Mai più Vajont – Una storia che ci parla ancora (3)
Il monito del Vajont
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Il monito del Vajont
• – Redazione
Shock per Israele; il più massiccio attacco di Hamas contro lo Stato ebraico; per la prima volta commando palestinesi penetrano in territorio israeliano, uccidono e sequestrano civili e soldati; la sorpresa e l’impreparazione di Tsahal; le novità dei rapporti regionali fra i motivi dell’offensiva islamista
• – Aldo Sofia
La celebre rivista di filosofia e politica a rischio chiusura, ma i lettori e i sostenitori possono salvarla – Le parole del suo storico fondatore e direttore, Paolo Flores d’Arcais
• – Enrico Lombardi
Ancora per qualche giorno nelle sale del Cantone il film svizzero-canadese “Something You Said Last Night”
• – Simona Sala
A partire dal 9 ottobre le prime due stagioni della serie “The White Lotus”, in prima visione su RSI LA1
• – Redazione
L’ultimo romanzo di Sergio Roić, che ricorre all’ “ucronia”, sostituendo fatti e tempi immaginari ad eventi realmente accaduti
• – Redazione
Il premio per la pace, incoraggiamento al movimento di protesta contro la dittatura degli ayatollah; un’altra sedicenne in coma dopo l’aggressione della polizia morale; ma intanto la teocrazia di Teheran beneficia dell’interessato soccorso di Russia e Cina
• – Aldo Sofia
Il Consiglio di Stato ticinese si appresta a presentare il Preventivo 2024. Con la ghigliottina del pareggio di bilancio entro i prossimi due anni
• – Aldo Sofia
Uno slogan elettorale che tradotto in italiano suonerebbe “resto attaccato allo scranno”
• – Alberto Cotti
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• – Franco Cavani
«Questa è la diga a doppia curvatura più alta del mondo, la diga del Vajont. Creerà un lago artificiale capace di centocinquanta milioni di metri cubi d’acqua…» Cominciava con queste parole lo straordinario documentario industriale prodotto dalla Sade, la società costruttrice della diga del Vajont, fortemente voluto dall’ingegner Carlo Semenza – a capo del progetto –, perché una delle opere più ardite dell’ingegneria italiana potesse essere documentata e rimanere per sempre a futura memoria stampata sulla pellicola. Sono undici minuti in bianco e nero dal titolo H max 261,6 m.
Raccontano come l’opera è iniziata, i primi sbancamenti a colpi di esplosivo: «Quattrocentomila metri cubi di roccia sono stati staccati dalla montagna per preparare una sede opportuna alla diga» recita la voce narrante. Si vedono le migliaia di maestranze all’opera, entriamo nel più grande cantiere mai visto prima, alimentato da una teleferica che dal letto del fiume Piave porta su in quota i materiali con cui tre enormi betoniere lavorano il calcestruzzo. Ed ecco le benne sospese nel vuoto che scaricano il cemento dentro le casseforme di legno e ferro, mentre la diga cresce a una media di sessanta centimetri ogni ventiquattro ore. «La diga del Vajont è ormai giunta al termine […], si smontano i cantieri, le acque del bacino salgono a poco a poco. Nuovi progetti attendono i tecnici e gli operai che hanno costruito la più alta diga a volta e doppia curvatura del mondo. Per tanto tempo ancora, per anni, racconteranno e rievocheranno questa singolare avventura del lavoro umano e avranno il vanto di dire: “Io c’ero”». Sono le ultime parole del documentario, un inno alla capacità dell’uomo di dominare la natura, dove tecnica, evoluzione tecnologica e conoscenza sembrano non avere limiti. Una conquista cancellata e drammaticamente smentita dalla terribile frana dell’ottobre 1963.
Anche se il bacino è stato svuotato, la grande diga sta ancora lì, ci parla e ci ammonisce dall’alto. Ci chiede di aprire una nuova e non meno avventurosa stagione tecnologica, scientifica, umana in cui ripensare il nostro rapporto con quello che ci circonda, fermare lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali, combattere l’aumento globale della temperatura, adattarci ai cambiamenti climatici, curare prima, perché dopo ormai è troppo tardi.
Da “Mai più Vajont – 1963-2023 – Una storia che ci parla ancora”, ed. Fuori Scena, Milano, pp.59-60
Nell’immagine: la ricerca dei superstiti
Mussolini, l’Italia e la Seconda Guerra Mondiale, fra bellicismo alimentato da un ventennio di ambizioni coloniali ed il tragico asservimento alla furia del Führer
Un affettuoso ricordo di Pierre Casè, a pochi giorni dalla scomparsa dell’artista