I cittadini Israeliani sono, salvo poche voci, convinti come il loro governo, che occorra reagire. Decisi a non concedere nulla in una partita che ha in gioco tantissime cose, a partire dagli ostaggi. Ma, secondo i report, sono contrarissimi a che questa azione diventi poi una occupazione permanente, con in mente la lezione della precedente occupazione finita nel 2005 con un piano di disimpegno unilaterale. Inoltre , a dispetto dell’urgenza, il più grande problema di sicurezza per Israele, la spada sul suo collo – fino a questo assalto di Hamas – rimane il potente partito di Hezbollah, Sciita emanazione diretta di Teheran ( Hamas è fatta di arabi Sunniti), nonché vero e forse ultimo potere rimasto in Libano, dopo che la famosa esplosione ha polverizzato il governo del paese.
Il maggiore dubbio di Israele sul futuro è dunque oggi paradossalmente, quello sul suo potere militare – quell’indiscussa superiorità di forza che ha sempre retto, nel paese e nella immaginazione popolare araba (dopo lo Yom Kippur del 1973) la sua egemonia in un mondo intorno grande ed ostile. “Che fare, dopo?”. Ovunque ci si giri non c’è risposta. La domanda è tanto più stringente dal momento che anche le alleanze mondiali che per molti anni hanno supplito alla grande instabilità dell’intero Medioriente, si presentano oggi sulla scena globale esse stesse sminuite da cambiamenti che solo ora cominciano a misurarsi.
La seconda verità dell’attacco di Hamas è che i due grandi poteri politici, i pilastri di quell’ordine strano, irreale, fragile che è il Medioriente moderno ( il cui inizio data dalla fine della prima guerra mondiale, quando gli Usa entrano nel 1928 nella Iraq Petroleum Company gestita dagli anglo-francesi), sono essi stessi arrivati a questo punto della Storia con tasche e magazzini vuoti. Parliamo qui di Russia e Stati Uniti che durante la prima guerra fredda ( direttamente) e nel primo post guerra fredda (indirettamente) sono stati i garanti dell’Ordine nell’area. Oggi essi stessi indeboliti sul piano diplomatico da quella guerra in Ucraina che sta assorbendo risorse e impegno diplomatico agli stati uniti come alla Russia. Guerra che, a ben vedere, è stata a sua volta la prova di un equilibrio mondiale saltato.
I magazzini delle armi sono vuoti a Ovest , ma anche ad Est. Mosca ha dovuto finora ricorrere a te mobilitazioni di soldati.
Per quanto riguarda le alleanze, nel corso della guerra in Ucraina si sono anche queste infragilite. Gli Stati Uniti, il cui fronte è certo più solido, soprattutto in virtù del dinamismo Nato, hanno tuttavia visto in questi mesi erodersi ogni passione, se non il consenso, di molti alleati, inclusi i paesi Europei. Interessante che gli Stati Uniti siano anche i primi in cui si è formalizzato un dissenso anche parlamentare contro l’Impegno in Ucraina.
Diverso il peso di Mosca che in Medioriente è stato drammaticamente ridotto dalla caduta dell’Impero sovietico, nel 1989 come abbiamo già scritto in merito pochi giorni fa. Tuttavia l’influenza dei Russi, anche laddove gli Usa li hanno sostituiti , nei Balcani come in Afghanistan e in parte in Iraq e in Iran, o nello stesso Caucaso, non è mai venuta davvero meno. Certo Mosca è ora non più capace di gestire il potere esterno, ma non è nemmeno scomparsa.
Per quanto entrambe indebolite, ognuna in modi e livelli diversi, il dopo avrà in campo decisionale ancora entrambe le due potenze. Si, stiamo dicendo che la Russia a dispetto di tutto non è del tutto sparita. E si vede già proprio in queste ore.
Abbastanza straordinario è che Putin si sia mosso in persona da Mosca dal momento che è il primo ( secondo alcuni è il secondo) viaggio da lui intrapreso fuori la Russia dall’inizio della guerra in Europa. I suoi movimenti non sono liberi –su di lui pende una condanna della Corte penale Internazionale dell’Aja. Ma l’itinerario che ha disegnato non è meno significativo: ha toccato il Caucaso, la grande area di influenza sovietica, dove ha visitato l’Azerbaijan protagonista del recente conflitto del Nagorno Karabakh, di cui abbiamo parlato qui di recente come una delle guerre che segnano l’allargarsi del fronte Ucraina. Poi il capo del Cremlino andrà In Cina.
Il viaggio di Anthony Blinken, il ministro degli esteri Usa, con la sua specifica investitura diplomatica porta con sé la chiara ricerca di una soluzione. Il segretario di stato ha visitato Israele due giorni fa e ieri la Giordania, dove ha incontrato il Re Abdullah II e il Presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen. Andrà poi in Qatar, in Arabia Saudita, Emirati ed Egitto. In quella che è stata forse la tappa più importante, la Giordania, ha ottenuto come unico successo la visita in sé. Nessuna netta condanna di Hamas, il fatto che Abu Mazen si sia seduto e si sia fatto fotografare con l’americano, l’equidistanza si può leggere come una sottolineatura del distacco del governo Palestinese dal terrorismo estremista. Ma Blinken sta cercando di fare di più in questa visita, e si capirà solo nei prossimi giorni se il suo incontro ha avuto successo su questo punto: affidare in parte ai palestinesi e a un pezzo di mondo arabo la trattativa sugli ostaggi, e in futuro anche la guida di una coalizione che prenda in mano la gestione di Gaza.
Questa è la più folle ma anche la più fattibile delle soluzioni sul dopo. Nelle ultime 48 ore ha preso piede l’Idea di costruire una “coalition of the willing”. Lo storico ebreo Yuval Noah Harari ne ha scritto in un in un editoriale sul Guardian e in dichiarazioni su La Stampa. Nella coalizione dovrebbero esserci Us, Eu, Saudia Arabia , Qatar, e Palestinian Authority in grado di “ prendersi la responsabilità, senza Hamas, di ricostruire Gaza e insieme disarmare e demilitarizzare la striscia di Gaza”. Lo storico è un realista:” Ci sono poche possibilità che questa la proposta venga realizzata. Ma dopo i recenti errori la maggior parte degli Israeliani pensano di non poter vivere con meno di questo”
Bella idea che gira molto ma sembra irrealizzabile. Eppure con tutta le sue impossibilità è una proposta significativa perché contiene l’isolamento di Iran e il rilancio sia pure in maniera molto indiretta dell’idea che alla fine Gaza torni in mano agli arabi. Qualcosa che sa di rilancio comunque di una sovranità palestinese sui territori.
Naturalmente fra le tante difficoltà a far passare questa idea c’ è la neutralizzazione dell’Iran dallo schema. Ma poi, chissà?, non è che in cambio di un aiutino su questo punto Putin non ottenga in cambio qualcosa sull’Ucraina. Stando al nervosismo di Zelensky in queste ore, forse qualcosa del genere potrebbe essere venuta in mente anche a lui.