Finora in Svizzera, quando affiorava qualche caso di abuso – nonostante i sistematici occultamenti – si parlava di eccezioni, di poche mele marce. Invece, malata è proprio la pianta su cui sono cresciuti. Cosa accadrà ora? Si metterà finalmente in discussione la rigida struttura gerarchica, patriarcale e autoreferenziale del potere nella Chiesa? Oppure ancora una volta avrà ragione il Gattopardo? “Perché tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”?
L’ampiezza dello scandalo emerso con il rapporto dell’Università di Zurigo sugli abusi sessuali nella Chiesa cattolica svizzera sembra suscitare stupore anche in chi sapeva bene da decenni come stanno le cose. Ora si ammette che col rapporto è emersa solo la punta dell’iceberg, però la sua dimensione la si poteva intuire sin dalle prime indagini già svolte in molti altri paesi. Non bastavano questi segnali per cambiare rotta? Si pensava forse che la Chiesa cattolica svizzera fosse diversa dalle altre?
Prendiamo ad esempio lo scandalo della pedofilia nella Chiesa cattolica americana scoppiato dapprima a Boston già nel 2002. Per anni centinaia di preti pedofili venivano spostati di parrocchia in parrocchia dai loro superiori lasciando uno strascico di traumi e sofferenze nei numerosi bambini abusati. Le piccole vittime hanno raramente la forza di parlare in famiglia delle molestie e violenze subite, e ancor meno di denunciarle alla giustizia. Ma quando i fatti affioravano, le autorità ecclesiastiche proponevano alle famiglie di regolare le cose con discrezione all’interno della Chiesa. Mediante patteggiamenti segreti, la Chiesa le risarciva economicamente a condizione che non parlassero mai a nessuno dei crimini subiti. Ma poi il bubbone scoppiò e vennero a galla le responsabilità della gerarchia ecclesiastica e le sue connivenze “omertose” con autorità giudiziarie, avvocati, politici e polizia. Un meccanismo ben illustrato nel film “Spotlight” di Michael Keaton, Oscar 2016.
Si capisce che la piaga non riguarda solo alcune parrocchie bensì coinvolge le autorità ecclesiastiche fino ai vertici. L’alto rappresentante del Vaticano negli Stati Uniti che era stato incaricato in precedenza di indagare sul fenomeno, quando ne scoprì l’ampiezza e ne denunciò la gravità con un circostanziato rapporto, fu rimosso dall’incarico e degradato a semplice cappellano nell’aviazione militare. Il suo rapporto finì in un cassetto a Roma. Non sorprende dunque che Papa Giovanni Paolo II offrì una carica onorifica in Vaticano al cardinale Bernard Law di Boston, prima che fu costretto a dimettersi perché colpevole di aver sistematicamente coperto gli abusi dei suoi sacerdoti.
Alla morte di Papa Wojtyla, nel 2005, uno dei primi cardinali chiamati dall’allora cardinale Ratzinger a dire una messa solenne in suo onore fu proprio ancora Law. In quell’occasione a nulla valsero le proteste del New York Times e delle numerose vittime, ormai adulte, accorse a Roma proprio per opporsi a questa discutibile scelta. Papa Ratzinger ha poi avuto il merito di stigmatizzare pubblicamente lo scandalo della pedofilia nella Chiesa, ma per risanare la piaga ci voleva ben altro. Il meccanismo era diffuso, continuava a riprodursi e questo spiega perché nel 2010, a proposito degli abusi sessuali del prete di Gordola (subito spostato in una parrocchia italiana dopo la condanna), il vescovo ticinese invocasse il perdono per quegli “sbagli”… mentre alla famiglia della vittima, una ragazza di 14 anni, rimproverava il fatto di aver denunciato il parroco alla giustizia invece di parlarne prima con lui. Solo “chiacchiere”?
Per comprendere le radici profonde del fenomeno è interessante la testimonianza di un parroco americano recidivo: sosteneva, a sua discolpa, che nei seminari la pedofilia si riproduceva di generazione in generazione come avviene nelle famiglie. In effetti è noto che sovente gli adulti autori di abusi sessuali in qualsiasi ambito, sono stati vittime a loro volta di ripetute molestie da bambini. Il celibato, che da secoli condanna i preti alla “miseria sessuale”, non è quindi l’unica spiegazione degli abusi. La pedofilia si riproduce nel tempo, nella società e anche nella Chiesa cattolica, perché è un crimine con un forte carattere patologico che comporta molto spesso ripetute recidive e proprio per questo, nei casi più gravi, porta all’internamento a vita.
Difficilmente basta dunque un ammonimento o una condanna, per far sparire le fantasie perverse che spingono i pedofili a cercare nuove prede. Nascondere, perdonare e spostare i pedofili in altre parrocchie serviva forse a salvaguardare la facciata dell’istituzione religiosa e la rigida struttura del potere ecclesiastico, ma non è mai bastato per sradicare la pedofilia e prevenire ulteriori crimini a danno dei bambini.
Non c’è dubbio che in tutti gli ambiti della società gli autori di questi reati, ma anche i superiori che ad ogni livello li hanno coperti, vadano sempre denunciati alla giustizia, quella terrena s’intende, che è uguale per tutti ed è un diritto sacrosanto delle vittime. E vanno poi allontanati da qualsiasi possibile occupazione a contatto con bambini e semmai curati con adeguate terapie.
Il fenomeno degli abusi ha dunque radici profonde e coinvolge a tutti i livelli la responsabilità di chi sapeva e non agiva. Le prime misure adottate oggi sono un primo segnale, ma basteranno per estirpare alla radice la piaga della pedofilia? Per proteggere i bambini dal rischio di subire ulteriori abusi e il devastante trauma che ne consegue? Per salvaguardare la dignità e la fiducia di tutti quei religiosi (e per fortuna sono davvero tanti) che sanno occuparsi dell’infanzia e dei fedeli con vero amore e con autentico rispetto?