Montale traduttore di Shakespeare
Pubblicata recentemente dall’editore Interlinea una traduzione montaliana inedita del “Giulio Cesare”
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Pubblicata recentemente dall’editore Interlinea una traduzione montaliana inedita del “Giulio Cesare”
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Pubblicata recentemente dall’editore Interlinea una traduzione montaliana inedita del “Giulio Cesare”
La vasta attività traduttoria di Eugenio Montale fu suggerita spesso da esigenze economiche, almeno fino all’impiego definitivo presso il «Corriere», avvenuto nel 1948. Il 1948 è l’anno in cui il poeta raccolse le sue versioni poetiche in un Quaderno di traduzioni, poi riproposto con aggiunte nel 1975. Vi figuravano, tra gli altri, Blake, Dickinson, Melville, Pound, Joyce, Eliot, oltre a Guillén e Kavafis. E c’è anche una scelta di sonetti di Shakespeare.
Ma Montale ebbe anche a che fare con il teatro scespiriano. Le traduzioni di Timone d’Atene, Racconto d’inverno, La commedia degli errori e Amleto, risalenti agli anni tra il 1939 (Montale era stato appena allontanato dalla direzione del Gabinetto Vieusseux) e il 1947, erano destinate a un’edizione Sansoni. Nel 1949, Amleto, che Montale cita tra i testi più congeniali mai tradotti, venne pubblicato dall’editore milanese Cederna.
Il quinto incontro con il teatro di Shakespeare è del 1953, quando dal Piccolo Teatro di Milano arriva a Montale la richiesta, firmata Paolo Grassi, di approntare una nuova versione del Giulio Cesare per uno spettacolo autunnale. È il 19 agosto, Montale si trova a Venezia come giurato della Mostra del Cinema e cerca di trattare sui termini di consegna, strettissimi. Si giunge a un accordo che prevede i primi 4 atti per il 10 ottobre e il quinto entro il 15-16 a prove già avviate. Il lavoro arriva puntuale, anche grazie al contributo di versioni precedenti (tra cui quella di Cesare Vico Ludovici, amico del poeta, e quella francese di Victor Hugo).
Ora il Giulio Cesare montaliano, rimasto inedito, esce nella collana fondata da Maria Corti, «Biblioteca di Autografo» (Interlinea editore), a cura di Luca Carlo Rossi. Nei primi sei anni di vita (già eccezionali) del Piccolo, Paolo Grassi e Giorgio Strehler si erano avvalsi, tra l’altro, di quattro traduzioni scespiriane di Quasimodo.
Il 20 novembre 1953 Montale assiste alla prima del Giulio Cesare e pochi giorni dopo, sollecitato da Grassi, esprime la sua opinione per lettera complimentandosi per il successo e salvando la regia («degna di Strehler»), ma dicendosi poco convinto di Giorgio De Lullo nelle vesti di Antonio: «Non ha nulla di furbo e di machiavellico; si presenta sin dall’inizio così fiero e aggressivo che non si comprende come mai i congiurati lo lascino in vita». Dubbi anche sul Bruto interpretato da Tino Carraro («scialbo») e su Arnoldo Foà (Cassio), «a tratti efficace ma diseguale». Critiche, infine, all’acustica («Sotto il capannone almeno metà delle parole sono andate perdute»).
Di certo Montale, pur consapevole delle esigenze della messa in scena, non dovette essere lieto delle modifiche apportate al suo testo durante la lavorazione: del resto aveva già avuto da ridire sulla «malattia del copione dilagante nel teatro italiano», cioè sulla sopraffazione subìta in genere dai testi letterari in nome dello spettacolo. Resta pur tuttavia, come mostra la breve indagine stilistica di Rossi (che ha lavorato mettendo a confronto le varianti dei diversi copioni, compreso quello conservato al Piccolo), il timbro inconfondibile del poeta anche nel testo tradotto. E quando Cassio dice: «Dimmi, amico Bruto… puoi tu vederti in viso?», viene in mente la chiusa dell’Anguilla: «puoi tu / non crederla sorella?».
Articolo scritto per Il Corriere della Sera
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