Quella grossa contraddizione

Quella grossa contraddizione

Di fronte all’esigenza di risposte collettive trionfa più che mai l’individualismo


Silvano Toppi
Silvano Toppi
Quella grossa contraddizione

Basterebbe leggere  i vari articoli che appaiono su Naufraghi/e (come il recente di Lelio Demichelis sulla Solidarietà) per rendersi conto che questa nostra società, questa nostra democrazia, affonda in una contraddizione esistenziale.

Da un lato, cresce l’individualismo (l’egoismo), la sempre più accentuata frammentazione dei gruppi sociali (spesso con scopi economici, come capita con i lavoratori, per indebolire o togliere loro forza contrattuale), la perdita di legittimità o di credibilità del potere rappresentativo. D’altro lato, cresce l’esigenza di risposte collettive di fronte alle grandi sfide del momento: il riscaldamento climatico con le sue conseguenze, i costi umani ed economici  innegabili, la ricerca della pace, della coesione sociale anche con la protezione sociale, la lotta contro gli indebitamenti, la competitività sempre incandescente tra le nazioni, la bellicosità al limite tra blocchi politici ed economici.

La pandemia, che tutti hanno vissuto, aveva reso comune ed esplicito un interrogativo, che per altri aspetti rimane sempre d’attualità: per salvare delle vite, per salvare la persona (ma ora si dice anche: per salvare delle “culture”, per salvare una “libertà costruttiva e non distruttiva”, per difenderci da alcune tecnologie o innovazioni che si appropriano di noi), sono possibili, anzi, urgenti, delle restrizioni di libertà, da applicarsi a tutti, a una minoranza, a una persona? La libertà può essere condizionata (come lo è stata, ad esempio, con il certificato di vaccinazione, che ci ha portato anche ad una votazione popolare)?

La crescita dell’individualismo e la sensazione di non riconoscimento degli individui da parte di chi li dovrebbe rappresentare si traduce in un’altra sequela di fatti negativi: la sfiducia nella politica e l’astensionismo nelle elezioni politiche, il rifiuto di riforme che sono di interesse generale ma chiedono anche coerenza personale o impegno finanziario, la facile demagogia o scappatoia che attribuisce ogni colpa all’”altro” (l’immigrato) o alla ingiusta ripartizione degli oneri a livello regionale o di reddito.

La solidarietà legata all’appartenenza a una categoria determinata viene sempre meno, anche perché queste categorie (i lavoratori) sono meno omogenee, sono meno associabili o hanno meno riferimenti ideologici (sindacali, politici). Le reti sociali, nel senso tradizionale del termine (appartenenza a una associazione, a una comunità, a un quartiere, a un’impresa) hanno meno forza, sostituite spesso dalle reti sociali virtuali le quali, invece di coltivare una idea, un progetto condivisi, rafforzano piuttosto ancora l’individuo nella sua  singolarità o più spesso nella sua indefinita voglia di rivalsa su tutti e su tutto e in una sorta di malcontento sistematico. 

Quest’individualismo finisce  per trovare facilmente sbocco o  valvola di sfogo nella risposta che potremmo definire populista. C’è chi riesce allora a rispondere meglio a questa “pulsione individualista” sia inveendo su l’”altro” o scartandolo (l’immigrato, il profugo, il frontaliero, l’ecologista, l’impiegato statale, il docente, il giornalista della radio o televisione), sia ricuperando i temi di difesa dell’individuo, quelli che l’incantano (la sicurezza, il sistematico rifiuto delle imposte e della tasse, la deduzione delle imposte per i più ricchi perché portano denaro, l’austerità di bilancio statale nei settori ritenuti per principio prodighi, come l’insegnamento, la solidarietà o l’assistenza sociale, la retribuzione degli impiegati ecc.), sia rifiutando o persino deridendo (ritenendoli solo “fumi ideologici”) le risposte che si cerca di dare ai temi collettivi, come ad esempio il riscaldamento climatico, generando miseria economica.

Tutto questo fa approdare ad una domanda che da un lato appare paradossale e d’altro lato diventa il nodo gordiano cui la politica, in particolare quella di sinistra, trova difficoltà a fornire una risposta convincente. E la domanda, concreta, è questa: si può concepire, allo stato in cui siamo, un’azione politica che non  sia quella che deriva da un approccio individualista-populista ai problemi che si pongono (e che purtroppo ha  un’innegabile forza attrattiva, proprio a causa dell’individualismo); una politica che riesca a trovare la convergenza tra destino collettivo e maggior considerazione dell’individuo? Che, a ben pensarci, è come riuscire a saldare  persona e solidarietà, individuo e collettività.

Nell’immagine: Eddie Schrieffer, “And Still We Rise (Solidarity)”

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