Orelli, il pensiero debole e la tolleranza

Orelli, il pensiero debole e la tolleranza

Quando Gianni Vattimo presentò a Lugano un mio libricino


Silvano Toppi
Silvano Toppi
Orelli, il pensiero debole e la tolleranza

Forse mi è ancora lecito ricordare il filosofo Gianni Vattimo (di cui qui si è già sapientemente parlato), soprattutto per la sua presenza, incisiva e stimolante (anche perché sempre oltre l’economia) nella  rubrica televisiva “Micromacro” di Fabrizio Fazioli (che aveva pure per collaboratore prezioso Lelio Demichelis, ora docente di sociologia economica all’Università dell’Insubria), ma anche per avere presentato a Lugano un mio libricino, una raccolta di scritti, proposto per la stampa e voluto da Giovanni Orelli  con Stefano Vassere editore (“Dagli asparagi all’eternità – Brevi storie di economia ordinaria”, Messaggi Brevi 2001).  

A dire il vero mi imbarazza ancora quest’ultimo ricordo: avere un sì grande e importante filosofo (ed anche un corrosivo politico sulla scena italiana) a parlare di un libricino di periferia, non certo esaltante o meritevole, segnava uno squilibrio che poteva essere fatalmente interpretato come presunzione o sfrontatezza da parte mia. O che forse c’entrava solo una benevola e arrendevole amicizia. Eppure, con grande disponibilità e umiltà, Vattimo seppe cavare, cominciando dal titolo, quel poco di filosofia economica-umanistica annidata qua là in qualche scritto. Voleva farci capire, come ripeteva anche un mio caro professore, che molto probabilmente aveva incrociato all’università di Heidelberg: “nur Oekonomie ist keine Oekonomie” (solo economia non è l’economia).

Pre-giudizi

Vattimo era arrivato sull’onda del suo “pensiero debole”, era l’uomo o il filosofo del “pensiero debole”. E non si mancò di parlarne durante la cena, con la curiosità (o direi, con una parolona, con l’abilità maieutica) di Giovanni Orelli. Perché debole? Perché nessuna forma di pensiero è in grado di esprimere una verità assoluta (come pretendeva la metafisica). Perché l’uomo (e qui appariva l’ispiratore Heidegger) è un essere immerso nel mondo, in una determinata epoca storica, in una particolare cultura e tradizione, fattori che condizionano la sua comprensione dell’essere e dai quali non può prescindere. E quindi non si dà una lettura della realtà valida per tutti, perché ciascuno giudica a partire dai propri pre-giudizi, che sono poi i condizionamenti culturali in cui ciascuno è nato e cresciuto. Pre-giudizi da cui non si può prescindere, ma occorre perlomeno “starci nel modo giusto”. 

Il modo giusto

C’era insomma tutto quanto dimenticano spesso gli economisti nelle loro analisi o nelle loro matematiche o algoritmiche leggi di mercato o finanziarie, e in particolar modo i politici, fosse solo perché nei pre-giudizi ci sguazzano e finiscono per farne il miglior letame della politica, come si sente in questi giorni.

Già, ma quale è il “modo giusto”? Il modo giusto è quello di mettere a confronto la propria visione del mondo in un dialogo continuo con la visione del mondo degli altri. Non con l’atteggiamento di chi vuol vincere la partita, di chi si limita ad accusare l’altro di “ideologismo”, ma con la disposizione di chi si mette all’ascolto dell’altro con almeno quel pizzico di ipotesi che gli permette di ritenere che forse qualcosa di giusto, fors’anche di meglio o persino di utile ci può essere nell’altro. 

E questa è l’essenza della tolleranza. Che non va confusa con la buona educazione (che può essere ipocrisia o simulazione), anche se la tolleranza è comunque una conquista dell’educazione.

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