Inutile negarlo: la Giornata della memoria – celebrata il 27 gennaio per commemorare lo sterminio del popolo ebraico durante il Secondo conflitto mondiale – di quest’anno è stata per molti fonte di disagio al limite del fastidio. La durissima reazione di Israele ai crudeli massacri perpetuati da Hamas il 7 ottobre scorso ha indignato il mondo intero e trascinato il popolo vittima della Shoah sul banco degli imputati con la grave accusa di genocidio. A prescindere dalla fondatezza delle accuse e dall’appropriatezza del gergo, la drammatica crisi umanitaria e il numero spropositato di vittime tra i civili di Gaza ha prestato per forza di cose il fianco alla narrativa delle vittime trasformatesi in carnefici. La rabbia e l’impotenza rispetto alla tragedia che si consuma in Palestina hanno finito per annullare anche la distinzione tra ebrei israeliani ed ebrei della diaspora, originando una miscela esplosiva che purtroppo non rende sempre agile la distinzione tra antisemitismo e legittima critica allo Stato ebraico e alle politiche del suo Governo.
Ad appesantire la situazione vi è senz’altro l’atteggiamento refrattario all’autocritica e al pluralismo delle istituzioni ebraiche europee che le rendono un interlocutore rigido e affatto disponibile a rinunciare al primato di vittima anche in queste paradossali e imbarazzanti circostanze. Tuttavia, l’obiezione diffusa della difficoltà di provare empatia e solidarietà per la tragedia del popolo ebraico mentre gli attacchi israeliani si abbattono con ferocia sui palestinesi dimostra anche il fallimento di un’Europa che, non a caso, rigurgita antisemitismo, islamofobia, razzismi e mancate integrazioni. Accostarsi al 27 gennaio percependolo quale tributo obbligato alle comunità ebraiche e alle loro vittime (che al loro interno commemorano la Shoah in primavera secondo il calendario lunare ebraico) significa ignorarne la funzione primaria che richiede di tenere viva la memoria europea, combattere l’ignoranza storica e favorire un’assunzione di responsabilità e un’elaborazione che dopo ottant’anni sono ancora troppo lacunose. Inoltre, se è sacrosanto vigilare sulla strumentalizzazione della Shoah e dell’antisemitismo da parte di Israele, affinché essi non vengano utilizzati come pretesto per perpetuare l’occupazione e altre pratiche ai danni dei palestinesi, altrettanto fondamentale è interrogarsi sul ruolo dell’Europa nel legittimare tali politiche. Infatti, se Israele può commettere crimini contro l’umanità è anche, e soprattutto, perché gode della protezione e dell’appoggio delle maggiori istituzioni occidentali che si rendono complici ignorando, per l’ennesima volta, quello stesso monito insito nella Giornata della memoria nei confronti della quale provano insofferenza.
Mi riferisco al volume Olocausto e Nakba. Narrazioni tra storia e trauma pubblicato in italiano lo scorso autunno dalla casa editrice Zikkaron. Frutto dello sforzo collettivo di ricercatori e intellettuali israeliani, palestinesi ed ebrei, il volume, curato dal teorico politico palestinese Bashir Bashir e dallo storico israeliano della Shoah Amos Goldberg, propone uno sguardo inestricabile sui diversi passati e una coraggiosa cornice concettuale, politica e storica che ambisce a strutturare una nuova grammatica che consenta di ripensare insieme a tali eventi. I contributi del libro presentano in modo approfondito aspetti diversi di un approccio storico e della memoria binazionali. Ognuna delle parti detiene una narrazione storica propria che, a sua volta, sfocia in una giustizia esclusiva. Nel nucleo di ognuna di tali narrazioni si erge un trauma che ha improntato l’identità e il percorso di ciascuna delle parti: la Nakba per i palestinesi e la Shoah per gli ebrei. Tali memorie «esclusive» continuano a gettare benzina sulla mancanza di giustizia in Israele/Palestina, ostacolando la rappacificazione tra i popoli.
Il libro Olocausto e Nakba rappresenta un punto di svolta, sostenendo non solo che è possibile, ma che è necessario agire diversamente. Esso afferma che, nonostante l’enorme differenza tra gli eventi, e nonostante l’asimmetria nelle relazioni di potere e nelle responsabilità storiche tra le parti, è fondamentale narrare le due vicende traumatiche insieme, collegandole l’una all’altra. Questo volume, pubblicato nell’originale inglese dalla Columbia University Press, sta rivitalizzando il dibattito sulla Shoah e la Memoria che da tempo si era adagiato e arenato su posizioni stagnanti e autoreferenziali. Si tratta di un libro necessario per il pubblico europeo in generale per tutto ciò che riguarda le questioni della memoria, dell’empatia, del passato coloniale, dell’antisemitismo, della pace e della giustizia storica in Israele/Palestina, così come in altri luoghi. Pur nella consapevolezza dell’oggettiva complessità dei saggi e della potenziale resistenza psicologica che essi possono suscitare nel lettore che vi affronta la rottura di un tabù, si suggerisce di sospendere il giudizio prima di aver letto il testo.
Pubblicato da Azione
Nell’immagine: l’esodo palestinese del 1948 (Nakba)