E ognuno rivendica la sua “Memoria”
Riflessioni su una Giornata di riflessione su cui è piombata la tragedia del conflitto israelo-palestinese
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Riflessioni su una Giornata di riflessione su cui è piombata la tragedia del conflitto israelo-palestinese
• – Aldo Sofia
Il mondo agricolo si trova in una sorta di crisi esistenziale e si dibatte in una condizione quanto mai incerta dopo aver ceduto parte della propria anima all’esplosione trionfante del capitalismo neoliberista selvaggio
• – Silvano Toppi
Dodici impiegati palestinesi dell'agenzia dell'Onu licenziati a Gaza con l'accusa di aver partecipato al massacro anti-israeliano di ottobre
• – Redazione
Ora gli israeliani cancellano i campi da dove venivano olio e alimenti per Gaza
• – Redazione
Tornando sull’opera più nota di Plinio Martini e su certe sue affermazioni, più romanzesche che documentarie, propense alla vittimizzazione della “pora gent” - Di Giorgio Cheda
• – Redazione
I pazzi di Palermo catalogati da Roberto Alajmo e quelli del Canton Ticino descritti da Paolo Nori
• – Michele Ferrario
Come questa giornata di riflessione, storicamente nata nel ricordo della Shoah, deve guardare anche alle troppe vittime sui due fronti della terribile guerra in atto in Medio Oriente
• – Aldo Sofia
Nella Giornata della memoria viene da chiedersi, non senza tristezza, quanto valgano certe commemorazioni in un mondo come quello attuale, che continua a produrre stragi e genocidi
• – Andrea Ghiringhelli
Di Anna Foa, Gariwo Ci si domanda da più parti, e da diverse prospettive, come si arriverà a celebrare quest’anno il 27 gennaio. Da una parte, non sono pochi quelli che pensano...
• – Redazione
Mentre ciascuna delle due parti in causa riceve e subisce qualcosa dalla sentenza, gli Stati Uniti ricevono tutto quello che volevano
• – Redazione
Riflessioni su una Giornata di riflessione su cui è piombata la tragedia del conflitto israelo-palestinese
A questo doveva servire la Giornata della Memoria. A non cancellare il ricordo. Quindi a ripeterci, come profetizzò Primo Levi, che quel peggio assoluto poteva comunque riprodursi. E anche, fin troppo tardi, a ricordarci che vi fu sì un truce colpevole, la Germania di Hitler, ma a non eludere, come avvenuto per un lungo periodo, anche la silenziosa indifferenza, l’aperta complicità, cuore coscienza e confini chiusi di altre nazioni e comunità, dove l’antisemitismo albergava da secoli: nel 1516 il primo confinamento degli ebrei in un proto-ghetto (il ‘geto’) a fianco di Venezia; nel 1555 la Bolla di papa Paolo IV istituì quello di Roma, accanto al teatro Marcello, “serraglio degli ebrei” nella definizione popolare.
“Mai più”, si disse dopo la seconda guerra mondiale. Nel nome anche di quella sconvolgente reminiscenza, che per tutti avrebbe dovuto contribuire a fecondare un’Europa diversa: pace, convivenza garanzie, rispetto per qualsiasi tipo di minoranza.
Per le comunità ebraiche, in Israele e nella diaspora, quella “Memoria” doveva comunque rimanere cristallizzata, confinata, esclusiva della propria storia. Comprensibile, anche quando non condivisibile: perché, per fare un solo esempio, ci fu prima il genocidio degli armeni nella Turchia già post-ottomana, e quando un collaboratore chiese al Führer come avrebbero reagito le altre nazioni allo sterminio degli ebrei rispose: “Qualcuno si ricorda forse degli armeni?”, ed erano trascorsi soltanto una ventina d’anni. Così nacque nel 1948 Israele, Stato voluto non solo ma anche come riparazione alle nostre responsabilità: russe, europee, occidentali, cristiane.
Negli ultimi anni, faticosamente ma opportunamente, ci siamo detti che la “Memoria”, quella “Memoria”, aveva un senso anche e soprattutto se fosse in qualche modo tracimata, se fosse servita a denunciare le tragedie dei tempi nostri, quindi se si fosse trasformata in impegno collettivo nella denuncia attiva di regimi che si reggono solo sulla forza, la sopraffazione, la negazione dei diritti, la menzogna, la manipolazione, l’utilizzo politico e ideologico della Storia. Anche di una storia indiscutibile e ineludibile, la distruzione delle comunità ebraiche del secolo scorso per mano nazista, ma che in Israele può diventare giustificazione di ogni decisione politica, anche la meno sopportabile.
Lo spiegò e lo denunciò alcuni anni fa Avraham Burg, pacifista, laburista, ex presidente del parlamento israeliano, figlio del fondatore del primo partito religioso dello Stato ebraico: che in sostanza, col suo saggio “Sconfiggere Hitler”, provocò “dolore e sconcerto” nel paese, poiché sosteneva che bisognava “storicizzare la Shoah”, non certo per dimenticarla, ma per evitare di servirsene troppo pretestuosamente e troppo disinvoltamente per rispondere ad ogni critica.
Ma quello di una “Memoria” che sappia guardare e scrivere anche al presente, che sia condivisa, che serva a denunciare anche le tragedie del nostro tempo è cammino lento, impervio, faticoso. Lo sa chi a questo scopo ha dedicato le sue energie, le sue ricerche, la sua intelligenza; lo sa Gabriele Nissim, con cui abbiamo discusso ieri su ‘Naufraghi/e’, e che per battersi per la realizzazione di questo concetto dinamico di “Memoria” universale, non rinchiusa dunque in una dolorosa ma escludente recinzione, ma aperta attraverso l’esempio dei “Giusti” di ogni conflitto e violenza sull’umanità, ha subìto e continua a subire critiche pesantissime dalla sua stessa comunità, quella ebraica, e non solo italiana, sempre legate all’idea di unicità dell’immane tragedia subìta.
Accade dunque che, in questa intersecazione fra passato e presente, nella “Giornata della Memoria 2024” fa irruzione l’attualità. La peggiore. Un’enorme “pietra d’inciampo” per chi si adopera per fare della memoria ciò a cui davvero dovrebbe servire l’atto fondativo di quel “mai più”, che le nostre società democratiche hanno appunto invocato nel dopoguerra. Accade che essa cada quando, dopo cento giorni strazianti, il pensiero di Israele rimane congelato all’atto terroristico anti-semita del 7 ottobre, con nefandezze quasi inenarrabili commesse dai combattenti di Hamas sui civili ebrei, uccisi barbaramente, corpi straziati e stuprati, e centinaia di ostaggi; mentre d’altra parte c’è il prezzo della caccia ai terroristi e della “vendetta” (così definita da Netanyahu) pagato soprattutto dalla popolazione innocente di Gaza dilaniata e massacrata da una impietosa rappresaglia, che in meno di quattro mesi ha già provocato oltre 25.000 morti nella Striscia, con la gentile e salomonica prima sentenza della Corte di giustizia internazionale dell’Aia, che tre giorni fa ha chiesto a Israele non il cassate il fuoco bensì di “evitare un genocidio”; e quale sarebbe il gradino che precede il genocidio se non quello dei crimini contro l’umanità della punizione collettiva? Sentenza pronunciata mentre Hamas si tiene e utilizza cinicamente le immagini di ragazze prigioniere, un esponente del governo Netanyahu invoca il ricorso all’arma atomica per farla finita coi palestinesi (magari anche della Cisgiordania occupata), un altro invoca la realizzazione di un’isola artificiale nel Mediterraneo per farne la dimora del più alto numero possibile di rifugiati gazawi, e mentre l’esercito israeliano abbatte sistematicamente anche i ruderi delle poche case rimaste in piedi nella parte settentrionale di Gaza.
Così, ognuna delle parti in conflitto continuerà a coltivare unicamente la propria “Memoria”. Gli abitanti dello Stato ebraico e dei suoi alleati – volonterosamente e cinicamente distratti e silenti per decenni – su quella che rianima la minaccia all’esistenza stessa di un Israele che doveva essere il rifugio definitivo, unico, sicuro per gli ebrei di tutto il mondo autorizzati all’Aliyah (legge sul ritorno) e che invece oggi si sente fragilizzato come non mai, fra crescita di antisemitismo nel mondo e minacce di chi (non solo Hamas e l’Iran) ne vorrebbero la cancellazione. E l’altra parte – con gli sconsiderati sostenitori di Hamas e con le nazioni islamiche che non si sono quasi mai ‘adoperate’ per la questione palestinese, ma l’hanno semmai ‘adoperata’ – che riportano ogni cosa a un’unica radice, il realizzato e mai accettato progetto colonialista del sionismo che ha cacciato milioni di arabi dalla Palestina, dalle loro case e dalle loro terre, le ha occupate militarmente, ha distrutto centinaia di villaggi palestinesi, ne ha espulso con la forza gli abitanti, e ora, nei progetti del governo nazional-religioso più destrorso della storia israeliana, impugna la Bibbia (proprio come Hamas fa col Corano e soprattutto con gli Hadith, parole del profeta) per rivendicare il diritto sovrannaturale alla totale annessione e colonizzazione dell’intera Palestina storica (“dal Giordano al Mediterraneo”, e anche in questo affermazione fotocopia di quella rivendicata da Hamas).
Ognuno con la sua “Memoria” e ognuno coi propri incubi. Ciascuno con le sue allucinazioni e ciascuno con la sua granitica ed esclusiva verità. “Memorie” in armi, apparentemente inconciliabili. Eccolo il loro 27 gennaio 2024. Che inevitabilmente è stato e rimane anche il nostro.
Nell’immagine: il memoriale dell’Olocausto a Berlino
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