La solidarietà? Sconosciuta al sistema
Eppure continua a rappresentare un’utopia necessaria, perché senza solidarietà si cade nella barbarie
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Eppure continua a rappresentare un’utopia necessaria, perché senza solidarietà si cade nella barbarie
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Eppure continua a rappresentare un’utopia necessaria, perché senza solidarietà si cade nella barbarie
Quante cose abbiamo perso – rimosso, dimenticato, rovesciato nel loro contrario – in quarant’anni di neoliberalismo e di nuove tecnologie capitalistiche – il tutto con la complicità (la più colpevole) delle sinistre europee, che si sono fatte più neoliberali dei neoliberali dimenticando quella parola-chiave di sinistra che è giustizia sociale? L’elenco dei principi e dei valori perduti potrebbe essere quasi infinito, limitiamoci allora ad elencarne alcuni, senza un ordine di importanza perché sono tutte perdite drammatiche che hanno prodotto ciò che non potevano non produrre: la nostra situazione attuale, tra sovranismi, nazionalismi, populismi, Udc e Meloni e Finlandia e Corte Suprema statunitense e ben sintetizzata dal filosofo americano Noam Chomsky: We’re on the Road to a Form of Neofascism.
Cominciamo dal lavoro, che era stato riconosciuto come un diritto dell’uomo ed è tornato ad essere una merce, tendenzialmente low cost, da sfruttare a piacimento del capitale grazie alle nuove tecnologie di rete. Poi la democrazia, assoggettata prima ai voleri e al potere dei mercati e della finanza e ora sempre più ai voleri e al potere della tecnologia e dell’intelligenza artificiale (capitalismo e tecnica sono due poteri a-democratici in sé per come si impongono quali meri dati di fatto sul potere del demos e antidemocratici quindi per essenza e per tendenza), tecnica cui deleghiamo sempre più la nostra vita, alienandoci da noi stessi.
Poi la società, tradotta in mercato (neoliberalismo) e in sistema tecnico (la tecnologia di rete/digitale), realizzando da un lato il piano della neoliberista Margaret Thatcher per cui la società non esiste, ma esistono solo gli individui atomizzati e in competizione gli uni con gli altri, affinché – dall’altro lato – possa essere poi più facile integrarli e massificarli nel sistema di mercato e soprattutto tecnico (è oggi la digitalizzazione delle masse). E poi la privacy, elemento basilare dell’individuo e della libertà liberale e che oggi cediamo felicemente (e gratuitamente!) al tecno-capitale per farci profilare, cioè spiare, permettendogli di estrarre dalla nostra vita privata un crescente profitto privato per sé come tecno-capitale (perché lo facciamo? Perché siamo coglioni, come aveva ben capito Mark Zuckerberg…).
E poi, e soprattutto, questi quarant’anni di neoliberalismo e di tecno-capitalismo hanno distrutto le basi stesse della modernità occidentale, ben riassunte nel motto libertà, uguaglianza e fraternità/solidarietà della Rivoluzione francese. La nostra libertà l’abbiamo appunto svenduta, ma credendo di essere più liberi, dimenticando così che nessuno è davvero libero se gli altri non sono liberi e che nessuno è davvero libero se non dentro a un noi collettivo – la società, appunto – fatto di libertà per tutti (e, come vedremo tra poco, di solidarietà tra tutti). L’uguaglianza, poi: considerata un intralcio al libero dispiegarsi degli spiriti animali del mercato e del capitale (e la produzione di disuguaglianza è stata una scelta politica e pianificata dal neoliberalismo, ha scritto l’economista americano Joseph Stiglitz) – e se occorreva produrre una società nella sola forma e norma del mercato competitivo/concorrenziale e in una fabbrica globale, era necessario trasformare appunto ogni individuo in forza lavoro individualizzata/atomizzata, egoistica e quindi meglio mettibile in concorrenza con ogni altro (illudendolo però di essere imprenditorie di se stesso e non forza lavoro quale invece è), l’uomo divenendo un mero fattore produttivo nella produzione, nel consumismo, nella generazione di dati.
E poi – appunto – la solidarietà, anch’essa considerata come un intralcio al libero mercato competitivo; quindi anche la solidarietà come valore e come dovere doveva essere rimossa, lasciata semmai al volontariato, alle Ong, all’ipocrita moral-washing di banche, finanza e imprese, a una solidarietà rinchiusa nel piccolo è bello delle comunità, dei nuclei, dei social e delle community virtuali, ma mai per i 600 migranti lasciati deliberatamente annegare al largo della Grecia, ultima strage di cui tutti noi – con la nostra indifferenza cinica e criminale e con il nostro votare sempre di più per partiti di destra neo-fascisti e insieme neoliberali – siamo responsabili (anche la Svizzera dimenticando che è stata terra di immigrazione ma anche di emigrazione…).
Molte le forme della solidarietà. Solidarietà era il welfare state nelle sue diverse attivazioni, appunto rimosso/ridotto dall’azione del neoliberalismo (con il paradosso degli svizzeri che non vogliono una cassa malati unica e pubblica, ma poi protestano se quelle private aumentano i premi ben oltre il tasso di inflazione…); solidarietà erano le politiche keynesiane di redistribuzione della ricchezza attuate per trent’anni prima dell’avvento dell’ideologia neoliberale (i giovani non lo sanno, a scuola non glielo insegnano, ma prima del neoliberalismo c’era un altro mondo, molto diverso da quello di oggi…); solidarietà era avere una coscienza di classe e condividere un progetto di miglioramento del mondo, mentre poi è stato il capitale a vincere la lotta di classe, come ammesso dal multimiliardario Warren Buffett, vinta in nome della disuguaglianza e dell’egoismo e della illibertà neoliberale; questo mentre la solidarietà tra capitalisti e Stati è invece fortissima, sistemica – vedi UBS/CS/Confederazione. Solidarietà dovrebbe poi significare agire oggi responsabilmente verso le generazioni future, cercando di risolvere oggi la crisi climatica e ambientale – e invece il neoliberalismo e il tecno-capitale ci vogliono solo resilienti/adattivi al riscaldamento climatico, negando ancora una volta ogni principio/dovere di solidarietà non solo intergenerazionale ma anche verso la biosfera. Perché solidarietà significa prendersi cura, ma anche questo contraddice le logiche della concorrenza e dell’efficienza tecnica.
Solidarietà dovrebbe poi essere quella praticata da uno Stato inclusivo (ma senza negare le diversità); nega la solidarietà quello Stato che invece reagisce all’esclusione che esso stesso contribuisce a produrre, usando la repressione – vedi la risposta della Francia di Macron alle rivolte delle banlieue e, prima, contro la riforma neoliberale delle pensioni.
Di solidarietà parla un recentissimo volume di Mariuccia Salvati, Solidarietà, appena edito da Treccani, definendola – mentre è in corso la guerra in Ucraina – “una parola e un valore sempre più necessari, che contiene in sé un auspicio, una speranza, una promessa”. Peccato che l’Europa (neoliberale per essenza e vocazione) si muova da tempo in direzione opposta.
Meglio allora andare a rileggere Solidarietà. Un’utopia necessaria di Stefano Rodotà (Laterza, 2014). E anche Rodotà (1933-2017) – costituzionalista, primo presidente dell’Autorità italiana per la protezione dei dati personali, presidente del gruppo europeo per la tutela della privacy, uno degli autori della Carta dei diritti fondamentali della UE – scriveva che la parola solidarietà, che sembrava perduta se non proscritta dal pensiero neoliberale (per cui la solidarietà è un delitto), acquistava allora nuova forza. Perché il valore della solidarietà, scriveva, “risiede nel suo essere un principio volto proprio a scardinare barriere, a congiungere, a permettere la costruzione di legami sociali nella dimensione propria dell’universalismo. […] Legami fraterni perché la solidarietà si congiunge con la fraternità, in un gioco di rinvii linguistici che spinge verso radici comuni”. E chissà quindi cosa penserebbe e scriverebbe oggi Rodotà, quando la solidarietà viene calpestata da stragi nel Mediterraneo, impedita da muri e fili spinati che si alzano, da diritti sociali sempre più ridotti, da egoismi e da meccanismi di amico/nemico sempre più potenti.
Utopia tuttavia necessaria, la solidarietà: perché, come scriveva ancora Rodotà, “l’esperienza storica ci mostra che se diventano difficili i tempi per la solidarietà, lo diventano pure per la democrazia”. Senza solidarietà/fraternità cadiamo cioè nella barbarie.
Nell’immagine: illustrazione di Dough Chayka
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