Tra le cose più astruse o gli atteggiamenti più assurdi di questi giorni c’è da un lato l’uso
o lo sfruttamento “economico” dell’avvenimento religioso (o del tempo scandito dal fatto religioso, dal Natale sino all’Epifania, ridotta anch’essa a Befana o altra occasione di doni e commercio) e la quasi riluttanza, d’altro lato, a fare di quell’avvenimento, perché religioso, un atto di condivisione “societale” (tanto da augurare ormai perlopiù un generico Buone Feste, evitando lo specifico o compromettente Buon Natale).
Alcuni che ne parlano o ne scrivono, rilevandone i valori simbolici (come la pace, la generosità, la solidarietà, la fratellanza tra i popoli), tengono a porre subito come premessa o a precisare, a scanso di chi sa quale equivoco, “lo faccio da agnostico quale sono”. Agnostico deriva dal termine greco che significa ignoto; gli viene quindi attribuito, per estensione, il significato di “colui che non prende posizione riguardo ad ogni attività che comporti una scelta (religiosa o politica)”. E siamo di fronte ad un primo “non-senso” o a una grossolana contraddizione: ammetto che sono buoni e condivisibili quei valori ma, qui, essendo promanazione “religiosa” ed essendo anche stati spesso maltrattati o profanati nella “storia religiosa”, devono rimanere solo piacevole narrazione, al massimo proficua tradizione, comunque (filosoficamente) accidenti e non sostanza.
Dunque, ci sta l’uso e abuso economico, in quanto genera attività, consumo, crescita e profitto: infatti, tutti lì, con le percentuali, a dire già ora se vendite e profitti nel periodo natalizio sono andati meglio o peggio rispetto all’anno prima.
Ci sta invece poco o niente, proprio per quei valori, l’uso “societale” o, potremmo anche dire, politico, democratico, di senso o profitto democratico, per la comunità, la società.
Perché mai si accetta quindi l’uno e si nega o ci si distanzia dall’altro?
Una società a corto di fiato
“Questa società è a corto di fiato, ansimante, impigliata in una immobilità che le costa caro. Constatiamo che questa società è alla disperata ricerca di un modo alternativo di relazionarsi con il mondo, di essere nel mondo. E dove può cercare vie per entrare in relazione con la vita, l’universo, il cosmo e la natura? Dove trovare questo “deposito” alternativo? “La risposta alla domanda se la società odierna o anche la democrazia abbiano ancora bisogno delle religioni non può essere che: “sì […] Le religioni, le Chiese possono svolgere un ruolo importante, molto importante, in questa società. Semplicemente perché credo che abbiano qualcosa da offrire alla società”.
Queste affermazioni sono tratte da un testo del filosofo-sociologo tedesco Harmut Rosa, che appartiene alla tradizione della sociologia critica di Adorno e Horkheimer (v. Demokratie braucht Religion, Kösel Verlag, 2022; tradotto in francese: Pourquoi la démocratie a besoin de la religion, La découverte, 2023). Quel suo “si” si fonda su due concetti fondamentali del suo pensiero riassunti nelle parole “accelerazione” e “risonanza” (v. anche: Risonanza: una sociologia delle relazioni al mondo, Einaudi, 2016).
Stallo a rotta di collo
Uno dei paradossi della nostra società è che si trova ferma in uno stato di continua accelerazione frenetica. “La forma attuale dell’economia mondiale dipende in maniera essenziale dalla logica della crescita, tanto che senza di essa non sarebbe possibile far fronte alle crisi.” In altre parole: la nostra società è costretta con ogni modo ad una corsa continua di crescita economico-finanziaria, non per costruirsi un futuro, ma per mantenere lo stato in cui si trova (lo status quo). Si spendono quindi sempre più energie per sostenere ciò che esiste. Harmut Rosa traduce quella condizione paradossale in una serie di ossimori che possiamo tradurre come stabilizzazione dinamica, immobilismo frenetico, stallo vertiginoso, stallo a rotta di collo.
Desincronizzazione della politica
Lo stesso dicasi per la modernità politica, aggiunge Rosa. La democrazia opera per definizione secondo un modello di stabilizzazione dinamica, cioè secondo un ciclo ripetitivo di elezioni… in cui prevale l’aspirazione a conservare l’ordine politico esistente: “per di più, i programmi su cui si basa la competizione politica, seguono invariabilmente la logica dell’escalation delle promesse con cui i candidati cercano di sbaragliare la concorrenza nelle elezioni.” Mentre aumentano i cambiamenti tecnologici e la velocità della vita culturale ed economica, il ritmo della democrazia rallenta e si spiega in tal modo il “livello spaventoso di desincronizzazione tra la politica e i sistemi che essa cerca di controllare e governare”.
Le riforme politiche mirano ormai soltanto a mantenere o rendere le società competitive e a sostenerne le capacità di accelerazione. L’incapacità di visione politica, che ne deriva, rende inaffrontabili le grandi questioni che ci attanagliano: migrazioni, guerre, emergenze climatiche e ambientali, minaccia nucleare. Da un punto di vista culturale, poi, è la paura, non la promessa, la principale forza dinamizzante.
La risonanza
Che c’entra quindi, a questo punto, la risonanza? In parole semplici: per riuscire a sfuggire all’atteggiamento o alle imposizioni aggressive dell’accelerazione (come descritta), per uscire dall’imperativo del controllo, del dominio del potere, è necessario aprirsi a quegli elementi che ci dispongono ad un altro rapporto con il mondo. “La frenesia del controllo inibisce la nostra capacità di lasciarci interpellare e commuovere dal mondo in cui viviamo, come sarebbe nel caso della musica, della poesia, delle arti visive; come potremmo percepirci attraverso la visione, il sentimento della natura, in un campo coltivato o in un bosco selvaggio”.
E Harmut Rosa ha appunto una parola per caratterizzare queste esperienze: risonanza. Contrapposta alle due altre modalità di relazione tra io e mondo e cioè l’indifferenza e la repulsione. “Sebbene sia tremendamente difficile definire questi modelli di relazione io/mondo (Weltbeziehungen) in una maniera filosoficamente precisa, è piuttosto semplice specificarli come fenomeni, come ad esempio quando ascoltiamo un brano musicale che ci fa accapponare la pelle. Perciò, per risonanza intendiamo una relazione reciproca “benevola” tra l’io e il mondo che richiede una certa apertura da parte del soggetto e un ambiente che sia “responsivo”… La nozione di risonanza può rimpiazzare quella di “identità” come metro per misurare la qualità della vita.
La relazione diversa con il mondo
Perché quindi la democrazia ha bisogno della religione? Perché apre uno spazio nella contraddizione o nel paradosso impostoci dall’economia neo-liberista. Perché ci dice che possiamo disporre di altri elementi per avere un rapporto con il mondo, diversi da quelli della crescita o dello sfruttamento. A cominciare dal concetto di tempo, che non è solo risorsa economica.
“La mia tesi”, dice Helmut Rosa, “è che la religione non deve assolutamente essere un ostacolo alla “democrazia risonante” ma, se compresa e vissuta in modo giusto, può davvero essere una risorsa importante, addirittura cruciale… La religione ha un patrimonio di narrazioni, un serbatoio cognitivo, riti e pratiche, spazi, dove un cuore in ascolto, in risonanza, può essere esercitato e forse sperimentato… La religione trae la sua grande forza dal fatto che alimenta una sorta di promessa verticale di “risonanza” che dice: l’universo silenzioso, freddo, ostile o indifferente, non è alla base della mia esistenza, ma c’è sempre una relazione di risposta…. Restando al cristianesimo, sta nel fatto che la ragione della mia esistenza non è l’universo silenzioso, il puro caso o una controparte ostile, ma che esiste una relazione di risposta: “Ti ho chiamato per nome…”. Se questa non è risonanza!
“Ciò che mi interessa è il tipo di relazione con il mondo che può nascere attraverso o nella pratica religiosa; sono i tre assi di risonanza: tra gli umani, dall’umano verso le cose, e dall’umano verso l’alterità inglobante. Dogmatismo, fanatismo e fondamentalismo impediscono questa “risonanza” e la dimensione della risposta. Se la società perde tutto questo, se dimentica questa modalità di relazione, sarà definitivamente perduta. Per questo la risposta alla questione se la società, la stessa democrazia, hanno ancora bisogno oggi della religione non può essere che sì”. Per quei valori che devono farne la sostanza, in antitesi o non in risonanza con quegli “accidenti” che l’appesantiscono.
Nell’immagine: Antony Gormley, “Feeling Material XVI” (2004)