Quell’incontro impossibile tra vittima e carnefice
Il drammatico faccia a faccia tra aggredito e aggressore non poteva andare in scena. A New York l’ennesima dimostrazione di come la Russia abiti ormai un mondo parallelo
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Il drammatico faccia a faccia tra aggredito e aggressore non poteva andare in scena. A New York l’ennesima dimostrazione di come la Russia abiti ormai un mondo parallelo
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Il drammatico faccia a faccia tra aggredito e aggressore non poteva andare in scena. A New York l’ennesima dimostrazione di come la Russia abiti ormai un mondo parallelo
“Interrompete la guerra e il presidente Zelensky non prenderà la parola”: il premier albanese Edi Rama, già diventato celebre nei social per aver raccontato in pubblico una macabra barzelletta su Prigozhin e Putin, taglia corto le proteste dell’ambasciatore russo all’Onu, e disinnesca le attese per il drammatico faccia a faccia tra la vittima e il carnefice, l’aggredito e l’aggressore, il leader ucraino e il ministro degli Esteri russo. Chi si aspettava un duello di sguardi e accuse verbali lanciate attraverso il celebre tavolo a ferro di cavallo del Consiglio di Sicurezza, rimane deluso: la coreografia diplomatica viene orchestrata con una precisione da cronometro, e Volodymyr Zelensky abbandona la sala prima dell’ingresso di Sergey Lavrov, che entra proprio mentre il segretario di Stato Usa Antony Blinken accusa la Russia di avere «stracciato» la Carta delle Nazioni Unite con l’invasione dell’Ucraina. Lontani i tempi della scarpa brandita da Nikita Khrusciov sulla tribuna del Palazzo di Vetro: la delegazione russa sceglie di dedicarsi a piccoli dispetti, con i diplomatici che durante il discorso di Zelensky – ospite speciale della seduta del Consiglio di Sicurezza, del quale l’Ucraina non fa parte – si immergono nella lettura del telefonino, come a mostrare di avere di meglio da fare, e contestano al premier albanese che presiede la seduta l’ordine degli interventi, venendo però respinti con sarcasmo.
Uno scontro mancato che paradossalmente dimostra ancora una volta come Mosca abiti ormai un mondo parallelo, e se Zelensky sale sulla più importante tribuna internazionale per parlare all’opinione pubblica e ai leader del mondo, e per promuovere una riforma delle Nazioni Unite che, «al 574° giorno dell’aggressione russa contro l’Ucraina ha 574 buone ragioni per venire attuata», il capo della diplomazia russa sembra recitare il suo discorso di propaganda più a beneficio del suo datore di lavoro rimasto a Mosca, e permettere alle tv di Stato russe di lanciare titoli come «Lavrov ha accusato l’Occidente di aver distrutto l’Ucraina».
Zelensky porta a New York il piano di pace più semplice e conciso, in soli due punti: il ritiro totale di tutte le truppe russe dal territorio dell’Ucraina nei confini internazionalmente riconosciuti del 1991, e il ritorno del controllo su tutte le frontiere di mare e terra a Kyiv. Lavrov non si prende più nemmeno il disturbo di negare l’occupazione dei territori ucraini che Vladimir Putin ha voluto dichiarare annessi alla Federazione Russa, o di rivendicarne la legalità, ma ribatte soltanto che gli ucraini «vogliono sterminare» la popolazione del Donbass, e accusa l’Occidente di aver chiuso gli occhi sui «crimini del regime nazista», sfoggiando tutto il repertorio della propaganda russa, inclusa l’affermazione che in Ucraina fosse in corso una “guerra civile” e non una invasione russa.
Nessun terreno di contatto quindi, nemmeno per uno scontro, meno che mai per un negoziato. Lavrov accusa Kyiv di non voler trattare e sostiene che Putin «resta aperto ai colloqui», forse dimenticandosi che soltanto pochi giorni fa il presidente russo ha negato pubblicamente qualunque prospettiva di una tregua. Più che l’occasione di mettere al lavoro la diplomazia, la seduta del Consiglio di Sicurezza appare una illustrazione di quella incapacità dell’Onu di fermare la guerra che Zelensky denuncia dalla tribuna. Il motivo, secondo il presidente ucraino, «è evidente a tutto il mondo… il diritto di veto nelle mani di un aggressore… della Russia che siede in questa poltrona, occupata da bugiardi il cui lavoro è quello di giustificare il genocidio che commettono». L’assurdità di un ordinamento ereditato dal 1945, che permette al Cremlino di bloccare gli sforzi internazionali, deve essere superata, secondo Zelensky, da una riforma delle Nazioni Unite, il cui primo passo deve essere il diritto di superare il veto di un membro permanente del Consiglio di Sicurezza con una maggioranza qualificata di due terzi dei voti. Il presidente ucraino ha chiesto anche di ampliare il numero dei membri permanenti, e di produrre un meccanismo di sanzioni contro i Paesi che aggrediscono altre nazioni che scatti in automatico, indipendentemente dalla loro posizione nella gerarchia delle Nazioni Unite. Una proposta per ora irrealizzabile, e lo stesso Zelensky ricorda che oggi sono i soldati ucraini a «fermare la guerra facendo con il loro sangue quello che l’Onu dovrebbe poter fare con il suo voto». Non stupisce che Lavrov, quando arriva il suo turno, insista per non cambiare nulla, in un ordinamento che almeno sulla carta favorisce Mosca, per poi lanciare una serie di accuse ai membri occidentali dell’Onu, in una critica retrospettiva di anni, senza alcuna proposta per il presente. E subito dopo, dal Cremlino arriva la conferma che non vede spazi per la diplomazia, con il portavoce Dmitry Peskov che ribadisce: «Nessun presupposto per un negoziato”.
Nell’immagine: Zelensky all’ONU
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