Noi ebrei e la stella di David
L'anti-ebraismo ha segnato molte altre pagine del conflitto israelo-palestinese. Di Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma
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L'anti-ebraismo ha segnato molte altre pagine del conflitto israelo-palestinese. Di Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma
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L'anti-ebraismo ha segnato molte altre pagine del conflitto israelo-palestinese. Di Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma
Di Riccardo Di Segni, La Stampa
È successo già alcune volte negli ultimi decenni che le periodiche recrudescenze del conflitto medio-orientale che hanno coinvolto Israele abbiano scatenato reazioni antiebraiche. Per essere chiari, non reazioni contro il governo di Israele e le sue politiche e neppure contro lo stesso diritto dello Stato di Israele di esistere (una critica che già di per sé rappresenta un insulto gravissimo), ma contro gli ebrei in quanto tali e ovunque siano. Un commando palestinese che spara contro una Sinagoga, come successe a Roma nel 1982, non fa distinzioni: il nemico è l’ebreo ovunque si trovi. Oggi c’è una marea montante in tutto il mondo, per ora segnali diffusi e allarmanti ma poco gravi, ma chissà cosa accadrà nei prossimi giorni. Ci si è quasi assuefatti a questi fenomeni di recrudescenza che li si considera normali. Va detto invece che sono sì frequenti e abituali, ma normali non sono, perlomeno in senso sociale e morale.
Proviamo a capire quello che sta succedendo considerando le reazioni al massacro del 7 ottobre nei kibbutz e i paesi israeliani intorno a Gaza. L’orrore, lo sdegno, la pietà, la solidarietà sono scattati prontamente. Beninteso non per tutti, c’è anche chi ha minimizzato, chi ha negato l’evidenza, anche in nome di un giornalismo corretto che deve controllare tutte le fonti per essere certo che una notizia sia vera (selezionando però le notizie da verificare). Poi c’è stato il ridimensionamento, la relativizzazione, il «sì però» e la giustificazione: «Sono esasperati». Poi, in rapida successione, mentre Israele reagiva, sono arrivati i predicatori di morale, i «proporzionalisti» (quale è la reazione proporzionale alle stragi, agli stupri, alle decapitazioni eccetera?), i grandi suggeritori di soluzioni politiche («due popoli due stati»; ok, ma vi risulta che Hamas lo desideri o che nelle grandi manifestazioni propal, Roma compresa, qualcuno l’abbia chiesto?) e i giudici severi. Una certa sinistra tutta schierata propal ha dimenticato che a essere colpiti sono stati dei kibbutz, cioè delle fattorie collettive che realizzano pacificamente e democraticamente l’ideale socialista, e che in tempi lontani erano la punta di diamante per tutte le sinistre del mondo. Ora invece i loro preferiti sono i fanatici integralisti religiosi.
Doppio standard, amnesie, totale asimmetria di giudizio, propaganda. Ma l’ondata non si è fermata né si fermerà a questo. Si allarga a tutti gli ebrei, a loro come persone e a loro come cultura. Un passante riconoscibile come ebreo che viene malmenato, una casa di ebrei che viene segnata, persino pietre di inciampo che vengono deturpate. Rispuntano le categorie teologiche dell’occhio per occhio. «Noi» siamo i buoni e gli amanti della pace, e «voi» siete i cattivi, i vendicativi. E allora bisogna capire che alla base di questi meccanismi perversi e distorti di giudizio politico e di azione c’è qualcosa di molto più antico e profondo. In un pensiero diffuso che è inconscio per molti e invece consapevole in molti altri, l’ebreo che vive, con la sua diversità, ha una colpa esistenziale da scontare. È quella di voler vivere, a maggior ragione in colpa se si governa da solo e non vuole essere sottomesso ai suoi storici persecutori e osa persino difendersi. Lo ha detto pure Hamas: voi amate la vita. Se l’ebreo fa il suo dovere istituzionale, che è quello di farsi ammazzare, arriva per un po’ la compassione. Altrimenti rimane colpevole. Ovunque sia.
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