Le donne non sono migliori, ma…
Assenti da ogni tavolo negoziale per fermare la guerra: la condizione femminile (universale) all’alba di un giorno che si vuole dedicato alle donne
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Assenti da ogni tavolo negoziale per fermare la guerra: la condizione femminile (universale) all’alba di un giorno che si vuole dedicato alle donne
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• – Redazione
Assenti da ogni tavolo negoziale per fermare la guerra: la condizione femminile (universale) all’alba di un giorno che si vuole dedicato alle donne
“Le donne non sono esseri umani migliori, sarebbe terribile! Perfino inquietante… Facciamo tanti errori quanti gli uomini, ma il fatto che ogni giorno ci ritroviamo a dovere gestire la quotidianità, e a organizzarla, e a fare funzionare le cose, ci porta a essere persone capaci di guardare alla guerra e alla pace sotto punti di vista molteplici”.
(Ruth-Gaby Vermot-Mangold, già Consigliera nazionale e ideatrice della campagna 1000 Women for the Nobel Prize 2005 e per molti anni mediatrice di pace nel Caucaso)
Quando si parla di donne, non le si associa mai alla guerra in un ruolo che non sia quello della vittima. Perché quando scoppia una guerra, le donne, in quella guerra, diventano senza scampo vittime di soprusi, di abusi, di torture, ma soprattutto di una serie di laceranti perdite, affettive e identitarie. Le donne in un attimo perdono il controllo sulla propria vita e spesso anche sul corpo, nonché il proprio posto nel mondo, la possibilità di organizzare e vivere l’esistenza di ogni giorno, sia essa più emancipata e contempli la possibilità di lavorare, o invece ancora intessuta di patriarcato, con il dovere di accudire a una casa e a una famiglia.
Eppure, fior di testimonianze e di studi dimostrano come le donne potrebbero avere un ruolo ben diverso, e forse anche lontano da certo pacifismo – pur sempre sentito e sincero – che si consuma nei cortei e nei social. Basti pensare che in piena Prima guerra mondiale, una delegazione internazionale di donne (che ovviamente erano state escluse dalle trattative del 1899 e del 1907 atte a scongiurare un’escalation) si riunì in congresso all’Aja per cercare una soluzione al conflitto. Nella risoluzione che ne emerse si chiedeva la parità tra uomo e donna nella partecipazione alle trattative di pace, l’istituzione di una Società delle Nazioni e di un tribunale penale internazionale… ça va sans dire che se la seconda e la terza proposta si sono tramutate in realtà (perché realizzabili anche senza donne), la prima è là da venire anche dopo oltre cento anni.
“Noi donne dichiariamo la guerra, ultima ratio della saggezza di uno stato, una follia”, avevano affermato all’unanimità le donne al termine del congresso, nel 1915. “Lasciate la pace a coloro che la guerra la fanno”, aveva risposto Le Figaro all’epoca, ma sembra rispondere ancora a tutto il mondo oggi, nel 2022.
Lo United Nations Security Council attraverso uno studio ha dimostrato come un accordo di pace cui prendono parte delle donne abbia significativamente più possibilità di durare nel tempo, e i motivi sono semplici: le donne coinvolgono un numero maggiore di persone nelle trattative e si occupano anche di alimentazione, scuole e ospedali, come dimostrano gli esempi virtuosi di Liberia e Burundi. Eppure, tra il 1992 e il 2019, fra tutti gli attori coinvolti in trattative internazionali di pace, non hanno superato un misero 13%. E questo nonostante nel 2000 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU abbia varato la Risoluzione 1325 su “Donne, Pace e Sicurezza”, in cui si menziona l’impatto della guerra sulle donne e si sottolinea l’importanza del loro coinvolgimento nei processi di pace.
E anche in questi giorni di confusione mista a sgomento e tristezza, di nuovo assistiamo alle immagini dei caroselli di strette di mano e sorrisetti più o meno tirati tutti al maschile. I potenti del mondo (perché di potenti femminili non ce ne sono) si riuniscono, discutono, promettono, non mantengono, minacciano e ritrattano. Mentre le donne di colpo sono scomparse, e si riaffacciano tutt’al più, sfatte e i volti in lacrime, dalle file dei disperati che cercano di scappare da un paese incendiato in una notte.
Non è probabilmente nelle corde delle donne, parlare di guerra, e tantomeno farla. Però, un certo qual pragmatismo derivante dalla pratica della quotidianità di cui sopra, saprebbe senza dubbio rovesciare le prospettive, o includerne altre. Ma ancora una volta, non c’è stato modo né scampo, e ancora una volta le donne si sono ritrovate ai margini di quanto sta accadendo, senza potere decisionale, senza poter esprimere anche solo un pensiero o un’idea cui guardare con considerazione e interesse. Come d’altronde è stato durante la pandemia. Come d’altronde è in moltissimi dibattiti televisivi. Come d’altronde è nei libri di storia, che un giorno narreranno le gesta dei vincitori di questa guerra, sporca come tutte, ripulendole ancora una volta dell’odore nauseante del sangue e del dolore lancinante di madri, figlie e sorelle.
Forse è giunto il momento di volere dire la nostra sulla guerra, piuttosto che ricevere una mimosa.
Nell’immagine: Il volto della pace, Pablo Picasso, 1961
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