Parole che ritornano
È tutto un riproporre termini apparentemente rassicuranti per affrontare momenti critici in politica come in economia
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È tutto un riproporre termini apparentemente rassicuranti per affrontare momenti critici in politica come in economia
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È tutto un riproporre termini apparentemente rassicuranti per affrontare momenti critici in politica come in economia
Di questi tempi, per necessità o perché non si riesce ad escogitare altro, si recuperano parole cadute in disuso o ritenute, nei tempi dell’abbondanza e dei consumi, fuori posto o controproducenti per un’economia che esige solo crescita o umilianti rispetto alla condizione sociale che ognuno pretende. Sono le parole risparmio, sobrietà, moderazione e, sempre più spesso, anche sicurezza (armata) razionalità (necessaria) penuria (sistematica). Tutte riapparse sulla bocca dei nostri Consiglieri Federali come rimedi per la crisi che si definisce energetica ma che, lasciano trasparire, sarà certamente qualcosa di più, perché si è rotto tutto un sistema di flussi, di rapporti e di scambi. E allora riappare anche la richiesta di fiducia nelle istituzioni.
Non c’era giorno che non la si invocasse. Se c’era qualche affare che andava alla malora e finiva in Giustizia, qualche garbuglio politico che si faticava a dirimere, qualche controllo amministrativo passato sotto i ponti, qualche contabilità pubblica o privata che preferiva il gioco delle tre carte, immancabilmente appariva l’invocazione del mantra di tutti i mantra: trasparenza, ci vuole più trasparenza, promettiamo più trasparenza. La trasparenza richiede però regole e allora si fugge subito per la tangente maledicendo le danze della burocrazia che rovina l’economia e la fiducia.
Esempio illuminante sono state le varie misure d’aiuto all’economia per far fronte alla crisi generata dalla pandemia (Covid): da distribuire in fretta, senza pastoie burocratiche, dissero subito gli ambienti economici. Poi si sa cos’è capitato, soprattutto in Ticino, brutto esempio nazionale: niente burocrazia, o quasi, elargizioni veloci e generose all’economia in difficoltà e poi… processi, da poco terminati, per accertare, condannare e recuperare il maltolto della mancata o insufficiente trasparenza.
Svalutata la trasparenza per ideologia e usura, su ogni bocca di governante impantanato, di politico seriamente impegnato, di manager preoccupato, di economista benevolo (ce ne sono), è così apparsa, quasi di traverso, come rispondenza necessaria alla richiesta di sobrietà e di qualche sacrificio, un’altra parola che richiede però molto più impegno, anche perché meno accertabile della trasparenza: fiducia. Ritrovare la fiducia nello Stato, nella politica, nei politici, ma anche nell’economia, nelle banche, nella Giustizia.
Nasce il timore che anche la fiducia conclamata e richiesta al popolo sia un diverso abracadabra per riacciuffare una sorta di felicità perduta. Che cosa si intenderà per fiducia? Credere in se stessi, nell’avvenire, nelle persone, nelle istituzioni? La fiducia non è una virtù astratta, può solo fondarsi su rapporti umani, in un contesto ben preciso. È quindi anzitutto su un recupero di relazioni umane, che si sono innegabilmente molto degradate, che bisogna operare. Tanto meno la fiducia è una vernice da spalmare sulle realtà per renderle più convincenti o più accettabili.
Anche qui dovremmo però accorgerci, magari controvoglia, che i mercati, a cui abbiamo affidato tutta la razionalità, ora invocata come «ultima ratio» (il che è più comico che paradossale), non hanno mai generato fiducia, affidabilità nelle relazioni umane, cooperazione, azione collettiva, come si voleva far credere.
La realtà, che abbiamo sott’occhio e che soffriamo, ci dimostra che hanno generato tutto il contrario perché è nella natura della concorrenza politica ed economica, perdipiù se esasperate, infrangere le regole e cercare di illudere o ingannare o ricattare l’altro per tentare di avere la meglio, per trarre più profitto, per accumulare e conquistare.
E allora? Si finisce per trovarsi tra il profeta Geremia (maledetto l’uomo che ha fiducia nell’uomo) e quel rivoluzionario monaco tedesco che profetizzava invece: «a forza di fiducia si può mettere l’uomo nell’impossibilità di ingannare ». Geremia era pessimista per quanto gli mostravano l’uomo e la società, il monaco ottimista per quanto, insistendo, si poteva ancora scoprire nella coscienza umana. C’è da vedere quanto la coscienza umana abbia ancora presa sulla società. Siamo sempre lì.
Braccio di ferro fra la Comunità e il profeta dell’anti-liberalismo democratico, così affezionato alla cassa europea
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