Quando si dice la fatalità di situazioni che offrono agli “scriba” di
corvée la possibilità di sbizzarrirsi in giochi iperbolici di titoli arrotati ad effetto: prendiamo, ad esempio, “Londra, per un nuovo Re che sale al trono, un altro Re lo lascia per sempre” e un po’ arditamente avremo l’accostamento fra la prossima intronizzazione di Re Carlo III e l’addio al tennis, nella stessa capitale inglese, di Roger Federer, il Re di Wimbledon, il più grande sportivo svizzero di tutti i tempi, una vera e propria figura leggendaria dello sport mondiale.
Basta vedere quanto e come la notizia del suo abbandono delle competizioni, all’età di 41 anni, abbia finora scatenato i media planetari nel tributare gli onori che merita una carriera come la sua, interpretata da protagonista, con un’impareggiabile eleganza sportiva ed un’umana disponibilità che hanno trasformato, di vittoria in vittoria, un talentuoso ragazzino capriccioso ed insofferente, in un simbolo di sportività riconosciuto mondialmente anche per come ha mostrato, negli anni, di resistere al tempo e a qualche bruciante sconfitta.
Grande sempre, nelle interviste, nelle apparizioni in spot pubblicitari, lo troviamo anche in numerosi libri che in questi ultimi due decenni hanno cercato di dar conto in vario modo del suo percorso, delle sue parabole, di aces e smorzate. Fra i tanti meritano attenzione, in particolare, due volumi pubblicati da Casagrande a Bellinzona: Roger Federer, il campione e l’uomo (2018), del giornalista ed amico Simon Graf, e Roger Federer come esperienza religiosa (2010) del grande scrittore americano David Foster Wallace, un tributo eccezionale alla vittoria a Wimbledon nel 2006 contro l’eterno rivale (ed amico) Rafa Nadal.
Appena uscito in versione originale inglese vi è poi un libro certamente promettente, visto che è scritto da un altro raffinatissimo autore anglosassone, Geoff Dyer, che ha da poco pubblicato The last Days of Roger Federer, una sorta di meditazione sul destino di un personaggio pubblico così noto (come lo sono gli sportivi o gli attori) chiamato dopo il proprio “ritiro” a confrontarsi con la vita, la lenta trasformazione di un corpo che era perfetto, la precarietà di un’esistenza che non è più sotto i riflettori.
Fra le “penne” che si sono spese ed hanno dato del loro meglio nel raccontare Roger Federer vi è poi quella di uno dei massimi giornalisti sportivi italiani degli ultimi decenni, un maestro di tennis e di scrittura, lo “scriba” Gianni Clerici, scomparso lo scorso 6 giugno dopo aver consegnato ai lettori una serie incredibile di pezzi d’antologia scritti per diversi quotidiani, ed aver pubblicato romanzi e racconti di sapiente ed aristocratica ironia.
In un suo ponderoso e poderoso volume intitolato semplicemente Wimbledon, (Mondadori, 2013) dedicato al torneo che ha seguito per più di 50 anni, Clerici si sofferma fra gli altri su Federer in un commento dedicato alla sua penultima finale vinta sul Center Court, quella del 2012 contro l’idolo di casa Andy Murray (l’unico per cui a Londra gli inglesi hanno tifato di più che per Federer).
Ne proponiamo qui un estratto.
Sappiamo tutti che Roger Federer è uno dei più grandi tennisti ad aver messo piede su un court, ma non è facilissimo immaginare sin dove riuscirà a spingersi, dove giungeranno i suoi record. Immortale ben vivo, ormai superati i trentun anni, lo troviamo impegnato in un immaginario confronto con il passato recordman dell’Era racchette spaziali, Pete Sampras.
Lo apparenta, a Pete, una fluidità muscolare che rende i suoi gesti non meno eleganti di un grande danzatore. Da questa armonia mescolata a velocità, da queste immagini che avrebbero rapito un pittore futurista, ci giungono non soltanto un infinito piacere di spettatori, ma anche risultati mozzafiato.Coglie infatti, Roger, il suo promo Slam nel 2003; nel 2004 realizza il tris, che già lo apparenta ad altri 10 Immortali.Si arresta a due Slam l’anno successivo, smarrendo tuttavia soltanto quattro partite. E, nel 2006 e 2007, ha già ribadito il tris, divenendo al contempo il primo della storia ad aver quadruplicato il binomio Wimbledon – US Open. Seguono, per chi non ci credesse, altri quattro Slam, tra i quali un bis nel 2009, incluso l’unico successo sulla spiaggia del Roland Garros, che sempre gli fu non meno avversa dello sterratore Nadal.
Se mi rifiuto di includerlo in una paradossale classifica all times, per me improponibile, non posso non confessare la mia ammirazione, né trattenermi dal presenziare a ciascuna delle sue rappresentazioni, così come sempre feci per i grandi attori, a partire da Jack Kramer, su su fino a Rod Laver.
Reincarnazione della divinità tennistica che segretamente sovrintende al gioco, Roger si è trovato a nascere in un piccolo paese, che non aveva prodotto specialisti di grande qualità, limitandosi a concedere il passaporto a una bambina che mai dimostrò una pur doverosa gratitudine: Martina Hingis. (…) Gli agiografi raccontano di qualche difficoltà psicologica iniziale, di un rovescio non all’altezza del nativo, imparabile diritto. Mi vien da sorridere, nel ricordare il giorno in cui lo vidi per la prima volta su un campo, e non mi trattenni dal vaticinarne un futuro per me addirittura ovvio, scrivendo: ”Ho rivisto Laver, ma è diventato destro e dev’essersi tinto di nero i capelli”.
Di quel suo talento, il giovane Roger era assolutamente consapevole, tanto che giunse a dirmi, nel corso del suo primo sbarco a Roma: ”So che lei apprezza il mio gioco perché lo trova fluido, variato, un alternarsi di lift e slice, un tennis a tutto campo, rete inclusa. Ma una simile varietà può essere anche uno svantaggio”. E nel vedermi sorpreso, aveva sorriso, per aggiungere: ”Il talento rischia di diventare una trappola. La possibilità di scelta può confondere. E quel che è ancora più pericoloso è il narcisismo. Ci si compiace del colpo miracoloso, si ricevono applausi, si finisce per giocare per gli altri, per il pubblico: rischiosissimo”.
Da quel momento la mia abituale presenza alle recite di Roger Federer, oltre che di ammirazione, si venò di affetto.
Da Gianni Clerici, Wimbledon, (Mondadori, 2013), pp.674-676