L’ecologia oltre l’ecologia
Per una filosofia che ci permetta di ripensare il nostro rapporto con l’ambiente e accettando una più vasta comunanza di destino che include umani e non umani
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Per una filosofia che ci permetta di ripensare il nostro rapporto con l’ambiente e accettando una più vasta comunanza di destino che include umani e non umani
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Per una filosofia che ci permetta di ripensare il nostro rapporto con l’ambiente e accettando una più vasta comunanza di destino che include umani e non umani
Che l’ecologia non sia una moda radical-chic ma una necessità urgente lo dimostra anche la crisi sociale e soprattutto esistenziale che stiamo vivendo in parallelo e intrecciata con quella climatica. Per la cui soluzione ci è necessario arrivare a quella che l’analista-filosofo Paolo Bartolini propone nel suo ultimo libro, intitolato Un’ecologia delle pratiche ( Ed.Mimesis, in e-book e in brossura). Ancora più esplicito il sottotitolo: Curare l’ignoranza dei legami con la filosofia. Già, perché da tempo siamo diventati ignoranti non solo di noi stessi – chi siamo, dove stiamo andando, ci sono alternative? – ma del concetto stesso di legame, cioè di relazione con gli altri e con quell’altro che è la biosfera.
Bartolini propone allora – appunto – un’ecologia delle pratiche per affrontare quelli che definisce i tre temi decisivi del nostro tempo: il confronto e il dialogo tra culture diverse, senza chiuderci nell’auto-referenzialità alzando muri e affondando navi di migranti; la giustizia sociale (siamo diventati ignoranti anche su questo concetto, pur basilare per la coesione di ogni società) e la giustizia ambientale (vedi sopra); le forme di cura indispensabili per offrire un orientamento esistenziale (dare cioè un senso alla vita e una direzione di cammino in comune) di fronte al disorientamento esistenziale e al caos della contemporaneità e delle sue policrisi. Un sistema tecno-capitalista dove massima è la potenza distruttiva del potere (economico, tecnologico, militare), minima è invece la capacità e la possibilità degli uomini di invertire/deviare la rotta. E invece: o il potere o la vita, questa – scrive Bartolini – è l’alternativa radicale che abbiamo di fronte; e dobbiamo scegliere da che parte stare.
La filosofia, dunque, come fonte e come modo di riflessione su noi stessi e sul mondo. Non qualcosa di astratto – roba da filosofi! – ma di molto concreto e di essenziale. Scrive infatti Bartolini, presentando i suoi obiettivi: “Eccoci, di nuovo e sempre, alle prese con quella vita che, socraticamente, va posta sotto esame per viverla con piena dignità. Questo è il mio luogo di partenza e di arrivo, provenienza e destinazione, sempre in bilico”. Mettere sotto esame la nostra vita, cioè porci domande, porre domande agli altri, cercare risposte dialogando e confrontando – mentre oggi aspettiamo che sia un algoritmo/app/motore di ricerca a darci le risposte, magari senza neppure avere pensato le domande (che fatica pensare!). Dunque, abbiamo un disperato bisogno di filosofia; che poi significa appunto amore per la sapienza (cioè: phílos ‘amico’ e sophía ‘sapienza’).
E la filosofia – continua Bartolini – “è quindi una pratica. E ad essa, ben più della costruzione di edifici teorici, pertiene l’azione dialogante, la pro-vocazione nelle strade e nelle piazze, il pensiero come esercizio comune”. E se oggi abbiamo smarrito la filosofia come pratica di vita, di pensiero e di costruzione di legami, necessario è appunto ritrovarla, cercare il dialogo invece di produrre monologhi (è giusto e vero solo ciò che dico io!), ritrovare il noi e appunto i legami, andare nelle strade e nelle piazze facendo pensiero critico (quello appunto di Socrate) e quindi pensiero in comune. Perché “il metodo della filosofia, lungi dal garantire incrollabili certezze, è un mettersi in cammino, esperienza dovuta, probabilmente, al fatto di avere come centro propulsivo del suo essere la riflessione, quindi l’autocoscienza volta a problematizzare l’ovvio e a mettere in discussione qualsiasi autoritarismo (anche il proprio)”. Detto altrimenti, “la filosofia intesa come stile di vita, dunque, come modo di condurre l’esistenza secondo saggezza, rappresenta l’alternativa” al mondo di oggi, diventato totalitario e macchinico/automatico quanto più ha dimenticato la filosofia.
Già, perché il mondo di oggi, scrive Bartolini, “è un sistema ibrido o misto che risente di almeno tre forme di potere, diverse e intrecciate fra loro. La prima è quella incarnata da precisi gruppi di interesse, da persone fisiche e giuridiche che si arricchiscono estraendo profitto da umani e non umani, come previsto dai rapporti di produzione capitalistici […]. La seconda, più impersonale, è quella che prevede l’implementazione continua delle logiche di mercato e dell’innovazione tecnologica, a prescindere dai loro effetti sugli ecosistemi e sulle comunità”. La terza – Bartolini si rifà a sua volta al filosofo Carlo Sini, autore molto presente nelle pagine del libro – “è un potere invisibile, una forza anonima [diciamo: i mercati, la rete, il profitto, il too big to fail…] che è sempre in azione entro i nostri progetti e al di là dei nostri progetti e delle loro conseguenze” e che continuamente trasforma la nostra vita personale e sociale, però a nostra insaputa. Per questo serve la filosofia, anche con la sua “funzione etica di vigilanza sulle derive del potere”.
E dunque? “Non è sensato illuderci di imboccare una via d’uscita regressiva che ci riporti a un prima della Tecnica, come non lo è pensare di andare avanti senza cambiare rotta”. Occorre riflettere filosoficamente sulla Tecnica, quindi, perché, ricorda Bartolini, “non esistono tecnologie innocue, di per sé buone. L’innovazione non è, in quanto tale, auspicabile sempre, ovunque e comunque. Tra l’altro, non si dimentichi, la tecnica è tutt’altro che intelligente: il suo scopo è funzionare alla perfezione. Non le compete alcuna riflessività. I criteri dell’efficienza sovrastano quelli dell’azione sensata […]” – e non è appunto questo uno degli effetti della matematizzazione del mondo e dello sviluppo incontrollato dell’intelligenza artificiale? E quindi, “la posta in gioco per l’homo sapiens è quella di affrontare consapevolmente la metamorfosi indotta dall’uso di certi strumenti, facendo sì che il campo biologico [cioè la nostra vita fisica e psichica] non venga catturato implacabilmente dentro logiche” tecno-capitalistiche che tendono invece, per loro essenza a “non riconoscere i limiti e a infrangere gli equilibri degli ecosistemi”.
Ecco allora, che l’homo sapiens si trova dinnanzi a un passaggio culturale decisivo: quello che richiede di abbandonare definitivamente gli anacronismi dell’antropocentrismo [l’uomo come signore e padrone della Terra], fornendo a ciascuno di noi le basi per coabitare i territori [sociali e naturali] in maniera più armonica, smettendola di considerare gli altri viventi come un bacino di risorse sfruttabili, e accettando una più vasta comunanza di destino che include umani e non umani […]”.
Ovvero, o si cambia o si finisce come la rana in pentola. Ma vallo a spiegare all’UDC, a Meloni, a Salvini, all’industria fossile, a Macron, alle banche, alla Nato…
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