Orelli, il pensiero debole e la tolleranza
Quando Gianni Vattimo presentò a Lugano un mio libricino
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Quando Gianni Vattimo presentò a Lugano un mio libricino
• – Silvano Toppi
Ricordando la figura ed il pensiero del grande sociologo italiano, recentemente scomparso
• – Lelio Demichelis
Ma si continua a temerlo e a dargli la caccia
• – Silvano Toppi
E noi, alla ricerca di emancipazione e democrazia, stiamo come criceti nella ruota dell’economia capitalista
• – Lelio Demichelis
Certo, occorre dire qualcosa di sinistra, ma anche farlo. Occorre trovare la spazio per un nuovo riformismo, vicino alle forme di resistenza ai processi di imbarbarimento in corso, ma anche capace di immaginare nuovi equilibri e soluzioni praticabili
• – Virginio Pedroni
Ambiente, futuro, speranza, solidarietà, nodi cruciali per un discorso politico che immagini un futuro non consegnato al neoliberismo imperante. Parole evocate a gran voce a Lisbona
• – Lelio Demichelis
È quello che asseconda la logica del dominio del tecno-capitalismo e che schiera populisti, nazionalisti, sovranisti anzitutto a difesa delle esigenze del capitale
• – Lelio Demichelis
Per una filosofia che ci permetta di ripensare il nostro rapporto con l’ambiente e accettando una più vasta comunanza di destino che include umani e non umani
• – Lelio Demichelis
Di fronte all’esigenza di risposte collettive trionfa più che mai l’individualismo
• – Silvano Toppi
Eppure continua a rappresentare un’utopia necessaria, perché senza solidarietà si cade nella barbarie
• – Lelio Demichelis
Quando Gianni Vattimo presentò a Lugano un mio libricino
Forse mi è ancora lecito ricordare il filosofo Gianni Vattimo (di cui qui si è già sapientemente parlato), soprattutto per la sua presenza, incisiva e stimolante (anche perché sempre oltre l’economia) nella rubrica televisiva “Micromacro” di Fabrizio Fazioli (che aveva pure per collaboratore prezioso Lelio Demichelis, ora docente di sociologia economica all’Università dell’Insubria), ma anche per avere presentato a Lugano un mio libricino, una raccolta di scritti, proposto per la stampa e voluto da Giovanni Orelli con Stefano Vassere editore (“Dagli asparagi all’eternità – Brevi storie di economia ordinaria”, Messaggi Brevi 2001).
A dire il vero mi imbarazza ancora quest’ultimo ricordo: avere un sì grande e importante filosofo (ed anche un corrosivo politico sulla scena italiana) a parlare di un libricino di periferia, non certo esaltante o meritevole, segnava uno squilibrio che poteva essere fatalmente interpretato come presunzione o sfrontatezza da parte mia. O che forse c’entrava solo una benevola e arrendevole amicizia. Eppure, con grande disponibilità e umiltà, Vattimo seppe cavare, cominciando dal titolo, quel poco di filosofia economica-umanistica annidata qua là in qualche scritto. Voleva farci capire, come ripeteva anche un mio caro professore, che molto probabilmente aveva incrociato all’università di Heidelberg: “nur Oekonomie ist keine Oekonomie” (solo economia non è l’economia).
Pre-giudizi
Vattimo era arrivato sull’onda del suo “pensiero debole”, era l’uomo o il filosofo del “pensiero debole”. E non si mancò di parlarne durante la cena, con la curiosità (o direi, con una parolona, con l’abilità maieutica) di Giovanni Orelli. Perché debole? Perché nessuna forma di pensiero è in grado di esprimere una verità assoluta (come pretendeva la metafisica). Perché l’uomo (e qui appariva l’ispiratore Heidegger) è un essere immerso nel mondo, in una determinata epoca storica, in una particolare cultura e tradizione, fattori che condizionano la sua comprensione dell’essere e dai quali non può prescindere. E quindi non si dà una lettura della realtà valida per tutti, perché ciascuno giudica a partire dai propri pre-giudizi, che sono poi i condizionamenti culturali in cui ciascuno è nato e cresciuto. Pre-giudizi da cui non si può prescindere, ma occorre perlomeno “starci nel modo giusto”.
Il modo giusto
C’era insomma tutto quanto dimenticano spesso gli economisti nelle loro analisi o nelle loro matematiche o algoritmiche leggi di mercato o finanziarie, e in particolar modo i politici, fosse solo perché nei pre-giudizi ci sguazzano e finiscono per farne il miglior letame della politica, come si sente in questi giorni.
Già, ma quale è il “modo giusto”? Il modo giusto è quello di mettere a confronto la propria visione del mondo in un dialogo continuo con la visione del mondo degli altri. Non con l’atteggiamento di chi vuol vincere la partita, di chi si limita ad accusare l’altro di “ideologismo”, ma con la disposizione di chi si mette all’ascolto dell’altro con almeno quel pizzico di ipotesi che gli permette di ritenere che forse qualcosa di giusto, fors’anche di meglio o persino di utile ci può essere nell’altro.
E questa è l’essenza della tolleranza. Che non va confusa con la buona educazione (che può essere ipocrisia o simulazione), anche se la tolleranza è comunque una conquista dell’educazione.
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