la rifondazione appunto del neoliberalismo, continuata poi con la Mont Pèlerin Society – il liberalismo è “l’unica filosofia che possa condurre all’adeguamento della società umana alla mutazione industriale e commerciale fondata sulla divisione del lavoro”; che a sua volta è un dato storico che non può essere modificato. Quindi: “il liberalismo è la filosofia della rivoluzione industriale” e suo compito è modificare l’uomo, adattandolo alle esigenze della produzione e del capitalismo, divenendo “un nuovo sistema di vita per l’intera umanità”, accompagnando “la rivoluzione industriale in tutte le fasi del suo sviluppo; e poiché questo sviluppo è infinito, il nuovo ordine non sarà mai in nessun modo perfettamente realizzato e concluso”.
E non è forse vero che il sistema oggi ci chiede di adattarci al cambiamento climatico (la resilienza), per non contrastare le esigenze del sistema industriale-capitalistico? Siamo dunque al predominio di termini come Adattamento, adeguamento dell’uomo alle esigenze della rivoluzione industriale, di un tecno-capitalismo il cui obiettivo non è quindi solo produrre e vendere merci e fare profitto, ma anche di profilarci (cioè spiarci) in massa (e mai nessun totalitarismo era giunto a tanto e tanto pervasivamente) per il proprio Big Data.
Siamo, appunto, al capitalismo della sorveglianza, volto a costruire un uomo ancor più funzionale alle sue esigenze e incapace di immaginarlo altro e diverso. Ovvero: niente di più illiberale del (neo)liberalismo. Perché un uomo che si deve solo adattare a qualcosa che non deve controllare (la rivoluzione industriale, il potere dell’impresa e del mercato e dell’oligopolio/oligarchia tecnologica) non è un uomo libero.
Nell’immagine: il futuro immaginato da Fritz Lang in Metropolis (1927)
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